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Come l’uomo ha imparato a contare

Storia delle notazioni numeriche nel corso dei secoli

I Sumeri e gli Elamiti

Se consideriamo i reperti in nostro possesso, le più antiche forme conosciute di scrittura nacquero verso la fine del IV millennio a.C., non lontano dal golfo Persico, nella Bassa Mesopotamia (regione che si estendeva, per la quasi totalità, entro il bacino inferiore di due fiumi gemelli, il Tigri e l’Eufrate, e che oggi potremmo identificare con l’Iraq) e nel paese di Elam (zona che incorporava la parte occidentale dell’altipiano iraniano e la piana che si prolunga ad est della Mesopotamia, attualmente integrata nell’Iran). Quindi, se si dovessero cercare un luogo e un tempo d’origine per la nostra matematica, probabilmente li troveremo circa 5000 anni fa, proprio in queste zone. Sia in Mesopotamia che nell’Elam, la scrittura sembra sia stata inventata per ragioni puramente utilitaristiche, tipicamente spinta da necessità economiche.La nascita della scrittura sumerica, forse la più antica, si colloca intorno al 3200-3100 a.C., e quella della scrittura detta «proto-elamita» intorno al 3000 a.C., e, in entrambi i casi, si utilizzavano delle tavolette d’argilla come documenti. Si sono riscontrate somiglianze fra alcuni segni della scrittura «proto-elamita» e un certo numero di pittogrammi sumeri, ma il resto è troppo diverso per un confronto e per avanzare l’ipotesi di una origine comune dei due sistemi di scrittura. Tutto fa pensare che la scrittura degli antichi elamiti sia una creazione autonoma, indipendente dai sumeri. In ogni caso, pur supponendo un prestito da parte della civiltà sumera, non può trattarsi che dell’idea, e forse di alcuni segni, non certo della scrittura in senso stretto.Dai documenti rinvenuti, però, è possibile ricavare i più antichi segni numerali sumerici e proto-elamiti, che appaiono simili, pur appartenendo a sistemi di numerazione del tutto differenti.

La civiltà sumerica

Nel 6000 a.C. i sumeri abitavano le pianure meridionali della “Mezzaluna fertile” (vedi figura in basso): erano terre paludose circondate da deserti inospitali, che i sumeri riuscirono a bonificare ed a rendere produttive, attraverso canali che costruirono e l’aratro che inventarono.Cominciarono a disporre di grandi quantità di cibo: quello in eccesso veniva depositato in città, nei templi, per poi ridistribuirlo agli altri lavoratori urbani. Carovane di mercanti viaggiavano ogni anno per scambiare i prodotti di Sumer con beni che in Mesopotamia non si trovavano.Così, per esigenze di commercio, i sumeri inventarono la scrittura e fondarono delle scuole per formare gli scriba. Furono infatti i primi ad usare i numeri e divennero grandissimi matematici e algebrici; capaci di compiere calcoli molto complicati divennero abili nell’ingegneria e nell’edilizia: famose sono le loro città ricche di templi e palazzi, oltre ai canali che crearono veloci e comode vie di comunicazione. Si appassionarono anche all’astrologia, scoprendo le varie costellazioni e creandosi un efficiente calendario per contare i giorni e le stagioni. Anche nell’ambito delle arti, i sumeri spaziarono dalla letteratura alla scultura e soprattutto in quest’ultima diventarono particolarmente abili nella lavorazione dell’alabastro. Nel 3100 a.C. la Mesopotamia meridionale era dunque la regione più sviluppata del mondo. Nel 2000 a.C. iniziò il fenomeno della salinizzazione, cioè il sale dei fiumi, a lungo andare, cominciò a rendere il terreno improduttivo: ne conseguì che, due secoli dopo, cominciò l’abbandono di Sumer. Si svilupparono altri regni, che ereditarono dai sumeri la scrittura, l’organizzazione urbana e i miti.

La civiltà elamita

Nell’altopiano iranico, esattamente a sud ovest, ha origine, a partire dal 4000 a.C., la civiltà elamita con il suo maggior sviluppo nella città di Susa. Una serie di scavi fortunati e di studi hanno definitivamente affermato le origini antichissime di questa cultura, già molto progredita nel più lontano neolitico, addirittura forse più progredita, fra il VI e il III millennio, di quella egizia. I vasi elamiti arcaici sono tra i più belli del mondo antico e l’arte della ceramica fu sempre caratterizzata da motivi raffinatissimi, largamente imitati in tutto l’Oriente. Anche la statuaria fu ad un notevole livello: Susa ci ha restituito stupende statue di re e di dignitari e bassorilievi in bitume di straordinaria potenza espressiva. La religione elamita era politeistica e le loro divinità incarnavano tutte fenomeni astronomici e meteorologici, così come era naturalistica tutta la loro mitologia. Misteriose sono l’origine e la stirpe degli elamiti, non dissimili forse dai popoli circostanti. Secondo le leggende accolte anche nella Bibbia, gli elamiti discenderebbero da Elam figlio di Sem, progenitore di tutti i semiti.

