MITI

Antichi misteri

Una piattaforma di danza per giganti
Di che vivevano gli antichi egiziani?
Khufu era dunque un truffatore?
Perché le piramidi furono costruite proprio là dove ora le vediamo?
Salme viventi per surgelazione?
Preistorici creatori di figurini di moda
Il metodo del C14 è assolutamente sicuro?

A nord di Damasco sorge la terrazza di Baalbek: una piattaforma costruita con blocchi di pietra, alcuni dei quali hanno una lunghezza di 20 metri e pesano circa 2.000 tonnellate. L’archeologia non ha potuto finora spiegarci in modo convincente perché, come e da chi sia stata costruita la terrazza di Baalbek. Il professore russo Agrest considera tuttavia possibile che si tratti dei resti di una gigantesca piattaforma d’atterraggio. Se dunque, da bravi scolaretti, prendiamo conoscenza della storia antica, quale ci viene in bell’ordine ammannita dai manuali, l’antico Egitto venne a trovarsi improvvisamente e senza transizione nel bel mezzo di una fantastica civiltà. Grandi città e templi giganteschi, statue di enormi dimensioni e di straordinaria forza espressiva, strade trionfali fiancheggiate da figure imponenti, perfetti impianti di canalizzazione, tombe principesche scavate nella roccia, piramidi di sbalorditiva grandezza… queste e molte altre cose meravigliose sbocciarono quasi dal terreno. Veri miracoli, in un paese che senza una fase accertabile di preistoria si mostra improvvisamente capace di tali realizzazioni. Solo nel delta del Nilo, e lungo due strette strisce di pianura, a destra e a sinistra del fiume, si trovava terreno coltivabile e fecondo. Ma ora gli esperti calcolano il numero degli abitanti, al tempo della costruzione delle grandi piramidi, intorno ai 50 milioni di uomini (cifra, del resto, in evidente contraddizione con quei 20 milioni di uomini che si sogliono attribuire alla popolazione totale del globo nell’anno 3.000 a.C.). In queste valutazioni fantastiche due o tre milioni di uomini in più o in meno non hanno importanza: resta il fatto che dovevano essere tutti nutriti. Non c’era solo un gigantesco esercito di muratori, scalpellini, ingegneri e marinai, non c’erano solo centinaia di migliaia di schiavi: c’erano anche truppe bene armate, una numerosa casta sacerdotale che viveva nel lusso, innumerevoli commercianti, contadini, impiegati e, non ultima, una corte principesca di grande splendore. Potevano vivere tutti, proprio tutti degli scarsi prodotti agricoli del delta del Nilo? Ci dicono che i grandi blocchi di pietra usati nella costruzione delle piramidi furono trasportati su rulli di scorrimento. Certamente rulli di legno! Ma è assai improbabile che i pochi alberi, per lo più palme, che crescevano allora – come del resto anche oggi – in Egitto siano stati tagliati e trasformati in rulli, perché i datteri erano assolutamente necessari come nutrimento e i tronchi e le foglie delle palme erano l’unico mezzo per ottenere un po’ d’ombra su quel terreno riarso..D’altra parte, doveva necessariamente trattarsi di cilindri di legno: altrimenti la costruzione delle piramidi non avrebbe la minima spiegazione tecnica. Allora si importò il legname? Per l’importazione da paesi stranieri sarebbe stata necessaria una flotta considerevole, e, sbarcata la merce ad Alessandria, si sarebbe dovuto trasportarla a Memfi risalendo il corso del Nilo. Poiché gli egiziani al tempo della costruzione delle grandi piramidi non conoscevano ancora il carro e il cavallo – che furono introdotti solo sotto la XVII dinastia, intorno al 1.600 a.C. – non esisteva alcun’altra possibilità. Un regno per una spiegazione convincente! Sarebbero occorsi, ci dicono, dei rulli di legno… La tecnica dei costruttori delle piramidi presenta innumerevoli enigmi e nessuna vera e propria soluzione. Come hanno scavato le tombe nella roccia? Quali mezzi avevano a disposizione per tracciare quei labirinti di stanze e corridoi? Le pareti sono levigate e per lo più ornate di pitture a rilievo. Le imboccature a pozzo scendono oblique nel suolo roccioso, con gradini di ottima fattura della miglior tecnica artigiana, che portano alle camere funebri sotterranee. Schiere di turisti guardano ammirati, ma nessuno può dar loro una spiegazione sulla misteriosa tecnica degli scavatori. D’altra parte, gli egiziani padroneggiavano senza dubbio questa loro arte dello scavo