Alessandro Demontis, ARTEFATTI, MESOPOTAMIA

Analisi del sigillo VA243

ANALISI DEL SIGILLO VA243
La mia prima analisi approfondita delle critiche mosse all’
interpretazione di Sitchin del sigillo accadico catalogato
VA243 risale al febbraio 2010, e trattava quelle che erano le
principali critiche derivanti dal lavoro dello studioso
Michael Heiser, uno dei maggiori oppositori di Sitchin.

L’articolo prendeva in esame tali critiche come tradotte ed
ampliate dall’ autore italiano Stefano Panizza, il quale
modificò in seguito leggermente il suo articolo originale
senza però cambiare la traccia e l’ ottica critica nonostante
le confutazioni ai suoi ragionamenti (e a quelli di Heiser).
Non tornai più sulla questione perchè reputavo l’ argomento
esaurito, ma di tanto in tanto ricevevo ancora segnalazioni
di critiche in merito a tale reperto; critiche che in
sostanza erano fotocopie di quelle di Heiser, e che solo
raramente riportavano qualcosa di nuovo.
In questo articolo dunque, richiestomi da un mio lettore per
una sua fanzine di archeologia, prenderò in esame TUTTE le
critiche che mi sono state segnalate, sperando che una volta
per tutte si possa mettere la parola FINE all’ argomento.
Vediamo intanto una panoramica del sigillo:


Sitchin presenta questo sigillo asserendo che contiene sul
lato sinistro un particolare astronomico, la rappresentazione
del nostro sistema solare contenente anche Nibiru. Rimando
ovviamente al libro di Sitchin chiunque volesse leggere cosa
l’ autore dice del sigillo, qui mi limiterò a trattare le
obiezioni che vengono mosse.
Ritengo particolarmente importante trattare questo punto
perché Heiser e tutti i suoi ‘seguaci’, o comunque coloro che
si basano sul suo lavoro, trattano questo sigillo con una
premessa, cioè che “dimostrando che questo sigillo non
rappresenta il nostro sistema solare viene a cadere uno dei
punti fondamentali della teoria di Sitchin”.
Come osservai già nel 2010, questa affermazione, già da sola,
non è giustificata, in quanto la teoria di Sitchin non si
basa su questo reperto. Questo è solo uno dei TANTI sigilli
che sostengono la teoria, senza contare tutte le altre
evidenze che vengono da altri campi (in primis quello
mitologico-letterario).
Qui di seguito é riportata per intero la risposta alle
critiche di Heiser e di Panizza così come le composi nel
2010; successivamente aggiungerò le ‘nuove critiche’ con
relativa analisi.
MICHAEL HEISER & STEFANO PANIZZA
Gli articoli relativi a queste critiche si trovano nei siti:
http://www.centrostudifortiani.it/sigillo.htm (per il lavoro
originale di Panizza) e
http://www.michaelsheiser.com/VA243seal.pdf (per il lavoro
originale di Heiser).
Leggiamo e analizziamo punto per punto l’ articolo di
Panizza:
Se lo osserviamo, si nota, oltre a tre figure umane, una
stella circondata da undici piccoli cerchi di varie
dimensioni. Secondo Sitchin, essa rappresenta il nostro sole,
mentre gli undici tondi sono i nove pianeti classici, la
nostra luna ed uno sconosciuto Pianeta X, chiamato Nibiru.
Insomma, il tutto appare come il nostro sistema solare al
completo, più un misterioso intruso.
Lo studioso, poi, ha identificato con precisione la
disposizione dei singoli pianeti, partendo da un punto ben
preciso.

Tutto spiegato? Forse è il caso di dare un’occhiata
… Se anche la prestigiosa rivista Fortean Times, poi, ha
voluto “guardarci dentro”, allora, ci sono dei buoni motivi
per approfondire il discorso. Per comodità di esposizione
esporremo, allora, i nostri ragionamenti sotto forma di
domande e risposte. Cominciamo.


Presentazione impeccabile, quindi… cominciamo anche noi:
La figura a forma di stella a sei punte rappresenta davvero
il Sole?

Questa è una domanda fondamentale perché se essa non
lo raffigura, allora il tutto non potrà mai essere
considerato l’immagine del nostro sistema solare. Cadrebbe,
di conseguenza, una delle prove più consistenti avanzate da
Sitchin a dimostrazione di conoscenze astronomiche
straordinarie da parte dei sumeri e dell’esistenza stessa del
famigerato Pianeta X (o Nibiru).


Lo studioso, in cerca di prove per la sua teoria, ritiene che
l’immagine stellata rappresenti davvero il Sole con la sua
corona perché così lo si vedrebbe se la sua potente luce
fosse schermata (ad esempio come durante le eclissi solari).
Egli ci mostra una immagine per sostenere quanto questo sia
falso:


Ebbene si vede chiaramente che questa non è una immagine del
sole durante una eclissi, ma una immagine del sole alla quale
è stato applicato un disco nero. L’ effetto non è lo stesso,
infatti durante le eclissi totali, a causa della presenza
della luna davanti al sole e dell’ interferenza che essa
provoca, la luce ci giunge in maniera distorta, come
evidenziano queste foto:


Ma andiamo oltre…
Rispondere alla domanda che ci siamo sopra posti significa,
in realtà, rispondere ad altri due interrogativi. Il primo,
come rappresentavano, solitamente, il Sole gli antichi
sumeri? Il secondo, il sigillo contiene una parte letterale
che possa aiutare a comprendere quella figurativa?
Fortunatamente esistono centinaia di immagini del Sole
recuperate in anni di scavi archeologici.
Eccone un esempio, fra i tanti:


qui Panizza riporta il classico sigillo di Utu/Shamash, il
dio solare sumero, preso pari pari dal sito di Heiser, il
quale ne riporta molti di più nella sua analisi; penso valga
la pena andare nel suo sito e prenderne almeno un altro per
poi affrontare il tema… per esempio questo:


Riguardo al simbolo del sole Panizza scrive:
Esso è rappresentato in forma sempre uguale in sigilli e, più
in generale, in opere d’arte. Come si può notare, è mostrato
come un disco a quattro braccia e linee ondulate, il tutto
racchiuso in un cerchio. In altri casi vi sono solo le linee
ondulate (in pratica, queste, sono una costante
imprescindibile, come il cerchio).


La figura stellare nel sigillo VA/243 non presenta linee
ondulate e non è racchiusa in un cerchio.
A togliere ogni dubbio sono le immagini riportate in testi
dedicati proprio al dio sole Shamash.
Bene dunque secondo Panizza le linee ondulate, e la loro
stessa presenza, sono un segno distintivo del simbolo del
sole. Oltre al fatto che il sole era SEMPRE rappresentato con
4 punte.
Ergo Sitchin commette un errore madornale nell’ intendere che
quello del VA243 sia il sole.
Ma andiamo a fare effettivamente una ricerca dei sigilli,
perché troviamo delle figure molto interessanti. Intanto
questo brucia incenso sacerdotale rinvenuto tra le rovine del
tempio di Shamash, l’ Ebabbar di Sippar:


Come vediamo, 4 punte ma nessuna linea ondulata.
Per dovere di cronaca devo segnalare che Panizza nella
revisione del suo articolo (reperibile a questo indirizzo:


http://falsimisteri.myblog.it/archive/2012/04/29/sitchin-ela-bufala-del-sigillo-sumero-va-243.html

attribuisce questo porta incenso al tempio cananeo di Hazor, e lo lega al dio Baal.