I segni numerici in Mesopotamia e nell’Elam

I più importanti documenti recanti elementi di scrittura sono stati rinvenuti a Uruk (la città reale sumerica, situata nella Bassa Mesopotamia, nell’attuale località irachena di Warka). Tali documenti consistono in piccole placche di argilla secca, confezionate secondo un «modello standard» e che una usanza radicata designa sotto il nome di tavolette.

Quanto ai più antichi documenti «proto-elamiti» da noi conosciuti (anch’essi «tavolette» d’argilla), sono stati esumati in parecchie località iraniane, ma particolarmente a Susa (capitale dell’Elam, distante circa 300 chilometri a est dal paese dei sumeri, e che oggi fa parte dell’Iran sud-occidentale).


Ebbene, ogni tavoletta in argilla presenta su una faccia (e talvolta su entrambe) un certo numero di marchi a incavo di taglia e forma diverse, impressi nell’argilla ancora molle dalla pressione di un determinato utensile. Questi marchi cavi, che appaiono su un notevole numero di documenti sumerici e proto-elamiti, sono stati interpretati: si tratta di marchi numerici. Sono le più antiche «cifre» storiche note. Sia tra i sumeri che nell’Elam, esse seguono l’ordinamento che appare nella figura sottostante (da sinistra a destra), e corrispondono alle differenti classi di unità consecutive dei due sistemi di numerazione. Si vedrà però che tali sistemi erano del tutto diversi, a dispetto della rassomiglianza delle forme.

Ogni tavoletta comporta, poi, a lato delle cifre, uno o più disegnetti schematici, tracciati a punteruolo sull’argilla fresca, rappresentanti esseri o oggetti di ogni tipo: sono i segni della scrittura corrispondente.Infine, alcune di queste placche d’argilla recano, unitamente alle cifre e ai pittogrammi, motivi simbolici modellati a sbalzo sull’argilla: sono impronte di cilindri-sigilli, fatti rotolare nel senso della lunghezza della tavoletta.Pare che su questi documenti si annotassero diverse grandezze associate a differenti tipi di derrate contabilizzate, essendo verosimilmente le tavolette, sia in Elam come in Mesopotamia, atti contabili riguardanti forniture, consegne, inventari o scambi. In altre parole, per soddisfare le molteplici esigenze create dalla intensa attività economica (l’allevamento e la coltivazione, per esempio, o gli scambi commerciali sempre in aumento), i sumeri e gli elamiti avevano preso, fin dall’alba del III millennio a.C., l’abitudine di registrare i risultati dei conteggi o degli inventari su tavolette di argilla generalmente rettangolari.

La probabile origine delle cifre sumeriche e proto-elamite

A prima vista, le cifre inscritte sulle tavolette sumeriche e proto-elamite lasciano trasparire la loro origine e permettono facilmente di immaginare quel che dovette essere la scienza del calcolo in Mesopotamia e nell’Elam nelle epoche anteriori all’apparire dell’idea di scrittura.Nelle forme grafiche che si rifanno all’una o all’altra di queste due notazioni numeriche, ci sembra di riconoscere realmente diversi oggetti materiali che la scrittura su argilla ha dovuto «copiare» fin dalla sua apparizione e che, in epoca più arcaica, dovettero servire a materializzare ogni tipo di transazione e a fare conti e calcoli. In generale, si tratta di piccoli oggetti di misura e forme svariate, che venivano chiusi all’interno di sacchetti di argilla, sferici o ovoidali, che è consuetudine definire col nome di bolle. Tali bolle, sulle prime, non attirarono l’attenzione degli specialisti se non per le incisioni dei sigilli-cilindri che ne ornavano la maggior parte. In seguito invece si scoprì che questo sistema contabile – derivato in via diretta dall’uso esteso di sassi a fini numerici – serviva a materializzare una numerazione con piccoli oggetti in terra cruda, che simbolizzavano valori numerici sia col numero che con le dimensioni.Si esprimeva cioè in questo modo l’ammontare di una certa transazione. Gli oggetti riflettevano il sistema di numerazione: per esempio, un bastoncello o un piccolo cono valevano come unità del primo ordine; una bilia come unità del secondo ordine; un disco o un grosso cono come unità del terzo ordine, ecc. Perciò questi oggetti-numeri sono spesso chiamati calculi.