rupestre da tempi antichissimi, poiché le tombe ipogee più antiche presentano la stessa accurata esecuzione di quelle recenti. Fra la tomba di Teti, della vi dinastia, e quella di Ramses I, del Nuovo Regno, non v’è alcuna differenza, benché fra le due tombe passino almeno 1.000 anni. Evidentemente, una volta imparata la vecchia tecnica, non si è saputo trovare nulla di meglio: anzi i lavori successivi divennero via via copie sempre più scadenti dei vecchi modelli. Il turista che a bordo di un altalenante cammello di nome “Bismarck” o “Napoleone” – a seconda della nazionalità del suo impresario – viene sballottato su verso la piramide di Cheope, a occidente del Cairo, sente dentro di sé quello strano brivido che sempre danno le reliquie di un inafferrabile passato. Gli spiegano che qua e là un faraone si fece scavare una tomba ipogea, e con questa erudizione scolastica, rinverdita per l’occasione, se ne torna a dorso di cammello alla nostra civiltà occidentale non senza aver scattato le sue due o tre sensazionali fotografie. Soprattutto intorno alla piramide di Cheope sono state avanzate alcune centinaia di insostenibili e assurde teorie. Nel libro di Charles Piazzi Smyth “Our inheritance in the Great Pyramid”, di ben 600 pagine, pubblicato nel 1864, leggiamo una tal quantità di riferimenti e connessioni fra la massa della piramide e la nostra sfera terrestre da far rizzare veramente i capelli. Tuttavia, anche dopo il più accurato esame critico restano sempre alcuni fatti che ci lasciano pensierosi. È noto che gli antichi egiziani praticavano un vero e proprio culto del Sole: il loro dio del sole Ra attraversava il cielo nella sua barca. Alcuni testi dell’Antico Regno, rinvenuti nelle piramidi, ci descrivono perfino qualche viaggio del re attraverso il cielo, che il sovrano naturalmente compiva con l’aiuto degli dei e delle loro barche. Anche gli dei e i sovrani d’Egitto si davano ai voli… È proprio un caso che l’altezza della piramide di Cheope, moltiplicata per un miliardo, corrisponda pressappoco alla distanza fra la Terra e il Sole, ossia al rispettabile percorso di 149.504.000 chilometri? è un caso che un meridiano tracciato attraverso la piramide divida i continenti e gli oceani in due metà esattamente eguali? è un caso che l’area di base della piramide,divisa per il doppio dell’altezza, dia come risultato il famoso numero = 3,1416? è un caso che si siano trovati calcoli sul peso della Terra? è un caso che il terreno roccioso su cui sorge la piramide sia livellato con tanta accuratezza e precisione? Non si è trovato alcun cenno che ci spieghi perché il faraone Khufu, costruttore della piramide di Cheope, abbia scelto proprio quella rupe nel deserto per erigervi la propria tomba. Si può pensare che qui ci fosse un valico naturale nella roccia, ch’egli utilizzò per la sua colossale costruzione; un’altra spiegazione, sebbene piuttosto zoppicante, sarebbe il fatto che il sovrano voleva osservare dalla sua residenza estiva come procedessero i lavori. Entrambe queste ragioni sono contro il buon senso: da una parte sarebbe stato decisamente più pratico costruire in un luogo più vicino alle cave orientali, per abbreviare il trasporto, e dall’altra è difficile che il faraone fosse disposto a sopportare per anni e anni il molesto fracasso che anche allora riempiva giorno e notte i cantieri. Poiché tanti motivi contraddicono le spiegazioni date dai libri illustrati sulla scelta del luogo, è lecito chiedersi se forse anche qui non fossero intervenuti gli “dei”, magari soltanto attraverso le tradizioni custodite dai sacerdoti. Ammettendo una tale interpretazione, si avrebbe un’altra importante prova per la nostra teoria fantascientifica del passato dell’umanità. La piramide infatti non solo divide continenti e oceani in due metà esatte, ma è posta inoltre nel centro di gravità dei continenti. Se i fatti che abbiamo citati non sono dovuti al caso – ed è estremamente difficile crederlo – il luogo della costruzione sarebbe stato indicato da esseri che erano perfettamente informati della forma sferica della Terra e della distribuzione dei mari e dei continenti. Dovremmo ricordarci qui delle carte geografiche di Piri Reis. Non tutto si può spiegare col caso o con la leggenda. Con quale forza, con quali “macchine”, con quale impiego di mezzi tecnici fu