Non ci vengono date informazioni o fonti in merito, ma
siamo disposti a prendere per buona questa correzione, anche
perchè Panizza (pur senza ammettere la sua approssimazione)
nella rielaborazione del suo articolo inserisce le casistiche
da me riportate (qui sotto) come varie rappresentazioni di
Shamash, riconoscendo quindi implicitamente di essersi
sbagliato nella prima stesura.
Un’ altra rappresentazione é quella di questo medaglione
trovato nello stesso tempio:


Con ben otto punte e nessuna linea ondulata. Ma abbiamo anche
un kudurru definito ‘zodiacale’ proveniente da Susa, in cui
vengono riportati i simboli degli dei:


Di cui possiamo leggere una descrizione QUI.
O possiamo anche menzionare questo sigillo dedicato a Shamash
e conservato al Louvre:


dove abbiamo la luna, il famoso set di 7 globi, una stella ad
8 punte e una strana ‘stella’ con 11 punti e raggi intorno ad
un cerchio centrale. Anche qui nessuna stella a 4 punte e
nessuna linea ondulata.

E’ interessante notare che lo studioso Michael Heiser, da me interpellato su questa
rappresentazione, ha negato che questo fosse un simbolo di
Shamash, nonostante ciò sia dichiarato anche nella pagina
Wikipedia del sigillo la quale ne attesta attribuzione e
luogo di conservazione.


Un altro sigillo molto famoso, e stranamente ignorato sia da
Panizza in prima battuta sia da Heiser è quello che ritrae
Shamash sul suo trono con in mano lo ‘strumento di
misurazione dei cieli’. Tale sigillo rappresenta la più
elaborata iconografia di Shamash, composta da una stella a 8
punte, sovrapposta a una stella a 8 ‘bande’ sfasate in modo
che ogni banda emerga tra due punte. In particolare vediamo
qui che, al contrario di quanto asserisce Panizza, il sole
era rappresentato anche NON RACCHIUSO in un cerchio:


Credo di aver speso abbastanza tempo e fornito abbastanza
materiale per ribattere all’ asserzione di Panizza, e di
Heiser, riguardo alla raffigurazione del sole.
Andiamo ad analizzare dunque l’ altra domanda posta da
Panizza, e cioè se esiste una evidenza letteraria che lega la
rappresentazione del VA243 al sole.


E veniamo al secondo punto.
La traduzione del testo, presente nella parte destra e
sinistra del sigillo, recita: “Dubsiga, Ili-illat, il tuo/suo
servo”.
[…]
Ciò non sembra avere nulla a che fare con il Sole, il sistema
solare e, più in generale, l’astronomia.
Sitchin tace sull’iscrizione, così come sul perché il “suo”
Sole sia così diverso dalla normale rappresentazione. Quindi,
riassumendo, né la comparazione simbolica né la parte
letterale del sigillo portano a pensare che quello
rappresentato sia il nostro Sole.


La traduzione dell’ iscrizione del sigillo è stata fornita da
Anton Moortgat ed incorporata da Heiser nel suo sito. L’
iscrizione viene tradotta da Moortgat mischiando accadico e
sumero, un modo errato di procedere. Ciò è molto importante
da sottolineare poiché Moortgart traduce con ILI il simbolo
della divinità, quando invece in sumero sarebbe DINGIR / AN.
A questo punto bisogna per un attimo andare al sito di Heiser
per leggere l’ identificazione di questi nomi che compaiono
nel sigillo:
Line 1 = dub-si-ga “Dubsiga” [a personal name of an
apparently powerful person[1]]
Line 2 = ili-il-la-at “Ili-illat” [another personal name,
this time of the seal’s owner]
Line 3 = ir3-su “dein Knecht” [German for “your servant”]


Bene qui abbiamo un altro errore, infatti il nome tradotto
come ILI-ILLAT non è di una persona ma di un dio, come
evidenzia il glifo caratteristico della divinità. Non solo,
anche nell’ errore commesso di identificare la iscrizione
come accadica, il vocabolo ILI identifica un dio.


Ciò che si deduce quindi dalla scrittura è che un personaggio
ne sta introducendo un altro di nome DUBSIGA a un dio
chiamato ILAT, definendo il ‘presentato’ come ‘tuo servo’
cioè del dio. E nell’ iscrizione abbiamo infatti un dio
assiso su un trono (con in mano un aratro), e davanti a lui
un altro dio che porta per mano un umano. Come facciamo a
sapere che il nome DUBSIGA non è nel dio che tiene per mano?
Semplice, ci sarebbe davanti il simbolo della divinità
(DINGIR) che invece compare solo davanti al nome ILAT. Quanto
alla identificazione del personaggio al centro come dio, è
testimoniato dal tipico copricapo cornuto, distintivo degli
dei di Sumer.
Esaminiamo più in dettaglio le 3 righe di testo cuneiforme.
Esse sono divise nell’ immagine proposta da Panizza e Heiser
delimitandole con 3 colori diversi, rosso, blu e giallo. Ora,
utilizzando una lista di segni cuneiformi, ho cercato le
corrispondenze con i pittogrammi e ho potuto isolare le righe
di testo dalla foto proposta da Panizza incollandoci vicino i
corrispondenti cuneiformi.
Il risultato mostra innanzitutto il già menzionato segno
delle divinità (AN/DINGIR), ma anche che la sillaba finale
del nome ILAT non è AT ma TUR3. Altresì la terza riga ‘IR3.SU
(tuo servo) deve essere correttamente identificata con
ARAD.SU:


Si ricordi che il cuneiforme classico (2600 a.C. circa) è
‘girato’ di 90° rispetto al pittografico.
La giusta trascrizione del sigillo quindi è:
Linea 1: DUB.SI.GA
Linea 2: D.IL.LA.TUR3 (con D = dingir / an, distintivo del
dio)
Linea 3: ARAD.SU


La traduzione comunque non cambia, se si suppone che ARAD sia
in realtà usato come omofonico di ARAD2, che corrisponde a
IR3, è giusto tradurre con SERVO. Devo segnalare che DUBSIGA
quasi certamente non é un nome proprio del servo che viene
presentato, ma un termine che indicava in sumero i
lavoratori, in genere i lavoratori che preparavano o
portavano i canestri.
Prendendo comunque per buona questa identificazione, la
iscrizione sembra esprimere questo concetto:


(Con il dio in piedi che parla): DIVINO ILAT, (ECCO) DUBSIGA
IL TUO SERVO


(Con un commentatore che parla): AL DIVINO ILAT (VIENE
INTRODOTTO) DUBSIGA, IL SUO SERVO.


Si scelga quella che piace di più, non fa nessuna differenza,
importante è chiarire il concetto.


Panizza osservava:
“Ciò non sembra avere nulla a che fare con il Sole, il
sistema solare e, più in generale, l’astronomia. Sitchin tace
sull’iscrizione.”


