

Se in Mesopotamia la creazione dell’uomo si configurava come un progetto tracciato a tavolino da divinità ciniche e interessate, gli Egiziani preferivano vedervi piuttosto l’opera di un abile artigiano. Alle incubatrici e le «fabbriche della carne» in cui Enki aveva posto argilla mista a sangue, corrispondevano in Egitto eleganti ruote di vasaio su cui il dio Ḫnûm lavorava morbide masse del fertile limo del Nilo. Ḫnûm era uno dei più antichi dèi egizi, adorato sin dall’epoca predinastica nella regione della prima cateratta del Nilo, sul confine meridionale dell’Egitto. Il suo centro di culto si trovava ad Abû (Elefantina), capitale del primo nomós dell’Alto Egitto. La cittadina sorgeva su un isolotto in mezzo al Nilo, di fronte all’odierna città di Aswān. Ḫnûm era il custode delle caverne dell’isola di Senmet (ar. Bigaḥ), oggi sommersa, donde si credeva si trovassero le sorgenti del Nilo. Reggendo le briglie del fiume, Ḫnûm ne dirigeva le piene, lasciando che ogni anno il Nilo straripasse ricoprendo i campi e che, ritraendosi, vi depositasse il suo fertile strato di limo. Su questa terra, gli agricoltori egizi coltivavano orzo, frumento e granturco in abbondanza. Ḫnûm era il primo dispensatore della fertilità e della prosperità dell’Egitto.n origine Ḫnûm era forse venerato in aspetto di ariete, o più esattamente dell’ariete dalle corna piatte [Ovis longipes palæoægypticus] anticamente diffuso nell’Alto Egitto e già estinto già intorno al 2000 a.C. Già nell’Antico Regno l’immagine del dio si era antropomorfizzata, conservando dell’animale soltanto la testa. Ma l’ariete che ne rappresentava la manifestazione divina sulla terra non perse per questo il suo carattere sacro: la necropoli di Abû ci ha restituito i corpi mummificati degli arieti, seppelliti in sarcofagi di legno dorato. Dio-ariete, Ḫnûm era legato al vigore sessuale, e quindi all’incessante procreazione del mondo naturale. Era il dio della forza irresistibile della vita. Nessuna sorpresa che, nel culto che gli veniva tributato a Senât (ar. Isnā, it. Esna), nell’Alto Egitto, Ḫnûm fosse finito per essere considerato il dio-artigiano che modellava le forme umane sulla sua ruota da vasaio. Il santuario principale del dio era però il tempio di Senât, costruito soltanto verso la fine della storia egizia e consacrato non solo a Ḫnûm, ma anche a diverse altre divinità. Oggi la città di Isnā è uno squallido agglomerato urbano e tutto ciò che sopravvive del tempio è la grande sala ipostila con ventiquattro colonne, eretta dagli imperatori Claudius e Vespasianus nel I secolo. Pareti e colonne sono iscritte a geroglifici, ed è proprio da tali iscrizioni che veniamo a conoscere più chiaramente il ruolo di Ḫnûm nella creazione degli uomini. I miti eliopolitani ed ermopolitani si occupavano poco della creazione dell’uomo, preferendo dedicarsi alle grandi cosmogonie; il mito esnaico si concentra invece sul dettaglio umano, mostrandoci come fosse proprio Ḫnûm, il dio criocefalo, a determinare il legame tra gli dèi e gli abitanti del mondo. Nell’inno a lui dedicato, la scienza anatomica si fondeva all’artigianato, l’una e l’altra trasfigurate su un piano metafisico.