livellato il terreno roccioso? In che modo gli architetti egiziani praticarono i cunicoli? E come li illuminavano? Né qui né nelle tombe rupestri della Valle dei Re si sono rinvenute fiaccole o qualcosa di simile: non vi sono soffitti o pareti annerite dal fumo, né vi è il minimo segno che queste tracce siano state cancellate. Come e con che strumenti si segarono i giganteschi blocchi di pietra nelle cave? Come si ottennero gli spigoli precisi e le superfici laterali ben lisce? Come si trasportarono i blocchi, e come si sovrapposero con quella millimetrica precisione? Naturalmente, anche qui, ci si offre un mucchio di spiegazioni a scelta: piani inclinati; piste di sabbia, su cui si spingevano i blocchi di pietra; impalcature, rampe, terrapieni… e naturalmente il lavoro di molte centinaia di migliaia di formiche egiziane: fellah, contadini, artigiani… Ma nessuna di queste spiegazioni resiste a una considerazione critica. La grande piramide è (e resterà?) testimonianza visibile di una tecnica non mai compresa. Oggi, nel XX secolo, nessun architetto, anche se avesse a disposizione i mezzi tecnici di tutti i continenti, potrebbe costruire un’altra piramide di Cheope. 2.600.000 giganteschi blocchi di pietra furono tagliati dalle cave, squadrati e trasportati sul cantiere, e qui sovrapposti con millimetrica precisione. E nelle profondità dei corridoi interni le pareti furono dipinte a colori. La scelta del posto fu dunque un capriccio del faraone… Le inarrivabili misure “classiche” della piramide sono venute in mente al suo architetto per caso… Molte centinaia di migliaia di operai spinsero e trasportarono su rulli di legno (inesistenti) con funi (inesistenti) blocchi di pietra del peso di dodici tonnellate su per una rampa… Questo esercito di operai viveva di frumento (inesistente)…Dormiva in (inesistenti) capanne che il faraone aveva fatto costruire davanti al suo palazzo d’estate… Attraverso un altoparlante (inesistente) il lavoro degli operai veniva ritmato con un incoraggiante “oh-issa!” e così il blocco di dodici tonnellate si alzava verso il cielo… Se i solerti operai avessero raggiunto l’altissima resa collettiva di dieci blocchi sovrapposti al giorno, avrebbero impiegato – secondo questa spiegazione aneddotica – 250.000 giorni, ossia 687 anni, per sistemare in splendida piramide quei due milioni e mezzo circa di blocchi di pietra. E non si dimentichi che il tutto sorgeva per capriccio di un eccentrico sovrano, che non vide mai la fine dell’opera da lui ispirata. Terribilmente bello, e infinitamente triste. Non occorre sprecar parole per dire che questa teoria, presentataci con tanta serietà, è semplicemente ridicola. Chi è così ingenuo da credere che la piramide non fosse altro che la tomba di un re? E chi considererà un puro caso la trasmissione di segni matematici e astronomici? Nessuno contesta oggi l’attribuzione della grande piramide al faraone Khufu, come ispiratore e costruttore. Perché? Perché tutte le iscrizioni e le tavolette parlano di Khufu. A noi sembra incontestabile che la piramide non poté sorgere nell’arco di una sola vita umana. E se invece Khufu avesse fatto falsificare le iscrizioni e le tavolette che dovevano celebrare la sua gloria? è questo un sistema non raro nell’antichità, come molti edifici possono testimoniare. Quando un sovrano dispotico ha voluto la gloria tutta per sé, ha sempre adottato questo procedimento. In questo caso, dunque, la piramide sarebbe esistita già molto tempo prima che Khufu vi lasciasse i suoi biglietti da visita. Nella biblioteca di Oxford è conservato un manoscritto in cui lo scrittore copto Mas-Udi afferma che il re egiziano Surid avrebbe fatto costruire la grande piramide. Cosa assai singolare, questo Surid regnò in Egitto prima del diluvio. E, cosa ancora più strana, questo saggio re Surid ordinò ai suoi sacerdoti di stendere per iscritto la somma della loro saggezza e di nascondere i testi nell’interno della piramide. Secondo la tradizione copta, la piramide di Cheope è quindi sorta prima del diluvio. L’ipotesi è confermata da Erodoto nel II libro delle sue Storie: i sacerdoti di Tebe gli avrebbero mostrato 341 figure colossali, ognuna delle quali indicava una generazione di sommi sacerdoti da 11.340 anni. Ora, è noto che ogni grande sacerdote si faceva scolpire la propria statua già