E’ normale che Sitchin taccia sull’ iscrizione, ed è normale
che la scritta non abbia riferimenti al sole, Sitchin non ha
mai affermato che questo sia un sigillo a scopo astronomico.
Sitchin afferma chiaramente che si tratta di un sigillo NEL
QUALE E’ PRESENTE un dettaglio astronomico.

Allo stesso modo
in cui è presente un animale, ma non ci si dovrebbe aspettare
che sia un sigillo legato agli animali. Il sigillo invece è
la chiara rappresentazione della introduzione della
agricoltura come dono degli dei all’ uomo. Infatti il dio
seduto ha in mano l’ aratro, che rappresenta l’ agricoltura,
e lo sta donando all’ uomo che gli viene introdotto.


Andiamo avanti.


Ma se il Sole non è il “Sole”, allora quegli undici cerchi
che lo circondano possono rappresentare i pianeti?
Naturalmente no, ma vediamo di dimostrarlo con una logica
indipendente.
Sitchin, al contrario, ne appare convinto ed assicura, pure,
di averli identificati con precisione, partendo da un punto
ben preciso.


In questo punto Panizza si basa su un documento di Carlo
Bolla chiamato ‘Questioni Celesti’ e riporta da questo
documento lo schema dei ‘pianeti’ come rappresentati bel
sigillo identificandoli con quelli del sistema solare:

viene offerta questa chiave di lettura:


Legenda: A venere – B mercurio – C luna – D terra –
E marte – F nibiru – G giove – H saturno – I
urano – L nettuno – M plutone


In realtà questa leggenda è sbagliata (e mi preme
sottolineare che Panizza non la ha corretta nella sua
revisione dell’ articolo originale), in quanto secondo lo
schema di Sitchin, il pianeta contrassegnato come I non è
Urano ma Plutone, che era, secondo Sitchin, un satellite di
Saturno (H). Torneremo più avanti su Plutone perché anche
Panizza per ora lo esclude dall’ analisi.

Leggiamo invece cosa scrive sugli altri:
Non si comprende, al contrario, l’accostamento MercurioVenere che, come sappiamo, sono due pianeti ben distinti (addirittura la loro distanza reciproca è minore rispetto al
sistema Terra-Luna).


E’ bene intanto chiarire cosa rappresenti secondo Sitchin
questo schema: è una rappresentazione artistica, fatta dai
sumeri, del sistema solare IN VIA DI FORMAZIONE così come
viene fuori dal mito Enuma Elish, l’ epica della creazione
babilonese. Parliamo quindi non del sistema solare attuale,
ma nella sua fase di formazione. Come ci aiuta questa
precisazione?

Se attualmente Mercurio e Venere sono due
pianeti distinti, non è escluso che in passato Mercurio fosse
una luna di Venere. Questa teoria è stata esaminata dagli
astronomi Thomas Van Flanders e Robert Harringhton nel 1975,
e pubblicata su Science, con il titolo: “A dynamical
investigation of the conjecture that Mercury is an escaped
satellite of Venus”.

Lo studio si può trovare qui ( sfortunatamente il link non é più accessibile )
Purtroppo per leggerlo tutto bisogna acquistare l’ articolo,
ma la conclusione dell’ abstract leggibile online recita
testualmente:


“Thus the conjecture that Mercury is an escaped satellite of
Venus remains viable, and is rendered more attractive by our
failure to disprove it dynamically.”


Cioè la teoria esposta rimane valida, e non si è riusciti in
nessuna maniera a dimostrarla invalida.


Nella sua rielaborazione dell’ articolo Panizza indica questa
mia segnalazione (senza attribuirmela ovviamente) e parla
della teoria di Van Flanders, invalidando quindi la sua
stessa obiezione espressa con “varie cose non tornano”.


Panizza scrive ancora:
Sitchin, inoltre, parte dal presupposto che Mercurio sia
l’oggetto posto sulla destra, rispetto a Venere.
Tale logica, però, è del tutto arbitraria, anzi, volendo
sceglierne una (quella della distanza dal Sole), le parti
andrebbero invertite perché è Mercurio il corpo più vicino al
Sole (ma questo fa “sballare” i conti di Sitchin)
In realtà l’ identificazione di Mercurio a destra di Venere è
consistente con la sua identificazione come satellite,
inoltre non ha senso dire ‘Mercurio è il più vicino al sole’.
Si tratta, come detto e come evidente, di una
rappresentazione artistica nella quale le distanze non hanno
valore.

Giove e Saturno, che sono di gran lunga i corpi più massicci
del sistema solare (tanto è vero che si dice che Giove sia
una stella mancata), non sono raffigurati in proporzioni agli
altri pianeti. Basti confrontare Giove e la nostra Terra, per
rendersene conto, oppure Giove con il Sole.

Rimanendo nell’ambito “dimensioni”, non si riesce neppure a comprendere
come mai non siano raffigurati quei satelliti dalle
dimensioni almeno pari a quelle della Luna (se i sumeri hanno
individuato il lontano e piccolo Plutone, risulta
inspiegabile che non abbiano osservato, ad esempio, i
satelliti di Giove)
Anche qui solito discorso, le dimensioni e le distanze non
hanno senso in una rappresentazione artistica, e nemmeno le
altre lune. Se questo sembra ambiguo si tenga presente una
cosa: la targa di metallo che la NASA ha incorporato nelle
sonde Pioneer ha la stessa caratteristica di questo sigillo.
Non riporta le esatte dimensioni, non riporta le distanze, né
i ‘dettagli’ del nostro sistema solare.

Come possiamo vedere, Mercurio, Venere, Terra e Marte sono
mostrati delle stesse dimensioni, tutti i pianeti sono
equidistanti, non compare la fascia degli asteroidi, e
plutone è mostrato sulla stessa linea degli altri pianeti,
mentre sappiamo che è inclinato di 17° sull’ eclittica.


Si tratta, come nel caso del sigillo VA243, di
rappresentazioni artistiche, per cui sindacare su cosa e come
venga mostrato ha poco senso.


Saturno, inoltre, è privo dei suoi classici anelli (se i
sumeri hanno identificato tutti i corpi del sistema
planetario non potevano non conoscere questo importante
particolare).
Esiste, in realtà, una misconosciuta tavoletta che riporta
una raffigurazione tale da richiamare Saturno, i suoi anelli
e, più in generale, il sistema solare.


Sembra, effettivamente, di osservare il Sole, la Terra, la
Luna, Marte, la Cintura degli Asteroidi, Giove e Saturno
(Sitchin, in realtà, toglie la Terra ed inserisce Venere).
Panizza riporta il disegno di questo sigillo:


stavolta preso dal sito:
BIOSFERANOOSFERA


Ma anche in questo caso le cose sono diverse da come
appaiono. Come può essere considerata una rappresentazione
del sistema solare quando non si vedono né Venere e né
Mercurio, la Terra e la Luna non sono proporzionate, così
come né Marte, né Giove e né Saturno (che si tolga Venere o
la Terra, il discorso non cambia perché di incompletezza
sempre si tratta)?


E gli anelli? Perché il “pianeta” non è al loro centro e,
soprattutto, perché da essi non è “tagliato”?


E la Cintura degli Asteroidi? Si tratta, in realtà e molto
semplicemente, della cannuccia da cui si abbevera Ninkasi, la
dea della birra (da notare il contenitore nella quale si
immerge).