Il sistema consisteva nel racchiudere tali calculi in un involucro di argilla molle (che si doveva sigillare dopo avergli dato la forma di una bolla sferica o ovoidale) sulla cui superficie esterna si imprimevano uno o due sigilli- cilindri, per garantirne origine e autenticità.Nel paese dei sumeri e degli elamiti, infatti, le persone di una certa posizione sociale possedevano il loro sigillo, a forma di piccolo cilindro in pietra più o meno preziosa con una immagine simbolica – spesso di carattere religioso – impresso in cavità. Il sigillo rappresentava la persona del possessore ed era perciò associato a ogni attività economica e giuridica che lo riguardava. Il possessore del sigillo, come firma o marchio di proprietà, applicava i contrassegni corrispondenti su ogni oggetto in argilla (riguardante qualsiasi transazione) girando il cilindro intorno al suo asse.Va detto però che, allo stato attuale della documentazione, l’evoluzione descritta sembra chiara solo nel paese di Elam. Buone ragioni, tuttavia, ci inducono ad affermare che anche i sumeri comunque vissero la stessa esperienza. Le due culture, del resto, conobbero, in condizioni identiche, un’espansione e uno sviluppo del tutto simili durante la seconda metà del IV millennio a.C.

La numerazione sumerica

Allo stadio originale, la notazione sumerica era costituita da un certo numero di marchi cavi di grandezza e forme diverse, ognuno associato a un certo ordine di unità, mentre la scrittura sumerica era composta da disegni veri e propri, rappresentanti svariati esseri o oggetti. C’era una differenza essenziale fra il procedimento di realizzazione dei segni della scrittura sumerica e quella delle cifre: i segni di numerazione venivano impressi nell’argilla, mentre i segni della scrittura erano tracciati.Per rappresentare i numeri interi i sumeri usavano un sistema di notazione numerica che attribuiva un segno grafico speciale alle seguenti unità: 1, 10, 60, 600 (=60×10), 3600 (=602), 36.000 (=602×10), vale a dire a ciascuno dei termini della progressione così sistemata:

                                                10

                                              10×6

                                           (10×6) ×10

                                         (10×6×10) ×6

                                       (10×6×10×6) ×10

Si trattava di una numerazione scritta sessagesimale, costruita sulle basi alterne 10 e 6, un sistema che azionava alternativamente due divisori complementari della base sessanta.
In epoca arcaica, l’unità semplice era rappresentata da una tacca sottile (talvolta allungata), la decina da una piccola impronta circolare, la sessantina da una tacca spessa, il numero 600 = 60 ×10 dalla combinazione delle due cifre precedenti, il numero 3600 = 60×60 da una grossa impronta circolare e infine il numero 36.000 = 3600 ×10 dalla medesima grossa impronta circolare con l’aggiunta di un piccolo occhiello, anch’esso circolare. All’inizio della loro evoluzione, queste cifre furono impresse su tavolette di argilla con il seguente ordinamento:


A partire dal XXVII o XXVI secolo a.C. esse subirono una rotazione di 90° in senso antiorario, in modo che le cifre non circolari del sistema, ad eccezione della tacca indicante l’unità, si trovarono volte a destra (e non più in basso).


Tale rotazione sembra sia stata dovuta a un cambiamento di rotazione nel maneggio delle tavolette, che in un primo tempo erano tenute in posizione obliqua dagli scribi poiché di dimensioni più piccole, mentre quando divennero più grandi venivano tenute dagli scribi davanti a essi, inclinate ad angolo retto.Partendo da questi segni di base, i primi nove numeri interi furono rappresentati con la ripetizione del segno dell’unità tante volte quanto necessario; i numeri 10, 20, 30, 40 e 50 dalla ripetizione corrispondente del segno della decina; i numeri 60, 120, 180, 240, ecc. riproducendo altrettante volte il segno della sessantina, e così via. Quindi, per rappresentare una determinata quantità, i sumeri si limitavano a ripetere, all’interno di ogni ordine di unità, le cifre corrispondenti per il numero di volte necessario.Da ciò risulta però che la numerazione sumerica esigeva una ripetizione smisurata dei segni numerici, basata com’era sul principio della giustapposizione delle cifre per addizione dei valori.In una ricerca di semplificazione, allora, gli scrivani sumeri ricorsero all’impiego del metodo sottrattivo, scrivendo i numeri 9, 18, 35 e 57, ad esempio, in queste forme:

Il nuovo carattere, scritto in uno dei due modi equivalenti, era pronunciato LÁ in lingua sumerica, ed equivaleva al nostro «meno».Va poi notato che il modo sumerico di raggruppare le cifre all’interno di ogni ordine di unità permetteva di afferrare con un unico veloce colpo d’occhio i valori rispettivamente associati ai diversi raggruppamenti di segni identici e i gruppi corrispondenti rispondevano per solito all’uno o all’altro dei due principi seguenti: il primo fondava la rappresentazione delle unità sul senso visuale del pari e del dispari, mentre il secondo dava un ruolo preminente al numero tre.

La comparsa delle cifre cuneiformi

La trasformazione radicale dei caratteri sumerici dall’epoca presargonica avvenne a partire dal 2700-2600 a.C. (anche se in maniera graduale) e fu semplicemente dovuta a una sostituzione dell’attrezzo utilizzato per «scriverli». La tecnica del tracciato a punta, su argilla molle, fu sostituita dal processo di «incisione» su argilla: si preferì cioè impiegare un gambo di canna (o di un’asticciola d’osso o di avorio) tagliato in modo che il suo beccuccio formasse una linea diritta (e non un cerchio o un punto). Questa linea era impressa sull’argilla fresca, per realizzare, con un solo movimento, e senza sbavature, un segmento di retta, che implicava ovviamente minor tempo che un tracciato eseguito con una punta.È chiaro che il nuovo stilo determinò una forma alquanto diversa dei caratteri, dai tratti ora più accentuati e caratterizzati da un aspetto angoloso: i segni cuneiformi (dal latino cuneus «angolo»). E proprio per il carattere angoloso delle impronte lasciate nell’argilla da questo calamo, i sumeri furono indotti a stilizzare la forma dei diversi segni, le curve scomposte e sostituite da segmenti diritti nel numero necessario, riducendo la grafia ad un insieme di linee spezzate. Relativamente alle cifre, ne derivò che:

  • l’unità semplice fu rappresentata da un piccolo chiodo verticale (invece che da una sottile tacca «cilindrica»);
  • la decina da un punzone (al posto del cerchietto);
  • la sessantina da un chiodo verticale di dimensioni maggiori (invece di una tacca spessa);
  • il numero 600 da un chiodo verticale del medesimo tipo, munito di un punzone (invece di una tacca spessa con una piccola impronta circolare);
  • il numero 3600 da un poligono formato dall’unione di quattro chiodi (al posto di un grande cerchio);
  • infine, il numero 36.000 dallo stesso poligono arricchito da un punzone (in luogo del cerchio grande accostato a uno più piccolo).

In questa nuova grafia, inoltre, gli scrivani sumeri introdussero anche una cifra per 216.000 (il cubo di sessanta), combinando il segno 3600 con quello del 60.

Se le cifre sumeriche cambiarono di forma, la struttura matematica del sistema corrispondente non ne fu modificata. Si trattava infatti sempre di un sistema sessagesimale, appoggiato a un compromesso fra due basi alterne (dieci e sessanta), che continuava ad attribuire un segno grafico speciale a ognuno dei numeri:

1, 10, 60, 10 x 60, 602 , 10 x 602, 603
Inoltre, per rappresentare un numero, i sumeri continuarono, con le cifre cuneiformi, a ripetere, all’interno di ogni ordine di unità, il segno corrispondente tante volte quanto era necessario.
Continuarono, analogamente, a rappresentare le unità successive di ogni ordine secondo una ripartizione diadica di cifre identiche (seguendo cioè un raggruppamento fondato sul senso visuale del pari e dispari):

Va notato, in conclusione, che i segni cuneiformi, conosciuti almeno dal XXVII secolo a.C., convissero con le cifre sumeriche arcaiche per molti secoli e i corrispondenti segni numerici non le soppiantarono che durante la III dinastia di Ur (2100-2000 a.C.). A volte queste due notazioni erano utilizzate contemporaneamente anche per segnalare talvolta la differenza tra le persone censite: le cifre cuneiformi indicavano personalità dell’alta società, i loro omologhi arcaici schiavi e gente comune.

Persistenza del sistema sumerico

Gli abitanti della Mesopotamia rimasero, per un certo periodo, attaccati alla tradizione del conteggio per sessantina, anche dopo la scomparsa dei sumeri. La numerazione cuneiforme sessagesimale di questi ultimi persistette almeno fino alla fine dell’epoca della I dinastia babilonese (circa XV secolo a.C.).