mentre era in vita: così anche Erodoto parlando del suo viaggio a Tebe ci riferisce che tutti i sacerdoti gli mostrarono ciascuno la propria statua per dimostrargli che sempre il figlio era succeduto al padre. E i sacerdoti gli assicurarono che i loro dati erano assolutamente sicuri, poiché da generazioni e generazioni avevano tutto registrato, e dichiararono che ognuna di quelle 341 figure rappresentava appunto una generazione, e che prima di queste 341 generazioni gli dei erano vissuti in mezzo agli uomini, mentre in seguito nessun dio in forma umana aveva visitato la Terra. Solitamente l’età dell’Egitto storico viene calcolata in 6.500 anni. Perché dunque i sacerdoti mentirono così spudoratamente al viaggiatore Erodoto, coi loro 11.340 anni? E perché affermarono espressamente che da 341 generazioni gli dei non erano più venuti ad abitare in mezzo a loro? Questi dati cronologici così precisi, dimostrati sulla scorta delle statue, sarebbero stati assolutamente inutili, se nella più remota antichità effettivamente gli “dei” non avessero vissuto in mezzo agli uomini.Sul come, il perché e il quando della costruzione della piramide non sappiamo assolutamente nulla. Siamo davanti a una montagna artificiale, alta quasi 150 metri, che pesa 31.200.000 tonnellate, muta testimonianza di una tecnica incomprensibile: e questo monumento dovrebbe essere semplicemente la tomba di un faraone stravagante! Può crederlo chi vuole… Egualmente incomprensibili, e fino ad oggi non sufficientemente spiegate, le mummie ci guardano come un magico mistero dalla notte dei tempi. Diversi popoli possedevano questa tecnica dell’imbalsamazione delle salme, e i rinvenimenti archeologici pare vengano a suffragare l’ipotesi che gli uomini preistorici credevano alla resurrezione in una seconda vita, a una resurrezione del corpo. Una tale interpretazione sarebbe accettabile se la fede in una resurrezione corporea potesse almeno lontanamente trovar posto nel patrimonio di pensiero dell’antichità. Se i nostri antichissimi progenitori avessero pensato soltanto a una rinascita spirituale, non avrebbero dedicato ai defunti una così attenta cura. Ma i rinvenimenti fatti nelle tombe egiziane ci offrono un esempio dopo l’altro di una preparazione fatta in vista di una risurrezione fisica delle salme imbalsamate. Ma quel che gli occhi e le prove visibili ci dicono non è poi così assurdo! Effettivamente diversi riferimenti in antichi testi o leggende ci dicono che gli “dei” promisero di tornare dalle stelle, per destare a nuova vita i corpi ben conservati. Per questo l’assistenza alle salme imbalsamate nelle camere funebri era organizzata in termini così pratici, così materiali, in vista di una vita terrena. Altrimenti, che avrebbero dovuto farsene del denaro, dei monili, dei loro oggetti favoriti? E poiché i defunti erano accompagnati persino da una parte dei loro servitori, che senza dubbio scendevano nella tomba ancora vivi, con tutti questi preparativi si pensava certamente al proseguimento della vecchia vita in una vita nuova. Le tombe avevano caratteristiche veramente straordinarie di solidità e di durata, quasi come rifugi antiatomici: potevano superare senza fatica le ingiurie dei secoli. Gli oggetti preziosi offerti al defunto erano assolutamente al sicuro da ogni minaccia di crisi: oro e pietre preziose. Non si tratta qui di discutere le successive mostruosità della mummificazione: qui si tratta solo di questo problema: chi inculcò nella testa dei pagani l’idea di una resurrezione corporea? E di dove venne la prima audace concezione che le cellule del corpo dovessero essere conservate perché la salma, custodita in un luogo sicuro al cento per cento, potesse dopo millenni destarsi a nuova vita? Finora questo misterioso problema della rinascita è stato considerato solo dal punto di vista religioso. Ma non è forse possibile che il faraone, il quale logicamente sapeva sull’esistenza e i costumi degli “dei” qualcosa di più dei suoi sudditi, si sia fatto questo ragionamento, magari del tutto illusorio: devo procurarmi una tomba che possa durare indistruttibile per millenni e che sia visibile a grande distanza, poiché gli dei hanno promesso di tornare sulla Terra e di ridestarmi… (o i medici di un lontano futuro troveranno il modo di richiamarmi in vita…)? Che dire al proposito, nell’era