Anche qui stiamo parlando di una rappresentazione artistica,
sulla quale è inutile dissertare. Nessuno di noi può
pretendere di sapere cosa voleva comunicare l’ incisore e
perché abbia inserito nel sigillo in questione solo alcuni
pianeti.


Il sigillo originale comunque esiste, ed è esposto in un
museo con un suo disegno:


Mi viene spontanea solo una osservazione riguardante il
perché saturno sia ‘decentrato’ con i suoi anelli. Guardando
certe foto del pianeta, la mente non può non trovare una
somiglianza con il modo in cui esso è rappresentato nel
sigillo.


Per quanto riguarda la cintura degli asteroidi, è naturale
che essa sia, nel sigillo, la cannuccia del personaggio che
beve la birra. E’ appunto una rappresentazione artistica che
USA la cannuccia per rappresentare la fascia degli asteroidi…
stranamente infatti si trova proprio in quel punto, e non,
per esempio, tra ‘Giove’ e ‘Saturno’.


Urano è raffigurato, poi, più piccolo di Nettuno, quando in
realtà è il contrario. Ed, infine, Plutone. Anche in questo
caso le dimensioni non sono rapportate a quelli dei
“compagni” celesti. Si legge che l’orbita di Plutone è così
“pazza” da portarlo, in determinate occasioni, più
all’interno del sistema solare, togliendolo dalla posizione
di ultimo pianeta. Ciò corrisponde al vero ma, nella sua
rivoluzione attorno al Sole, può diventare, al massimo, il
penultimo corpo del sistema planetario (inteso nella sua
struttura classica) ma mai il terzultimo. Quindi, le sue
dimensioni, rapportate agli altri pianeti, risultano,
comunque, errate.


Questa obiezione è stata fatta in base all’ errore commesso
nella leggenda della immagine vista qualche pagina più sopra,
e perde senso nel momento in cui si ha la corretta
identificazione della posizione di Plutone. Non contento
Panizza sostiene che:


Sitchin ha cercato di rimediare successivamente a
quest’ultima incongruenza ipotizzando, dalla lettura dei
testi sumeri, che Plutone, nell’antichità, fosse un satellite
di Saturno (nel suo “Il dodicesimo pianeta”, infatti, la
sequenza dei pianeti poneva Plutone all’ultimo posto).
Con questa logica Plutone viene “retrocesso” nel sigillo fra
Saturno e Urano (cioè terzultimo), con Nettuno ultimo pianeta
rappresentato. In questo caso la triade Saturno – Urano –
Nettuno verrebbe rapportata nel sigillo nelle giuste
dimensioni. Ma le cose, dal punto di vista scientifico,
stanno in modo alquanto diverso.


In realtà Sitchin non ha mai aggiustato il tiro né cercato di
rimediare a nessuna incongruenza, infatti quando Panizza
scrive: “nel suo Il dodicesimo pianeta, infatti, la sequenza
dei pianeti poneva Plutone all’ultimo posto” si riferisce a
questa foto:


Nella quale E’ VERO che Plutone compare all’ ultimo posto, ma
NON E’ VERO che questa sia la disposizione del sigillo VA243.
Infatti per scoprirlo basta andare a leggere cosa scrive
Sitchin nel libro proprio prima di questa immagine:


[We usually show our solar system schematically as a line
of planets stretching away from the Sun in ever-increasing
distances. But if we depicted the planets, not in a line, but
one after the other in a circle (the closest, Mercury, first,
then Venus, then Earth, and so on).]


Cioè lui sta chiaramente affermando che quel disegno è la
disposizione del sistema solare, come noi lo conosciamo,
disposto non in linea ma in cerchio.


Questa disposizione è usata poi da Sitchin proprio per far
notare le discrepanze con il sigillo: la presenza di Nibiru,
e la diversa collocazione di Plutone.


Panizza osserva ancora:
Secondo la scienza, infatti, Plutone potrebbe essere stato
si, un satellite, non di Saturno, ma di Nettuno, questo in
considerazione del fatto che il suo moto è in risonanza 3:2
con quello di Nettuno.
Ciò significa che, mentre Plutone compie due orbite attorno
al Sole, Nettuno ne compie esattamente tre. Secondo teorie
più recenti, invece, quest’ultimo potrebbe essersi staccato
dalla fascia di Edgeworth-Kuiper, unitamente a Caronte e
Tritone. Questo perché hanno caratteristiche molto diverse
dai pianeti giganti ai quali sono vicini: hanno una maggiore
densità e hanno parametri orbitali molti diversi.


A mio avviso questa osservazione è una sorta di autogoal da
parte di Panizza. Cita due distinte teorie che assegnano due
distinte origini a Plutone…. C’ è allora da chiedersi perché
escludere quella che lo vede come ex satellite di Saturno,
tanto più che, come più volte detto, il sigillo rappresenta
la situazione che si aveva nella fase DI FORMAZIONE del
sistema solare. Non solo, come vedremo più avanti, l’ analisi
di questo sigillo in parallelo con l’ Enuma Elish permette
addirittura di stabilire QUALE momento particolare viene
immortalato nel sigillo.


Ora affrontiamo un’ altra obiezione di Panizza riguardo a
Plutone, legata alla fascia di Kuiper:


Ma, soprattutto, vi è un particolare che Sitchin sembra aver
dimenticato. Plutone, al pari di Quasar (grande la metà di
Plutone), Sedna (due terzi di Plutone) ed altri, è uno dei
migliaia di oggetti celesti di modeste dimensioni (tanto che
ora non è più considerato un pianeta) che circolano attorno
al nostro Sole (e facenti parte della cosiddetta Fascia di
Kuiper).


Quest’ultima è situata oltre l’orbita di Nettuno, il cui
primo componente è stato individuato solo agli inizi degli
anni Novanta. Questi corpi transnettuniani sono divisi in
varie famiglie a seconda del tipo di orbita, eccentricità
etc. Ora, lo scopritore di Plutone, l’astronomo Clyde
Tombaugh, avrebbe potuto benissimo, negli anni Trenta,
individuare, piuttosto che Plutone, un altro o più corpi
celesti della Fascia. Questo non avvenne perché il solo
Plutone, in quel periodo, transitava sufficientemente vicino
alla Terra. Se fosse stato all’altro capo della sua orbita
non sarebbe mai stato scoperto. Verrebbe osservato oggi
unitamente a tanti altri corpi celesti più o meno delle sue
dimensioni e mai considerati pianeti.


Appare, dunque, strano che i sumeri abbiano raffigurato uno
solo di questi corpi celesti e proprio Plutone.
Sarebbe, in altre parole, davvero una coincidenza singolare
che i sumeri/annunaki avessero considerato il sistema solare
esattamente come, e solo per una settantina d’anni, gli
uomini del XX° secolo (nel 1800 venivano definiti “pianeti”
anche gli asteroidi).