Le tecniche per la scrittura e per le cifre

I pittogrammi e gli ideogrammi erano eseguiti conficcando in profondità un oggetto appuntito nell’argilla ancor fresca delle tavolette. Per i tratti si premeva la stessa punta nell’argilla molle, poi la si faceva scorrere lungo una linea parallela alla superficie fino alla lunghezza desiderata. Naturalmente, la tenerezza del materiale rendeva spesso il solco «tremulo» e «sbavato». Le cifre erano invece realizzate dai sumeri imprimendo nell’argilla umida l’impronta di un calamo a sezione circolare (cioè quella di una cannuccia o di un’asticciola d’osso o d’avorio appuntito a una estremità come uno stiletto cilindrico). Si può supporre che i sumeri abbiano impiegato un solo tipo di attrezzo per realizzare cifre, pittogrammi e tratti: un pezzo di canna o un’asticciola d’osso o d’avorio, di cui una estremità doveva essere a sezione rotonda, per «imprimere», e l’altra tagliata in punta, per «tracciare» i disegni.

Le cifre erano eseguite premendo l’attrezzo a un dato angolo rispetto alla superficie della tavoletta. Per l’operazione impiegavano due calami di diversa sezione circolare (rispettivamente 4 mm e 1 cm circa). La traccia così ottenuta sull’argilla molle, a seconda dell’inclinazione data dallo stiletto, era un’impronta circolare o una tacca la cui dimensione evidentemente variava a seconda del diametro della sezione del calamo utilizzato:

  • una impronta circolare di diametro piccolo o grande, in funzione dell’affondamento del calamo perpendicolarmente alla superficie dell’argilla;
  • una tacca sottile o spessa, appoggiando lo stiletto adatto a un angolo dai 30° ai 45° rispetto alla superficie. L’impronta diveniva sempre più allungata man mano che l’angolo d’inclinazione diminuiva.

Le irregolarità del sistema cuneiforme

Vanno osservate delle irregolarità di scrittura che apparvero nella notazione cuneiforme dei numeri a partire dall’epoca presargonica (cioè dal 2600 a.C.). Oltre all’uso del principio sottrattivo già descritto, si riscontra infatti una notazione irregolare dei multipli consecutivi di 36.000, poiché, invece di annotare i numeri 72.000, 108.000, 144.000, ecc, nelle forme usuali, ossia ripetendo più volte, la cifra 36.000, come appare nella figura seguente


gli scribi sumeri adottarono talvolta la notazione sottoriportata:


Esse rispondono visibilmente alle seguenti formule aritmetiche:
72.000 = 3600 x 20 (invece di 36.000 + 36.000)
108.000 = 3600 x 30 (invece di 36.000 + 36.000 + 36.000)
144.000 = 3600 x 40 (invece di 36.000 + 36.000 + 36.000 + 36.000)
180.000 = 3600 x 50 (invece di 36.000 + 36.000 + 36.000 + 36.000 + 36.000)
Così operando, i sumeri fecero ciò che oggi chiameremmo (nell’algebra elementare) esplicitazione del fattore comune. Notando che per 36.000 il segno era composto dal segno 3600 e da quello della decina, essi fattorizzavano, a modo loro, il numero 3600, poiché per 108.000, ad esempio, passavano dalla forma (3600 x 10) + (3600 x 10) + (3600 x 10) alla forma più semplificata: 3600 x (10 + 10 + 10).

Le difficoltà della numerazione cuneiforme

Una delle difficoltà della numerazione sumerica cuneiforme risiede nella notazione dei numeri 70 e 600, entrambi rappresentati dalla combinazione della cifra della sessantina (il grosso chiodo verticale) e di quella della decina (il punzone):

Tale ambiguità, proviene dal fatto che, per rappresentare il numero 70, i segni 60 e 10 vengono sommati, mentre nel secondo caso si ricorre al principio moltiplicativo.Ambiguità, precisiamo, che non esisteva nel sistema arcaico:


Così, per evitare ambiguità, nella maggior parte dei casi i sumeri eliminarono ogni confusione:

  • separando nettamente il chiodo dal punzone, se volevano rappresentare il 70;
  • avvicinando il chiodo al punzone così da formare un gruppo indivisibile, quando volevano indicare il 600.