del volo spaziale? Il fisico e astronomo Robert C. W. Ettinger, nel suo libro “The prospect of immortality”, pubblicato nel 1965, indica un sistema con cui noi uomini del XX secolo potremmo farci congelare in modo che le nostre cellule, dal punto di vista medico e biologico, continuino a vivere a un ritmo rallentato milioni di volte. Anche se questa idea per adesso può sembrare ancora utopistica, in realtà già oggi ogni clinica importante dispone di una “banca delle ossa”, che conserva per anni ossa umane in stato di surgelazione e al bisogno le fa tornare idonee all’uso. Il sangue fresco – e questo ormai si pratica ovunque – alla temperatura di -196 °C si conserva, indefinitamente, e la capacità di conservazione delle cellule viventi alla temperatura dell’azoto liquido è quasi illimitata. Chi può dire se il faraone non vagheggiasse questa speranza utopistica, che oggi è quasi sul punto di realizzarsi? Si deve raddoppiare l’attenzione per convincersi dell’enorme portata di una recente scoperta scientifica: alcuni biologi dell’Università di Oklahoma City nel marzo 1963 stabilirono che le cellule epidermiche della principessa egiziana Mene erano ancora vitali. La principessa Mene è morta da parecchie migliaia di anni. In diversi luoghi furono rinvenute mummie in così perfetto stato di conservazione da sembrare vive. Presso gli incas talune mummie conservate nei ghiacciai sopravvissero ai secoli e teoricamente sono ancora vitali. Utopia? Nell’estate del 1965 la televisione russa mostrò due cani che erano stati congelati per una settimana. Al settimo giorno vennero sottoposti ad opportuno decongelamento, e vivevano vispi e allegri come prima. Gli americani, e anche questo non è un mistero, nel quadro dei loro vasti programmi spaziali, hanno seriamente considerato il problema di come si potrebbero congelare gli astronauti del futuro nei loro lunghi viaggi verso lontanissime stelle… Il professor Ettinger, di cui oggi spesso si ride, prevede un lontano futuro in cui gli uomini non si faranno né bruciare né divorare dai vermi: un futuro in cui le salme, congelate in cimiteri o bunker a temperatura glaciale, attenderanno il giorno in cui una più progredita medicina potrà eliminare le cause della loro morte e riportarle nuovamente in vita. Se spingiamo questa idea utopistica alle estreme conseguenze, ci appare la spaventosa visione di un esercito di soldati che, congelati in caso di guerra, possono essere decongelati secondo il bisogno. Visione terrificante! Ma che rapporto possono avere le mummie con la nostra ipotesi di viaggi spaziali nella notte dei tempi? Vogliamo forse dagli indizi tirare per i capelli delle conclusioni? Noi ci domandiamo: come hanno saputo gli antichi che, con uno speciale trattamento, i processi vitali delle cellule del nostro corpo possono essere rallentati milioni di volte? Ci domandiamo: da dove viene l’idea dell’immortalità, e persino il concetto di un risveglio corporeo dalla morte? La maggior parte dei popoli antichi possedevano la tecnica della mummificazione, e i più ricchi fra loro la praticarono. Ma non si tratta qui di questi fatti facilmente dimostrabili: si tratta di risolvere il mistero di come possa esser nata quest’idea di un risveglio dalla morte, di un ritorno alla vita. Si deve forse pensare che sia venuta in mente per caso a un antico sovrano o capotribù? O piuttosto qualche principe saggio e capace ha osservato gli “dei” che trattavano le loro salme con un complicato procedimento e le custodivano in un sarcofago a prova di bomba? O ancora qualche “dio” (leggi astronauta) ha comunicato a un giovane principe intelligente e scaltro come si possa – dopo opportuno trattamento – richiamare in vita i cadaveri? Questa motivazione speculativa richiede un’opportuna giustificazione. Fra qualche secolo l’umanità sarà in grado di praticare la navigazione spaziale con una perfezione che oggi non riusciamo ancora a immaginare, e le agenzie di viaggi offriranno programmi di viaggi interplanetari con precisi termini di partenza e ritorno. Naturalmente, condizione essenziale di questo progresso è che tutti i rami della scienza seguano uno sviluppo parallelo. L’elettronica e la cibernetica da sole non bastano a raggiungere la meta comune. La medicina e la biologia porteranno il loro contributo, creando i mezzi per