In sostanza l’ obiezione sostiene che dopo Nettuno non si
trova solo Plutone, ma un grandissimo numero di pianetini
chiamati ‘oggetti trans-nettuniani’ e quindi appare
improbabile che gli Anunnaki o i sumeri abbiano rappresentato
proprio Plutone e non uno di questi.
Osserviamo la fascia di Kuiper:


Effettivamente possiamo vedere che Plutone si trova proprio
all’ interno della fascia. L’ osservazione fatta da Panizza
da un lato è sensata, ma non completamente. Dobbiamo capire
come i sumeri conoscevano i pianeti esterni: non per
osservazione, ma perché gli furono descritti e nominati dagli
Anunnaki. Furono loro, nel loro viaggi di avvicinamento nel
sistema solare, a incrociare i singoli pianeti e, a tempo
debito, a parlarne ai sumeri. Se ci si sta chiedendo, a
questo punto, come mai questi Anunnaki abbiano parlato di
Plutone e non di uno qualsiasi degli altri corpi planetari
presenti nella fascia, si deve considerare che Plutone giace
in una regione particolare della fascia. Quasi tutti gli
altri corpi hanno una inclinazione maggiore rispetto all’
eclittica, hanno orbite più regolari; Plutone è in effetti un
caso particolare nella fascia di Kuiper. E che dire della
osservazione da Terra?

Viene obiettato che, in una eventuale
osservazione, Plutone è stato ‘identificato’ quasi per
sbaglio…. Sarebbe bastato un caso, identificarne un altro al
suo posto, e sarebbe stato quello il ‘Plutone’. Ma non
sarebbe stato lo stesso pianeta rappresentato dai sumeri.


A questo proposito bisogna chiarire che Eris, il pianeta nano
più grande del sistema solare, con un diametro di 60km circa
maggiore di quello di Plutone, sarebbe stato l’ unico
candidato a ‘prendere il posto’ di Plutone in una eventuale
identificazione. Questo almeno in teoria, perché nella
pratica le cose sono diverse.


A (quasi) parità di diametro, Eris ha una inclinazione di 27°
maggiore rispetto a Plutone (44°), ha un perielio di circa 38
UA mentre il perielio di Plutone sta a 29 UA, inoltre ha un
periodo orbitale di oltre 500 anni contro i 248 di Plutone.
Insomma Eris è più lontano, più inclinato, e più ‘lento’ di
Plutone.


Molto difficile che, se pur per caso, questo potesse essere
osservato al suo posto, inducendo così i sumeri a
‘sbagliare’. Non prenderò in considerazioni altri oggetti
della fascia di Kuiper, mi sembra di aver già esposto il
problema, ci tengo però a evidenziare che Sedna, nominato da
Panizza, viene impropriamente definito oggetto transnettuniano. Infatti la fascia di Kuiper per convenzione è la
zona che si estende da 30UA a 50UA, mentre il perielio di
Sedna sta a 76UA e il suo afelio addirittura a 975UA (5
giorni luce!). Non è quindi un oggetto trans-nettuniano,
tanto che il massimo esperto in materia, Alessandro
Morbidelli, astronomo dell’ Osservatorio della Costa Azzurra,
lo identifica come pianetino sfuggito alla Nube di Oort.


Non esiste un solo testo sumero inequivocabilmente di
astronomia, astrologia e matematica, che citi pianeti al di
fuori dei cinque tradizionali (Marte, Venere, Giove, Saturno
e Mercurio). E questo deve far pensare.


Non è proprio così, ma bisogna fare uan premessa: purtroppo
Sitchin commette un grosso errore quando parla di atrologia e
astronomia sumera, perchè allo stato attuale le uniche
tavolette di questo tipo ci vengono dal II e I millennio, non
dal periodo storico sumero. Sitchin parla a volte di
astronomia sumera perchè dà per scontato che queste tavolette
babilonesi o assire siano copie di precedenti sumere.
Comunque sia, le tavolette sono state scoperte a partire da
circa 150 anni fa. Già a quell’ epoca, forti della conoscenza
delle altre culture del globo, si credeva che ‘gli antichi’
conoscessero soltanto 5 pianeti (7 con la luna e il sole).
Non dimentichiamo che nel medioevo si riteneva che ne
esistessero solo 6. Quando, dunque, sono state rinvenute le
tavolette contenenti elenchi di stelle / pianeti, nell’
elenco si son identificati i 5 pianeti più la luna e il sole
e si è ripreso a contare gli stessi da capo. Per intenderci,
se le liste contenevano 9 nomi, il percorso di
identificazione è stato questo:


sole – mercurio – venere – terra – luna –
marte – giove – saturno – sole etc


Questo processo ci è indirettamente reso noto dal lavoro di
Enn Kasak e Raoul Veede intitolato “Understanding planets in
ancient Mesopotamia”. Ovviamente nella riga di testo qui
sopra ho riportato i corpi celesti così come noi li
conosciamo, e non nell’ ordine in cui erano considerati dai
sumeri. Intanto bisogna chiarire che le tavole astronomiche
ci giungono da fonti babilonesi ed assire, anche se con
terminologia sumera o accadica. Va inoltre capito che ogni
identificazione di pianeti e corpi celesti giunta fino a noi
non ci viene da testi di osservazione ‘per se’, e che i nomi
dei pianeti e corpi celesti ci giungono SOLO da liste in cui
questi nomi sono associati a divinità.


Ma non esiste UN elenco di come i sumeri e gli accadi
identificassero gli dei e i pianeti o in che ordine. Ne
esistono almeno 4 o 5, con ordini diversi e associazioni
diverse tra divinità e corpi celesti a seconda della città,
del periodo etc.


Anche le terminologie usate negli elenchi di corpi celesti
sono spesso confusionarie se ci si arena ancora alla nozione
secondo la quale in mesopotamia si conoscevano solo 5
pianeti. Un caso sintomatico è il pianeta Giove, da tutti
associato a Marduk, il cui nome era MUL.MARDUK o MUL.AMAR.UD.
Ebbene mentre in questo nome compare il nome del dio, che
permette di ritenere valida l’ identificazione, il problema
nasce con l’ epiteto di Giove MUL.BABBAR.


Infatti BABBAR era un nome legato univocamente a Shamash, il
cui tempio appunto si chiamava E.Babbar. Abbiamo quindi Giove
identificato con Marduk e poi con un nome che riferisce a
Shamash. Ma Shamash era il Sole, quindi qui abbiamo Giove
identificato con il Sole. E che dire di MUL.NEBERU
identificato come Giove, ma anche come stella, e in un altro
testo (Mul.Apin) identificato anche con Mercurio?


Il già citato Mul.Babbar era chiamato anche MUL.UD.AL.TAR
identificato sia in Giove sia nella stella Procione (a Canis
Minoris). Ovviamente queste sono tutte attribuzioni fatte
dagli studiosi in base a preconcetti ed analisi viziate dal
solito concetto dei ‘5 pianeti’.


Continuiamo con l’ analisi.


Me se gli undici cerchi non rappresentano i pianeti cosa
possono essere? Stelle. Rappresentano delle comunissime
stelle.
Basti vedere la rappresentazione sumerica del gruppo stellare
delle Pleiadi.
Viene proposta questa immagine:


E poi viene aggiunto:


Sette stelle rappresentate, sette stelle visibili ad occhio
nudo (sono anche chiamate le Sette Sorelle), sei delle quali
che hanno sostanzialmente la stessa luminosità apparente (per
questo, probabilmente, i cerchi che le rappresentano, sono
molto simili).