In realtà, però, tale regola non era sempre rispettata, dato che si trovano tavolette in cui i due numeri sono scritti senza distinzione.
Un’altra difficoltà di questa notazione numerica sta nella rappresentazione dei numeri 61, 62, 63, ecc. giacché la sessantina e l’unità sono rappresentate con lo stesso segno (il chiodo verticale), tanto che nulla permette di distinguere, ad esempio:

Tuttavia, in un primo stadio, i sumeri presero l’abitudine di rappresentare l’unità con un chiodino e la sessantina con un chiodo più grande:

oppure, in un secondo momento, allorquando i segni 1 e 60 presero la stessa dimensione, essi separarono la sessantina dalle unità con una spaziatura:

La numerazione elamita

I primi segni numerici proto-elamiti derivano da bolle contabili e calculi, e dalle varie evoluzioni successive di tali metodi. Poi, intorno al 3000-2900 a.C., appaiono, sulle tavolette d’argilla i primi segni della scrittura detta «proto-elamita» e dunque le prime «vere cifre» di questa civiltà. Il senso dei caratteri della scrittura proto-elamita ancora ci sfugge, in quanto il sistema è tuttora indecifrato; di conseguenza, anche il valore delle cifre proto-elamite ci è ancora ignoto. Ciò nonostante, dalle osservazioni sulle tavolette rinvenute, talvolta comparandole con alcune sumeriche, si riesce con sufficiente facilità ad individuare alcune caratteristiche di tale sistema. Sappiamo innanzitutto che gli elamiti scrivevano i numeri da destra a sinistra, nel senso della loro scrittura, cominciando sempre dall’ordine di unità più alto e procedendo poi nell’ordine dei valori decrescenti. Dagli studi, poi, emerge chiaramente che gli elamiti avevano due numerazioni, entrambe basate sul principio di giustapposizione delle cifre per addizione, ma composte da segni numerici differenti.

Inoltre, sembra che sia ragionevole ritenere che i due sistemi di numerazione proto-elamita corrispondessero a inventari o misure di natura diversa:

  • la prima, chiaramente «contaminata» dall’uso della base 60 dei sumeri, serviva probabilmente a esprimere misure di un sistema di unità metrologiche (ad esempio, misure di capacità o di superficie);
  • la seconda, che pare fosse strettamente decimale, era impiegata per conteggi di uomini, animali o oggetti.

La prima numerazione proto-elamita

Le cifre della prima numerazione proto-elamita sono sempre date in questo ordine, partendo da destra a sinistra:


Si è dedotto, perciò, che:

  • le cifre A, B, C, D e E (sempre collocate a sinistra della tacca fine rappresentante l’unità) corrispondevano certamente a ordini successivi di unità inferiori a 1, ossia a frazioni consecutive;
  • le cifre H, M, N e P corrispondevano a ordini di unità superiori a 10 (poiché erano sempre poste a destra della piccola impronta circolare rappresentante la decina.

Comparando alcune tavolette e costruendo ed eguagliando equazioni da esse ricavate possiamo giungere a individuare, con un certo grado di certezza, alcuni valori delle cifre proto-elamite. Così degli undici segni della numerazione proto-elamita, nove sono stati decifrati.
Per quanto riguarda le ultime due cifre rimaste:

dagli studi che sono stati fatti, sembra verosimile ritenere che la tacca spessa con piccola impronta circolare corrispondesse al valore 3000 e il cerchio alettato al valore 18000. A questo punto, tutte le cifre della prima numerazione proto-elamita sono decrittate.


Si ha ragione di pensare che la prima numerazione proto-elamita sia il più antico sistema tra i due riscontrati, poiché queste cifre,


da epoche arcaiche, figurano anche sulle tavolette proto-elamite e sulle pareti esterne delle bolle di contabilità. Per ultimo, sono le cifre che, nelle loro forme rispettive, corrispondono a quei calculi arcaici che venivano racchiusi un tempo nelle bolle contabili, vale a dire quegli oggetti-numeri di grandezza e forma diverse che servivano a simbolizzare alcuni numeri (e i cui valori rispettivi sono stati determinati proprio dalla decifrazione di questa prima numerazione:

La seconda numerazione proto-elamita

Le cifre della seconda numerazione, erano invece sempre date nell’ordine seguente:


Per la seconda numerazione, si pensa che gli elamiti l’abbiano forgiata – forse in epoca relativamente più recente – per annotare quantità corrispondenti, senza dubbio, ad oggetti, derrate o grandezze di natura differente da quelle che venivano espresse con le cifre del primo sistema. Tale ipotesi è fondata sull’analogia con l’uso sumerico. Per quanto riguarda il significato delle cifre della seconda numerazione, sembra plausibile attribuire il valore 1 alla tacca fine, il valore 10 alla piccola impronta circolare, e i valori 100 e 1000 rispettivamente alla doppia tacca verticale e alla doppia tacca orizzontale (le cifre I (o J), K (o L) e O, dovevano necessariamente corrispondere a ordini di unità superiori a 10, poiché erano sempre poste a destra della piccola impronta circolare rappresentante la decina). Permane invece un interrogativo sulla doppia tacca orizzontale munita di piccola impronta circolare. Si crede che si tratti della cifra 10000 = 1000×10, ma purtroppo non è stato possibile, in base a ciò che ci è pervenuto, averne la conferma: per stabilirne il valore, occorrerebbe trovare tavolette meglio conservate o più chiare.

Dalle bolle alle tabelle contabili

Seguiamo, in ordine cronologico, le tappe dell’evoluzione del primitivo sistema di contabilità degli antichi elamiti, fino alle prime tracce della scrittura corrispondente e quindi all’apparizione delle prime vere «cifre» proto-elamite.

Prima tappa -[Periodo: verso il 3500 a.C.]
I responsabili dell’amministrazione di Susa dispongono di un sistema contabile abbastanza complesso, che consiste nel simbolizzare un dato numero (corrispondente, per esempio, all’ammontare di una transazione commerciale) mediante calculi, oggetti in terra cruda di dimensioni e forme diverse, associati a diversi ordini di unità di un sistema di numerazione Dagli scavi, cinque forme di calculi sono state raccolte: si tratta di bastoncelli, di bilie, di dischi, di piccoli e grandi coni perforati.I calculi sono poi chiusi in una bolla sferica (o ovoidale) d’argilla, cava e lavorata, sulla cui superficie si fanno passare uno o due sigilli-cilindri, per garantire origine e integrità.La bolla, conservata in «archivi», può essere spezzata per necessità di verifiche o per contestazioni fra le parti, contando i calculi.

Esempio
Un pastore sta per portare al pascolo per alcuni mesi un gregge di 299 pecore, che un ricco allevatore della regione gli ha affidato. L’uomo e il suo datore di lavoro si incontrano per controllare il bestiame davanti a un contabile della città, amministratore dei beni del proprietario. Verificati i capi del gregge, il contabile modella intorno al pollice una bolla di argilla cava, di forma sferica, del diametro di sette centimetri. Poi, sfilato il pollice, vi introduce, attraverso l’apertura così formatasi, due dischi di terra cruda, ciascuno del valore di 100 pecore; nove bilie, ciascuna rappresentante dieci animali e nove bastoncelli corrispondenti a un capo di bestiame. Totale del conteggio: duecentonovantanove unità.Fatto ciò, il funzionario ottura il foro della bolla e, per autenticare l’oggetto costruito e garantirne l’origine, fa scorrere il sigillo-cilindro del proprietario sulla superficie esterna del «documento», rendendo la bolla impossibile da falsificare. Finita l’operazione, il contabile, lasciata seccare l’argilla, conserva la bolla in archivio. La bolla e i calculi contenuti garantiscono la numerazione appena effettuata, a beneficio del pastore e del proprietario del gregge. Il sistema consentirà infatti, al ritorno del pastore, di verificare se costui ha riportato il gregge al completo. Il contabile spezzerà la bolla e, con l’aiuto dei calcoli, la verifica sarà immediata.

Seconda tappa -[Periodo: intorno al 3300 a.C.]
Il sistema descritto non era tuttavia molto pratico, perché imponeva di rompere la bolla ogniqualvolta si doveva verificare l’ammontare della relativa transazione.Per alleviare la difficoltà intrinseca, i contabili di Susa ricorsero allora alla vecchia pratica dell’intaglio. Essi simbolizzarono i calculi racchiusi nella bolla con rappresentazioni di forme e taglie diverse incise sulla parete esterna di ogni bolla (insieme ai sigilli-cilindri).

  • una tacca fine e allungata per un bastoncello (ottenuta con l’applicazione obliqua di un piccolo stilo);
  • un cerchietto per una bilia (ottenuto con incisione verticale mediante lo stesso stilo);
  • un cerchio più grande per un disco (ottenuto con l’incisione verticale di un grosso stilo o con la pressione di un polpastrello);
  • una tacca spessa per un cono (ottenuta sull’argilla molle usando obliquamente un grosso stilo);
  • una tacca grossa munita di un cerchietto per un cono perforato.