rallentare i processi vitali dell’uomo. Oggi anche questo settore della ricerca spaziale è già in pieno sviluppo. Conseguenza utopistica: gli astronauti dei tempi preistorici avevano già conoscenze che oggi noi dobbiamo ancora conquistare? V’erano già esseri intelligenti extraterrestri che conoscevano il modo di trattare i corpi perché potessero tornare in vita dopo un dato numero di millenni? Forse gli “dei”, nella loro infinita intelligenza, avevano interesse a “conservarsi” almeno un morto con tutta la sapienza del suo tempo, per poterlo in seguito interrogare sulla storia della sua generazione? Che possiamo saperne! E non è possibile che una tale inchiesta abbia avuto luogo ad opera di “dei” ritornati? Dalle prime mummie, preparate secondo il rito, si sviluppò nel corso dei secoli una vera e propria moda. Improvvisamente ognuno voleva essere risvegliato: improvvisamente ognuno riteneva di esser destinato un giorno a tornare a nuova vita, purché facesse quello che avevano fatto i suoi progenitori. I grandi sacerdoti, che effettivamente possedevano una singolare conoscenza di tali rinascite, contribuirono potentemente a favorire questo culto, che per la loro classe costituiva un lucroso commercio. Abbiamo già parlato dell’età, fisicamente impossibile, degli antichi imperatori sumeri o delle figure bibliche. E abbiamo avanzato l’ipotesi che si trattasse di astronauti che prolungavano la durata della loro vita, relativamente al nostro pianeta, grazie alla dilatazione del tempo che si verifica nei voli interplanetari a velocità appena inferiore a quella della luce. Forse possiamo incominciare a spiegarci l’inconcepibile età dei personaggi citati nelle antiche scritture se supponiamo che questi personaggi siano stati mummificati o congelati. Secondo questa tesi, gli astronauti stranieri avrebbero congelato alcune eminenti personalità del mondo antico, – le avrebbero piombate in un profondo sonno artificiale, come dicono alcune leggende – e poi, in una visita successiva, le avrebbero tirate fuori dal cassetto, le avrebbero decongelate e si sarebbero intrattenuti con loro in conversazione. Alla fine di ogni visita sarebbe stato compito della classe sacerdotale, istruita e addestrata dagli astronauti, sottoporre i morti-viventi al trattamento adatto e riporli nuovamente in templi giganteschi, fino al giorno in cui gli “dei” sarebbero tornati. È impossibile? è ridicolo? In genere le obiezioni più sciocche sono fatte proprio da quegli uomini che si appellano più rigorosamente alle leggi naturali. Ma la natura stessa non presenta forse esempi clamorosi di “ibernazione” e di risveglio dal letargo? Vi sono delle specie di pesci che, completamente congelati e divenuti rigidi come pietra, quando siano riportati alla temperatura favorevole scongelano e ricominciano a guizzare allegramente nell’acqua. Fiori, crisalidi e larve non solo attraversano un periodo di letargo biologico, ma in primavera si presentano in nuove e più brillanti vesti. Ma facciamo un po’ l’advocatus diaboli di noi stessi: forse gli egiziani hanno potuto trarre l’idea della mummificazione dalla natura? Se così fosse, ci dovrebbe essere un culto delle farfalle o dei maggiolini, o almeno una traccia di esso. Ma non vi è nulla di simile. Vi sono in certe tombe ipogee giganteschi sarcofaghi con tori mummificati; ma nei tori gli egiziani non potevano certamente intravedere il fenomeno del letargo. A otto chilometri da Heluan si trovano più di 5.000 tombe di diversa grandezza, che risalgono tutte alla I e II dinastia. Queste tombe dimostrano che la tecnica della mummificazione risale a più di 6.000 anni fa. Nel 1953 il professor Emery nel cimitero arcaico del settore nord di Saqqara rinvenne una grande tomba, che viene attribuita a un faraone della I dinastia (probabilmente Uagis). Fuori della tomba principale erano allineate su tre file 72 altre tombe in cui giacevano le salme dei servi, che vollero accompagnare il loro sovrano nel nuovo mondo. Sui corpi dei 64 giovani e delle 8 giovani donne non compare alcuna traccia di violenza. Perché questi settantadue individui si sono fatti murare vivi così? La fede in una seconda vita nell’aldilà è la spiegazione più nota, e anche più semplice di questo fenomeno. Insieme all’oro e ai gioielli, si ponevano accanto al faraone nella sua tomba cereali, olio