Questa associazione è molto comune nel mondo antico (e nulla,
quindi, hanno a che fare con le immagini di pianeti).
Sitchin, al contrario, immagina che sette sia il numero di
pianeti che gli Annunaki incontrerebbero entrando nel sistema
solare per arrivare alla Terra.

Al di la dell’obiezione che i
cerchi rappresentano stelle e non pianeti, rimane sempre
valida la considerazione che il numero dei pianeti che
compongono il sistema solare è una convenzione e, come tale,
mutata e mutabile nel tempo.


Parliamo delle pleiadi.


Questa identificazione è universalmente accettata dagli
orientalisti in base alle righe 13 e 14 del Mul.Apin, una
delle tavole astronomiche babilonesi. La traduzione ufficiale
di queste righe è:

  1. The Star Cluster (MUL.MUL) [Pleiades] rises and the
    Scorpion (GIR.TAB) [head of Scorpio] sets.
  2. The Scorpion GIR.TAB rises and the star cluster MUL.MUL
    sets.

Intanto dobbiamo specificare che, seppur accettata pressochè
da tutti gli studiosi, l’ associazione dei 7 pallini alle
Pleiadi é solo una ipotesi, della quale tra l’ altro non è
mai stata data una motivazione. Questo concetto é ben
espresso dalle studiose Ulla Koch-Westenholz e Ulla Susanne
Koch le quali scrivono che “Almeno in qualche caso potrebbero
rappresentare le Pleiadi, ma il loro significato nei cilindri
é sconosciuto”. Al di la di questo particolare, osserviamo le
pleiadi:


Notiamo innanzitutto, in questa immagine, che ne sono
identificate 9 e non 7. I loro nomi vengono dalla tradizione
greca che ne ha osservato fino a 9. Facciamo una ricerca di
altre immagini e vediamo quale è la situazione:


In questa foto addirittura gli oggetti ‘maggiori’ e più
visibili sono 5. In effetti a occhio nudo le Pleiadi appaiono
come un insieme di 5 stelle, e nei cieli più scuri (senza
illuminazione artificiale) se ne vedono a occhio nudo 6.


Nonostante ciò, con un modesto cannocchiale se ne vedono fino
a 13. Si sostiene che i 7 globi siano le pleiadi, e che con
questo numero fossero note fin dall’ antichità; in realtà non
è così, infatti Ovidio affermava “le quali si dice siano
sette, ma tuttavia sono solite essere sei”. Tolomeo ne citava
4, e Restoro D’Arezzo le descriveva come un ammasso di 6
stelle. Insomma a seconda della fonte il numero delle pleiadi
cambia, invece nei sigilli sumeri i 7 globi sono una
costante, e sempre identificati con le pleiadi dagli
studiosi.

Ciò appare una scelta arbitraria poiché se il
numero delle stelle, osservazione, è variabile, non è dato
sapere perché i sumeri ne rappresentassero sempre e solo 7,
un numero tra l’ altro quasi mai visibile a occhio nudo.
Quasi sempre se ne vedono 5, molte volte 6, in rari casi 9,
quasi mai 7.


Nel passaggio di Panizza poco fa citato c’ è un altro
particolare da notare, lui afferma: “Al di la dell’obiezione
che i cerchi rappresentano stelle e non pianeti”


Ciò per i sumeri e i babilonesi non è vero. Loro non facevano
distinzione tra stelle e pianeti, a volte i pianeti venivano
chiamati ‘stelle fisse’ e altre volte trovavamo il termine
‘stella errante’ o ‘stella nomade’; gli studiosi reputano
queste terminologie ambigue ma di solito identificano le
‘stelle erranti’ con i pianeti, a causa del fatto che mentre
le stelle occupano sempre la stessa posizione (che varia solo
a causa del movimento del nostro punto di osservazione) i
pianeti si muovono in una orbita.


Però i babilonesi usavano lo stesso termine MUL (KAKKAB)
indistintamente per pianeti e stelle.


Anche il loro simbolo era lo stesso, e perfino il glifo
cuneiforme. Di fatto, leggendo un testo astronomico
babilonese, e dimenticandosi le convenzioni ormai
standardizzate, non è possibile stabilire in nessun caso se
il testo parla di un pianeta o di una stella. Ogni
identificazione infatti è stata fatta in base alle
descrizioni dei nomi che comparivano nelle tavole
astrologiche babilonesi in particolari segmenti che
contenevano frasi del tipo:


mul sa sa ina Zi.U lu E.Gir dingir mesh.gi ti
ug.na.mi.ru.nim.ma
Am.e Bar.ma Gub.iz mul bi d.Neberu d.Amar.ud


tradotto con:
la stella rossa che giace nel sud dopo che gli dei della
notte hanno finito, dividendo il cielo, questa stella è
Nibiru il dio Marduk


che ha permesso di stabilire che si tratta di una stella e
non di un pianeta. Eppure il termine usato è comunque MUL ed
è attribuita a Marduk / Neberu esattamente come nel
passaggio:


dish mul-Udu.Idim.Gu ud An.e Bar.ma Gub.ma d.Neberu shum.shu


tradotto con:
Se Mercurio attraversa il cielo e si ferma il suo nome è
Nibiru


Che invece identifica un pianeta.


Vediamo dunque che formalmente i babilonesi non avevano una
distinzione tra stelle e pianeti. Non è superfluo notare che
il termine MUL viene da MU + UL che significa ‘ornamento
della notte’, avendo così un carattere assai generico.


Dopo la frase precedentemente vista Panizza però corregge:


Le stelle, però, possono essere rappresentate anche nella
forma classica e a noi famigliare (e così simile al
cosiddetto “Sole” del sigillo); entrambe le rappresentazioni
possono coesistere nella medesima opera artistica.
Cioè le stelle possono essere rappresentate anche con le
classiche ‘punte’ (porta 3 immagini come esempio).


Questa osservazione allora ci deve far porre una domanda: nel
sigillo VA243 abbiamo una figura a 6 punte, compatibile con
la rappresentazione iconografica di una stella, e 11 globi,
secondo Panizza anche queste stelle. Di cosa si tratta
allora?


E perché non può essere il sole (che effettivamente è una
stella) con 11 pianeti intorno? Come abbiamo visto il sole
era considerato un oggetto celeste alla pari degli altri, e
come abbiamo visto in termini di nomenclatura non esisteva
differenza tra ‘stella’ e ‘pianeta’.

E’ dunque credibilissimo
che gli accadi lo abbiano rappresentato con le punte di una
stella ma lo avessero conteggiato come ‘oggetto celeste’
parificato ai pianeti. Tutti erano comunque dei MUL. Se ciò
sembra strano, si consideri che nei testi astrologici dell’
era tardo-babilonese il sole era chiamato MUL.BABBAR
esattamente con lo stesso nome visto precedentemente per
Giove.


Successivamente Panizza affronta il probema dei ‘globi’
affrontando due teorie, una secondo la quale i globi
rappresentassero la ‘dodecapoli’ sumera, cioè le 12 città
stato di Sumer, la seconda teoria invece fu avanzata dalla
rivista ‘Sky & Telescope’ nel 2000 e analizzava la figura del
VA243 sostenendo che fosse una rappresentazione di Giove nel
Sagittario.