Come nel movimento circolare della ruota la massa inizialmente amorfa della creta viene trasformata nell’elegante simmetria di un vaso, così Ḫnûm modellava gli uomini con perfetta conoscenza dell’anatomia umana. Nel suo inno, l’opera antropogonica viene descritta nei più minuti dettagli anatomici. E non si tratta più della misurata operazione dei miti mesopotamici, ma di un atto che è «creativo» anche in senso artistico. Vi è ammirazione nel modo in cui Ḫnûm fa scorrere il sangue sulle ossa e attacca la pelle al corpo, escogita il sistema respiratorio e quello digerente, fa in modo che gli organi sessuali consentano il massimo piacere senza perdere in efficienza durante l’accoppiamento, progetta corpi femminili in modo che supportino tutte le fasi della gravidanza, dal concepimento al parto. Ma Ḫnûm fa molto di più di questo, perché in questo caso la creazione dell’uomo, a differenza della maggior parte delle altre mitologie, non è un evento mitico fissato una volta per sempre nel passato, ma è continuo e puntuale. Ḫnûm non si limita a plasmare il primo uomo, ma ripete il miracolo della creazione per ogni singolo essere umano: ogni volto viene singolarmente modellato dal dio in modo che abbia una sua fisionomia, un aspetto caratteristico, un carattere unico e irripetibile. Le ruote di vasaio di Ḫnûm si identificano con l’utero femminile. In molti testi, Ḫnûm viene chiamato in causa nella nascita di qualche personaggio più o meno importante. Nell’iscrizione che il presuntuoso sacerdote Ḏed-ḫonsu-ef-ʿanḫ, vissuto durante la XXII dinastia, fece incidere sul suo monumento, leggiamo:

Dunque Ḫnûm non si limitava a plasmare soltanto i corpi degli uomini sulla sua ruota di vasaio, ciascun viso secondo il suo aspetto caratteristico, ma per ogni uomo ne forgiava il carattere, l’intelligenza, le capacità, le qualità morali e le caratteristiche interiori. Da Ḫnûm provenivano tutti i costituenti dell’essere. Nella metafisica egiziana, ogni uomo era formato da tutta una serie di princìpi spirituali che ne definivano e ne stabilivano la natura più intima e il destino escatologico. Non è facile penetrare le concezioni antroposofiche degli antichi egizi e gli stessi studiosi tradiscono il loro imbarazzo quando si trovano a dover definire il preciso significato di ogni termine di questa antichissima terminologia. A scorrere la letteratura scientifica, le definizioni si confondono le une con le altre. È triste constatare che le lingue moderne, con la loro generica nozione di «anima», sono poca adatte per penetrare le sottigliezze dell’antica metafisica egiziana.
Possiamo dunque dire che secondo gli egiziani ogni essere umano era composto da:

Questi costituenti dell’essere erano irrinunciabili all’essere umano, connaturati nella sua natura metafisica. Ma facendo parte dell’uomo nella sua completezza fisica e metafisica, dovevano venire anch’essi plasmati, insieme all’individuo, sulla ruota di vasaio di Ḫnûm. Una serie di iscrizioni incise sulle pareti dell’imponente Ḏeser Ḏeserû, il tempio funerario della faraonessa Hatšepsût (1479-1457 a.C.), presso Wâst (gr. Thêbai, it. Tebe), riportano la storia del concepimento e della nascita della stessa regina, da cui traspaiono le concezioni degli egiziani riguardo le tecniche e le modalità di creazione dell’uomo. Nella storia, lo stesso dio Amûn-Raʿ, colpito dalla grande bellezza della regina Aḥmôse, avrebbe assunto l’aspetto del faraone Â-Ḫepr-ka-Raʿ per unirsi a lei. La scena è di grande bellezza e suggestione:

Da questa unione nasce una figlia, il cui stesso nome viene suggerito dal dio alla regina da lui amata e che è destinata a ereditare il potere di suo padre sull’Alto e sul Basso Egitto. Ḫnûm si mette al lavoro per crearla. In un rilievo su pietra calcarea rinvenuto nel medesimo tempio, è raffigurata una scena dove il criocefalo è seduto su uno sgabello, davanti alla sua ruota da vasaio, intento a plasmare l’immagine della futura regina. La cosa curiosa è che le figurine sulla ruota sono due: Ḫnûm sta infatti plasmando contemporaneamente Hatšepsût e il suo kâ. Le sue mani sono protese su entrambe le statuette. È evidente che il lavoro di creazione effettuato da Ḫnûm procede contemporaneamente sia sul piano materiale che su quello metafisico. Inginocchiata ai piedi del criocefalo, Ḥeqet, la dea-levatrice dalla testa di rana, tiene nella mano destra un ʿanḫ, che sta avvicinando alle due immaginette plasmate da Ḫnûm, simbolo della vita che sta per essere insufflata in esse, mentre regge un secondo ʿanḫ nella sinistra. Nei testi che accompagnano l’immagine, il dio Ḫnûm viene chiamato per adempiere alla volontà di Amûn.
Nel testo, Ḫnûm spiega ad Amûn:

E poi Ḫnûm aggiunge, evidentemente rivolto all’immagine della regina che sta plasmando sulla ruota:

Da questo punto si evince un altro punto molto interessante. Nel momento della creazione, come abbiamo visto, Ḫnûm plasma le membra, l’aspetto personale e il carattere dell’individuo, e anche i suoi costituenti metafisici, a partire dal kâ. Ma fa di più: egli traccia anche la vita, le imprese, il destino di ciascuno, iscrivendolo a quanto pare nello stesso limo da cui trae il loro corpo e la loro anima. Ad ogni persona da lui modellata, Ḫnûm concede un punto di vista prestabilito, quello che gli egiziani chiamavano šay «ciò che è deciso», talvolta impersonato da una dea a sé stante. È quel principio che i Greci resero poi col loro concetto di agathodaímōn. In questa ottica di Ḫnûm quale dio del fato, è evidente come le dee del destino Mesḫenet e Renenûtet finirono poi per essere considerate le inseparabili compagne del criocefalo. Nella favola egiziana Bâta ḫr Anûp informalmente nota come «Storia dei due fratelli», conservata nel Papiro d’Orbiney (Papyrus British Museum 10183) e risalente al regno del faraone Setẖî-merî-na-Ptaḥ (Seti II, 1209-1205 a.C.), XIX dinastia, Ḫnûm viene chiamato a plasmare una moglie per il protagonista che è rimasto solo, e il testo ci informa che nel momento stesso della creazione, il destino della donna è stato già deciso e già assicurato:

Il destino della donna è già stabilito fin dalla nascita. Nelle sette Ḥût-ḥûr non vediamo soltanto le sette levatrici che adiuvano Ninmaḫ nel decidere il destino del primo uomo creato, o le sette dee che si riuniscono attorno ad Hḗphaistos ed Athēnâ per vestire e ornare Pandṓra; qui hanno la stessa funzione delle Moîrai o Parcæ, le dee del destino che filano la vita degli individui nel mito classico, e addirittura preludono alle fate madrine delle fiabe medievali, che si radunano intorno alla culla dei neonati per deciderne il corso della vita. Si è anche pensato che la scena della creazione della moglie di Bata sia alla base del mito della creazione della stessa Pandṓra, pure plasmata nella creta da un dio-artigiano e adornata dai doni di tutti gli dèi, come narra Hēsíodos nelle Érga kaì Hēmérai. Il progetto di Zeús di modellare Pandṓra per arrecare infinite miserie e disgrazie al genere umano, non coincide con lo spirito filantropico di Ḫnûm, artigiano evidentemente innamorato del suo lavoro. Vi sono comunque molte attinenze tra la storia di Pandṓra e la vicenda di Bâta ḫr Anûp, che gli studiosi hanno puntualmente rilevato. In entrambi i casi, la donna creata dal dio artigiano (Ḫnûm/Hḗphaistos) sarà oggetto di una fatale contesa. Il motivo tuttavia degli uomini creati sulla ruota di vasaio, comune anche in altri miti mediorientali, si diffonderà nei secoli, lungo i mille rivoli della cultura umana. Ne ritroviamo un eco in Irān, nelle splendide quartine di ʿOmar Ḵayyām, laddove il motivo è invertito. Qui sono i vasai a fare anfore e vasi dai corpi degli uomini, tornati dopo la morte ad essere terra:

È un circolo immenso, aperto nell’antico Egitto tremila anni prima di Cristo, che viene a chiudersi idealmente in Irān, quattromila anni dopo…
(Fonte: Bifrost.it)