e spezie, intesi evidentemente come vettovaglie per l’aldilà. Oltre che da ladri sacrileghi, le tombe furono aperte anche da successivi faraoni: e ogni faraone ritrovava nelle tombe dei suoi predecessori le vettovaglie intatte. Il morto quindi non le aveva mangiate, né le aveva portate con sé nell’aldilà. E quando si richiudevano le tombe, vi si ponevano altri viveri e poi si sigillavano e si corredavano di svariate trappole, in modo che non potessero essere violate. Questo fa pensare che credessero in una futura resurrezione sulla Terra, e non in un immediato risveglio nell’aldilà. Pure a Saqqara, nel giugno 1954 fu scoperta una tomba che non era stata saccheggiata, poiché nella camera funebre vi era uno scrigno con gioielli ed oro. Il sarcofago, invece che da un coperchio, era chiuso da una lastra scorrevole. Il 9 giugno Goneim scoprì solennemente il sarcofago. Era vuoto. Assolutamente vuoto. La mummia aveva dunque tagliato la corda, senza prendere con sé i suoi tesori? Il russo Rodenko scoprì a 80 chilometri dal confine della Mongolia Esterna una tomba, il cosiddetto Kurgan V, formata da un tumulo di pietra rivestito internamente in legno. Tutte le camere funebri sono riempite di ghiaccio eterno, per cui il contenuto della tomba è stato conservato in condizioni di congelamento. Una di queste camere funebri conteneva i cadaveri di un uomo e di una donna, entrambi imbalsamati, che avevano accanto tutto ciò di cui potevano aver bisogno in una vita successiva: cibi in ciotole, vesti, gioielli, strumenti musicali. Tutto surgelato e ottimamente conservato, ivi comprese le due mummie nude. In una tomba si identificarono i segni di un quadrilatero con sei disegni quadrati su quattro file: il tutto poteva essere una copia del tappeto di pietra che si trova nel palazzo assiro di Ninive. Cosa assai singolare, vi si scorgono figure a forma di sfinge, con complicate corna in testa e ali sulle spalle e dalla loro posizione si capisce che stanno spiccando il volo verso il cielo. Comunque, le tombe mongole non ci offrono spunti che facciano pensare alla fede in una seconda vita spirituale. Il procedimento di surgelazione ivi applicato – giacché di questo esattamente si tratta, in quegli ambienti rivestiti di legno e riempiti di ghiaccio – è troppo legato alla realtà concreta della vita e mira troppo evidentemente a scopi terreni. Perché dunque – questo interrogativo continua ad assillarci – perché gli antichi credevano che le salme così manipolate si trovassero in condizioni propizie per una resurrezione? Questo è ancora un enigma. Nel villaggio cinese di Wu-Chuan si trova una tomba rettangolare di 14×12 metri, che contiene gli scheletri di 17 uomini e 24 donne. Anche qui nessuno scheletro mostra segni di morte violenta. Sulle Ande si trovano tombe praticate nei ghiacciai, in Siberia tombe congelate, in Cina e nella regione dei sumeri, nonché in Egitto, tombe collettive e singole. Si trovano mummie tanto nelle zone artiche che nel Sudafrica. E tutti questi morti erano accuratamente preparati per una resurrezione futura, e forniti dei mezzi di sussistenza necessari per una nuova vita, e tutte le tombe sono disposte e costruite in modo da poter durare per millenni. Tutto questo è dunque un caso? Si tratta soltanto di idee – bizzarre idee – dei nostri antichi progenitori? O esiste un’antica promessa che noi non conosciamo, una promessa di risurrezione della carne? E chi può averla fatta? A Gerico furono riportate alla luce tombe vecchie di 10.000 anni, e teste modellate in gesso, che risalgono a 8.000 anni fa. Anche questo è un fatto sorprendente, perché pare che questo popolo non conoscesse ancora le tecniche della ceramica. In un’altra parte di Gerico si scoprirono intere file di case rotonde: i loro muri nella parte superiore sono inclinati all’interno, come tetti a volta. L’onnipotente isotopo del carbonio C14, che serve a determinare l’età delle sostanze organiche, ci dà in questo caso date massime di 10.400 anni. Queste date, ottenute oggi per via scientifica, concordano abbastanza esattamente con le date tramandateci dai sacerdoti egiziani, i quali affermavano che i loro predecessori avevano amministrato il culto per più di 11.000 anni. Anche qui si tratta di una coincidenza del tutto fortuita? Un caso assolutamente unico presentano le pietre