Non mi importa in questo documento affrontare queste due
teorie, la prima perché assurda (si è criticata la ‘mancanza
di fedeltà nelle dimensioni e distanze dei globi del sigillo
e si fa il paragone con 12 città sparse in maniera
completamente diversa dal sigillo) e la seconda perché già
smontata dallo stesso Sitchin nel suo sito, come si può
leggere QUI.


Salto quindi alla parte finale del documento di Panizza:


Sitchin, dal canto suo, non si è lasciato sfuggire
l’occasione per dimostrare l’inconsistenza di questa teoria.


Ci sarebbe, piuttosto, da chiedersi come mai non replichi a
obiezioni ben più consistenti e avanzate da più parti.
Sbaglia, in ogni caso, a considerare il caso della Teiera
come una prova della veridicità del proprio punto di vista.
Se, infatti, può non essere ben chiaro cosa il sigillo
rappresenti, lo è invece, al di la di ogni ragionevole
dubbio, cosa non sia (e cioè il nostro sistema solare).


Ritornando al discorso “Pleiadi”, per correttezza di
informazione, va ricordato che, in notti eccezionalmente
serene, se ne possono contare fino a dodici (il che può
essere sospetto, anche se, non dimentichiamo, la loro
classica rappresentazione è in forma di “sette”).


Sitchin non è mai intervenuto per rispondere alle critiche
mossegli, questa può essere presa come una pecca o come un
pregio, una sorta di ‘non volersi abbassare’ a polemiche. Del
resto esperienza insegna che (e lo ho dimostrato in questo e
tanti altri documenti) gran parte di queste critiche mosse
sono inconsistenti e giustificate soltanto dalla ignoranza o
da una ricerca poco approfondita. A parte ciò, Panizza
conclude con una asserzione che non ha assolutamente
dimostrato, quando dice che è evidente al di la di ogni
dubbio che il VA243 non rappresenta il sistema solare. Solo
quando ribatterà a questo documento, provando i miei errori,
potrà permettersi di fare questa dichiarazione.


Tralascio anche la ‘conclusione’ di Panizza inquanto affronta
temi riguardanti Carl Sagan, e rispolvera cose di cui ha già
parlato e che ho già commentato. Non mi interessa commentare
la sua opinione, ognuno ha diritto di avere la propria,
perciò concludo questo articolo con alcune considerazioni
strettamente relative a questa stessa trattazione e i suoi
contenuti.


In un determinato punto di questo articolo ho scritto:


“Non solo, come vedremo più avanti, l’ analisi di questo
sigillo in parallelo con l’ Enuma Elish permette addirittura
di stabilire QUALE momento particolare viene immortalato nel
sigillo.”


Ebbene è venuto ora il momento di identificare questo
particolare momento. Per farlo devo muovere io stesso una
possibile obiezione, che stranamente è sfuggita sia a Heiser
sia a Panizza.


Il sigillo VA243 mostra un pianeta tra Marte e Giove, eppure
mostra il resto del sistema solare con gli elementi che noi
tutti conosciamo. Questo, in effetti, potrebbe essere una
incongruenza, perché, come ha fatto notare Jason Colavito e
come hanno evidenziato due sumerologi italiani su un numero
della rivista ‘Area di Confine’, il pianeta in più potrebbe
essere non Nibiru ma Tiamat, il pianeta primevo da cui nacque
la Terra. Eppure il sigillo mostra chiaramente anche la
Terra. Oppure, se il pianeta intruso è Nibiru e non Tiamat,
allora il sigillo dovrebbe rappresentare Plutone nella sua
posizione attuale, e non quella ‘originale’, inquanto nell’
epica della creazione Gaga (Plutone) era un satellite di
Anshar (Saturno) prima dell’ arrivo di Nibiru.


Questa, che è la unica obiezione sensata che io abbia mai
trovato a riguardo del sigillo, cade però in seguito all’
analisi del testo Enuma Elish.


Infatti, tenendo presente che la ‘battaglia celeste’ narrata
avviene in una fase di formazione del sistema solare, cioè
quando le posizioni e le orbite non erano ancora ben
definite, c’ è un passaggio ‘chiave’ che spiega cosa
successe.


Dopo che Tiamat è stato distrutto, e la sua metà è stata
gettata tra Venere e Marte a formare la Terra, Nibiru si
avvia verso l’ esterno del sistema solare. Il testo afferma
che Marduk (Nibiru) si diresse verso ‘il profondo’ scrutando
la ‘struttura degli abissi’, e stabilì li una dimora, l’ Esara, in cui avrebbero dimorato alcune divinità.


And he founded E-sara, a mansion like unto it.
The mansion E-sara which he created as heaven,
He caused Anu, Bel, and Ea in their districts to inhabit.


Il termine E-Sara (E.Shara nella versione di King ed Esharra
in quella di Sandars) è alquanto ostico perché di non univoca
traduzione. Potrebbe significare ‘casa o zona che delimita il
tempo o lo spazio’ (ricordiamo che il sar in sumero era una
unità di misura molteplice, applicata con diversi valori sia
alle misure del tempo che a quelle di spazio) ma anche ‘casa
da cui si inizia’ o ‘casa da cui si esce’.

E’ importante
notare questi ultimi due significati perché, per chi arriva
dall’ esterno del sistema solare, la zona E-Sara sarebbe
proprio il punto iniziale del sistema, e parimenti per chi
viaggia verso l’ esterno partendo, ad esempio, dalla Terra,
l’ E-Sara rappresenta la zona da cui ‘si esce’ dal sistema
solare.
In questo passaggio Bel prende il posto di Gaga (Plutone).
Bel è Enlil, come identificato dal testo riguardante Ninurta
commentato da Stephanie Dalley:


Ninurta was the son of Enlil (Akkadian: Bel)
and Ninlil (Belit) and was married to Bau


e l’ Eshara era la zona dei ‘cancelli di Anu, Enlil ed Ea’,
come riportato nell’ epica di Etana:


After they had ascended to the heaven of Anu,
They passed through the gates of Anu, Enlil and Ea,
The eagle and Etana did obeisance together


Dunque cosa ci permette di stabilire questa analisi dei
testi? Che prima che fosse ‘creata’ l’ Eshara, cioè fosse
stabilita una zona ‘periferica’ del sistema solare con le sue
orbite come ora le conosciamo, Gaga / Plutone era ancora
nella zona interna del sistema solare.

E’ questo il momento
‘fotografato’ nel sigillo VA243, il periodo di tempo
successivo alla creazione della Terra ma precedente alla
creazione dell’ Eshara.


ALTRE CRITICHE
E’ giunto il momento di analizzare altre critiche minori alla
teoria di Sitchin sul sigillo. Sono sostanzialmente due.