Esempio
Una bolla contabile contenente, per esempio, tre dischi e quattro bastoncelli presenterà, incisi esteriormente, tre grandi cerchi e quattro tacche fini e allungate.Non sarà quindi più necessario, per la verifica o l’inventario, spaccare la bolla: la «lettura» delle indicazioni impresse sulla superficie del «documento», autenticata dalle incisioni dei sigilli-cilindri, indica l’origine, mentre le incisioni numeriche forniscono l’ammontare della corrispondente transazione.

Terza tappa -[Periodo: intorno al 3250 a.C.]
Causa la macchinosità del sistema precedente, l’uso dei calculi – e quindi delle bolle – si rivelò gradualmente superfluo. Così, nello stadio evolutivo successivo, la pratica suddetta fu abbandonata e le bolle sostituite con pani di argilla, rozzamente arrotondati o oblunghi. Le stesse informazioni rappresentate sulla superficie delle bolle cave furono riportate anche su questo nuovo strumento. Rimane ancora anche l’uso dell’impronta di un sigillo-cilindro, per garantirne il valore ufficiale.Quanto alla registrazione dell’importo di una data transazione esposta su questo nuovo tipo di «documento» amministrativo, essa è fatta con la rappresentazione «grafica» su argilla molle dei calculi stessi, che in periodi precedenti erano inseriti nelle bolle. Tale tappa vede perciò la creazione delle prime «tavolette da conto» nel paese d’Elam.

Quarta tappa-[Periodo: intorno al 3200-3000 a.C.]
Come nei periodi precedenti, i pezzi da computo impiegati in quest’epoca riportano informazioni esclusivamente simboliche e numeriche: le tavolette recano cifre e calchi di sigilli-cilindri, senza traccia di vera scrittura.Le tavolette indicano tuttavia, con la loro forma, una certa evoluzione rispetto ai documenti precedenti e, col tempo, diventano gradatamente grossolane, le cifre sono meno pesantemente impresse e più regolari, e i sigilli-cilindri sono impressi non solo sulla faccia delle tavolette, ma anche sui bordi e sul retro.Nelle prime quattro tappe di questo processo evolutivo, è evidente che il sistema di «notazione», impresso sia sulle bolle che sulle tavolette, non corrisponde affatto a un «scrittura» nel senso stretto della parola. Si tratta piuttosto di un modo di espressione visuale e simbolico del pensiero umano. In più, l’operazione prevista da una di tali bolle o tavolette non è rappresentata in alcun modo. Si tratta di una vendita, di un acquisto, di uno scambio, di una distribuzione? Non lo sapremo mai, né degli stessi interessati sapremo mai il nome, il numero, le funzioni e i luoghi dove abitarono.È pertanto lecito supporre che la natura delle transazioni commerciali, il cui ammontare era materializzato dalle bolle o dalle tavolette descritte, doveva essere implicitamente indicata dalle impronte lasciate dai sigilli-cilindri corrispondenti. D’altro canto, tuttavia, dobbiamo notare che i marchi numerici incisi costituiscono già una vera numerazione scritta: essi corrispondono a un sistema complesso di notazione di numero, poiché ciascuno è associato, seguendo una convenzione prestabilita, a un ordine di unità. E, in effetti, quando verrà alla luce, la scrittura conserverà la stessa notazione numerica.


Quinta tappa -[Periodo: intorno al 3000-2900 a.C.]

In forma più raffinata e rettangolare, le tavolette utilizzate in quest’epoca in Elam sono caratterizzate soprattutto dall’apparizione dei primi segni della scrittura detta «proto-elamita» ai lati dei marchi numerici incisi. Scopo di tali segni, a quel che pare, era l’indicazione della natura degli oggetti trattati nell’operazione economica associata alla tavoletta. Su molte tavolette di questo periodo la traccia dei sigilli-cilindri scompare, confermando l’ipotesi secondo cui la natura delle cose trattate nei «documenti» delle prime quattro tappe doveva essere implicitamente indicata dal contrassegno del corrispondente sigillo-cilindro.

Sesta tappa -[Periodo: intorno al 2900-2800 a.C.]
I segni di scrittura raffigurati sulle tavolette proto-elamite di quest’epoca cominciano a ricoprire una superficie maggiore delle cifre. Tali segni sono, verosimilmente, rappresentativi di esseri e oggetti di ogni tipo. Si tratta di disegni molto semplificati e spogli di qualsiasi valore evocativo visuale diretta. Compaiono, inoltre, le prime vere «cifre» della scrittura proto-elamita.

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