preistoriche di Lussac (Poitou, Francia): disegni di uomini vestiti completamente alla moda moderna, con cappelli, giacche, pantaloni corti. L’abate Breuil giudicò questi disegni autentici, e la sua dichiarazione butta all’aria tutta la preistoria. Chi ha inciso queste pietre? Quale fantasia riesce a immaginarsi un cavernicolo vestito di pelli che disegna sulle pareti della sua grotta delle figure del XX secolo? Nella caverna di Lascaux (Francia del sud), furono scoperte nel 1940 le più grandiose pitture rupestri dell’età della pietra. Questa antichissima pinacoteca si presenta così fresca e plastica e intatta che due domande ci si presentano inevitabilmente: come riuscì l’artista preistorico a illuminare la caverna per il suo faticoso lavoro, e perché le pareti della caverna furono ornate di queste straordinarie pitture? Quelli che considerano stupide queste domande dovrebbero avere la cortesia di spiegarci alcune contraddizioni: o i cavernicoli dell’età della pietra erano selvaggi e primitivi, e allora non potevano eseguire sulle pareti delle loro caverne le straordinarie pitture che oggi ammiriamo. Ma se il selvaggio era capace di eseguire quelle pitture, perché non doveva essere in grado di costruirsi delle capanne d’abitazione come rifugio? Gli uomini più avveduti concedono agli animali da milioni di anni la capacità di costruirsi nidi e rifugi. Ma evidentemente non rientra nel nostro schema mentale ammettere la stessa possibilità per l’homo sapiens di quei tempi. Nel deserto di Gobi il professor Koslov, non lontano da quelle strane sabbie vetrificate che possono essersi prodotte solo per azione di altissime temperature, rinvenne sepolta sotto le rovine di Khara-Khota una tomba che si fa risalire a circa 12.000 anni prima dell’era volgare. In un sarcofago giacciono i corpi di due ricchi personaggi e sul sarcofago si è decifrato il segno di un cerchio, dimezzato in senso verticale. Nei monti Subis, lungo la costa occidentale del Borneo, si è scoperta una rete di caverne, adattate a mo’ di templi: dai residui culturali ivi rinvenuti si può arguire che l’opera di costruzione risalga al 38.000 a.C. Fra questi sorprendenti reperti vi sono tessuti di una finezza e di una delicatezza che anche con la migliore buona volontà non possiamo immaginarci come i selvaggi ne venissero a capo. Problemi, problemi, problemi… Gli oggetti non sono ipotesi: esistono, e in grande abbondanza: caverne, tombe, sarcofaghi, mummie, vecchie carte geografiche, stravaganti costruzioni di straordinaria abilità architettonica e tecnica, innumerevoli tradizioni leggendarie che rifiutano di adattarsi a tutti i nostri schemi mentali. I primi dubbi si stanno insinuando nel sistema concettuale dell’archeologia: ma si devono aprire vere e proprie brecce nel fitto mistero del passato, si devono porre nuove pietre miliari, e quando è possibile si deve anche stabilire una nuova serie di dati cronologici fissi. Sia ben chiaro che qui non poniamo in dubbio la storia degli ultimi duemila anni. Parliamo esclusivamente della più remota antichità, delle profonde tenebre dei tempi, che noi tentiamo di rischiarare impostando una problematica nuova. Non possiamo neppure citare numeri e date a proposito dell’epoca in cui la visita di esseri stranieri intelligenti dal cosmo cominciò a influire sulla giovane intelligenza umana. Ma non esitiamo a porre in dubbio la cronologia finora stabilita per la più remota antichità. Riteniamo di avere ragioni sufficienti per collocare l’evento a cui pensiamo nel periodo del paleolitico recente, ossia fra il 10.000 e il 40.000 a.C. I sistemi di datazione finora adottati, ivi compreso il famoso e conclamato isotopo del carbonio Ci4, lasciano gravi lacune, non appena si superi l’età di 45.600 anni. Quanto più il materiale da esaminare è antico, tanto meno attendibili divengono i risultati ottenuti col radiocarbonio. Anche seri ricercatori ci hanno detto che considerano il metodo del Ci4 decisamente poco pratico, perché fra i 30.000 e i 50.000 anni la datazione di una sostanza organica è del tutto arbitraria. Certo, queste critiche non sono da accettare senza riserve: sarebbe tuttavia indubbiamente desiderabile trovare un nuovo metodo di datazione, parallelo al C14, ma basato su strumenti modernissimi.

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