1) il ‘pianeta in più’


Questa obiezione é espressa da Panizza nel suo articolo
revisionato e da Biagio Russo in un articolo nel suo sito.
Leggiamo cosa scrivono:


Panizza:
Un’ultima cosa, se si osserva attentamente il sigillo in
questione si può notare, fra il cosiddetto “offerente” e l’
”uomo seduto”, un piccolo ed isolato cerchio.
Il ‘pallino in più’ é visibile al centro del sigillo, ecco un
dettaglio:

Russo:
Spostando la nostra attenzione più verso destra, rispetto al
“particolare decorativo” in questione, notiamo che tra il
secondo personaggio in piedi e l’oggetto (si tratta di un
aratro tenuto dall’altro personaggio seduto) ***[Si tratta di
due divinità, dal momento che indossano entrambi il tipico
copricapo con le coma.] è presente un altro 2pallino”
Un pallino simile agli altri intorno al Sole.
Quindi un altro pianeta? Se di ciò si trattasse, perché mai è
stato raffigurato talmente distanziato da ritenerlo lontano
dagli altri undici? Certamente la risposta sembra quasi
scontata: si tratterebbe del dio/pianeta Marduk (o Nibiru)
creato nel profondo del cielo e proveniente dallo spazio
esterno.


Nondimeno, ci sono alcune considerazioni per le quali la
soluzione appena enunciata vacilla enormemente:

-tra gli 11 corpi celesti, che attorniano la stella a sei
punte, Nibiru sarebbe stato già considerato, quindi, in uno
dei due inserimenti esso risulta essere di troppo;

-il pianeta risulta ripetuto in relazione alla cosmogonia
del testo sumero-babilonese che mette in scena solo 11 e non
12 dèi/pianeti più un dio/Sole, come invece dal sigillo
risulterebbero essere.


La risposta a questa obiezione é quanto mai facile. Il
puntino si trova a far parte di un altro registro, un’ altra
zona del sigillo che non ha attinenza con il dettaglio
astronomico. E’ dunque scorretto assocciarlo ad esso per
sostenere un’ incoerenza di interpretazione. Inoltre il
puntino é visibilmente molto diverso dai ‘pianeti’ del
dettaglio astronomico, e propenderei più per una imperfezione
del sigillo.


2) L’ unica rappresentazione esistente


Questa critica, letta sporadicamente nei vari forum su
internet, sostiene che questo sigillo sarebbe l’ unica
rappresentazione esistente di un ipotetico sistema solare con
un sole al centro e 11 globi intorno, quindi la sua
interpretazione sarebbe da scartare vista la mole di sigilli
ritrovati. Secondo questa obiezione, se nell’ antichità
davvero si fosse saputo che il sistema solare era così
composto avremmo dovuto ritrovare non solo una, ma svariate
rappresentazioni simili al VA243.


Ebbene il VA243 non è affatto l’ unica rappresentazione. Ne
riporto qui altre due, meno famose, artisticamente
somiglianti, con tanto di descrizione.

Bene provate a contare in questi sigilli il numero di pallini
che circondano la sfera centrale: sono esattamente 11 (nel
secondo sigillo, alcuni sono rovinati ma se ne riconosce
chiaramente la forma quindi se ne può contare con precisione
il numero). Non solo, anche questi due sigilli, come il
VA243, calano questa rappresentazione in un contesto che
nulla ha di astronomico, usandola semplicemente come
decorazione, una indicazione che forse per gli incisori
questa rappresentazione non era qualcosa di ‘speciale’, ma
una ordinarietà, o comunque una nozione ormai acquisita e
assodata.


Anche in questo caso dunque la critica è fallace e
immotivata.


Per chiudere la questione, ecco qui di seguito un breve
vademecum che risponde alle principali critiche alla
interpretazione sitchiniana del sigillo:


1) quelli intorno al sole non sono pianeti ma stelle


Improbabile, si tratterebbe di 11 stelle di varie dimensioni
che avessero una qualche relazione con una più grande (visto
che sono disposte intorno ad essa). Inoltre i due sistemi
‘doppi’ identificano pianeta e satellite. Generalmente chi
sostiene siano stelle si basa sul fatto che in altri sigilli
sumeri ci sono globi ipotizzati essere stelle, quindi l’
ipotesi delle ‘stelle’ del VA243 si basa su altre ipotesi.
Inoltre la glittica mesopotamica é piena di raffigurazioni di
stelle con raggi. Perchè allora rappresentarne 11 come globi
e una sola (il sole) con i raggi?


2) l’ iscrizione del sigillo VA243 non supporta un
significato astronomico


E’ normale che non supporti un significato astronomico o
astrologico perchè il sigillo non é di questo genere. E’ un
sigillo votivo che illustra il dono dell’ agricoltura e l’
iscrizone si riferisce a questo significato. Il contenuto
astronomico é un dettaglio come si riscontrano in centinaia
di sigilli di diverso genere e scopo.


3) i pianeti non rispecchiano le dimensioni e i rapporti dei
pianeti nel sistema solare


Essendo una rappresentazione artistica, é normale sia così.
Nonostante questo la fedeltà con cui il sistema solare é
rappresentato é notevole: escludendo Nibiru, abbiamo 4
pianeti maggiori (saturno giove urano e nettuno) e 5 minori
(mercurio venere marte terra e plutone)


4) Plutone é mostrato tra i presunti Saturno e Urano e non
nella sua posizione consona


Accettando la lettura cosmogonica dell’ Enuma Elish, la
posizione di Plutone nel VA243 trova una spiegazione precisa:
si trovava in quella posizione prima di essere trasportato
nella posizione attuale da Nibiru. Il momento ‘fotografato’
nel VA243 potrebbe essere quello che intercorre tra la
formazione della terra dalla distruzione di Tiamat e la
formazione dell’ Eshara (la zona esterna del sistema solare).


5) Saturno non é mostrato con gli anelli


Trattandosi di una rappresentazione artistica, e non di un
sigillo astronomico, é normale. Del resto la targa
commemorativa prodotta dalla Nasa per il Pioneer non riporta
la fascia degli astroidi e pone Plutone sullo stesso piano
degli stessi altri pianeti.


http://www.setv.org/jpgs/pioneer_10_plaque.gif


In nessuna rappresentazione artistica dovremmmo aspettarci
eccessiva fedeltà nei particolari. Ma c’ è un’ altra
possibile ragione: il dettaglio del VA243 mostra un riscontro
grafico di una precisa fase della formazione del sistema
solare, come ipotizzabile interpretando l’ Enuma Elish in
chiave astronomica. Dunque in quella fase Saturno poteva
anche non avere anelli i quali, secondo le ultime teorie,
dovrebbero essersi formati circa 100 milioni di anni fa.


6) Mercurio e Venere sono mostrati come sistema
‘pianeta/satellite’ quando invece somo 2 pianeti distinti


L’ ipotesi che Mercurio e venere fossero un sistema
pianeta/satellite é stata studiata negli anni 70, non é mai
stata confermata ma mai smentita. Anzi nello studio
scientifico regolarmente pubblicato si specifica che non è
stato possibile dimostrarne l’ infondatezza.


http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/0019103576901160

Articolo di Alessandro Demontis


Versione aggiornata 2013


FONTI:
http://www.scribd.com/doc/26546644/Analisi-del-sigillosumero-VA243
http://falsimisteri.myblog.it/archive/2012/04/29/sitchin-ela-bufala-del-sigillo-sumero-va-243.html
http://www.michaelsheiser.com/va_243%20page.htm
http://www.ezida.com/kudurruhaut.htm
http://gizidda.altervista.org/archeo/VA243seal_file/vanflande
rn.pdf

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