
La nave spaziale è composta di tre sistemi:
a) il corpo centrale principale,
b) le quattro eliche,
c) la capsula per l’equipaggio, posta sulla parte superiore del corpo centrale.
Le figure 1, 2 e 4 ci danno una visione globale della nave spaziale.
Il corpo centrale principale
La forma ricorda più quella di una trottola usata dai bambini per giocare, che non una nave spaziale fantascientifica. Come vedremo, la forma è ben indovinata ed è certamente il risultato di un’accurata programmazione, Il progresso dell’aerodinamica vi gioca un ruolo importantissimo: il volo dallo spazio alla Terra attraverso l’atmosfera, inizia ad una velocità di 34.000 km/h. Al momento dell’atterraggio, la velocità deve essere ridotta a zero. Se il corpo aerodinamico presenta una grande resistenza all’aria, la forma del veicolo spaziale può contribuire in modo determinante a produrre la frenata necessaria per passare a velocità zero. La più adatta all’uomo, è la parte inferiore dell’astronave, la cui forma è quasi conica. Durante la discesa la punta del cono è rivolta verso la Terra, e l’astronave discende lungo il suo asse verticale principale (figura 4). Il contrario avviene al decollo, l’astronave sale lungo il suo asse verticale, ma con la punta conica rivolta verso l’alto. Questo in quanto all’atterraggio necessita la maggior resistenza all’aria possibile, mentre al decollo si verifica la situazione inversa. La parte superiore dell’astronave è tondeggiante, quella inferiore presenta un profilo concavo, per offrire un’opportuna resistenza all’aria. L’idea di una stilizzazione simile a quella riscontrabile nella struttura inferiore della nostra astronave, venne sviluppata da Roger A. Anderson, del Centro di Ricerche Langley della Nasa, nel dicembre del 1964. Egli tenne conto non solo di una grande resistenza all’aria, ma anche di un minimo peso del veicolo spaziale. Qui entrambe le funzioni sono assolte splendidamente è inoltre assai elegante l’impiego del profilo concavo al fine di ottenere il minimo peso possibile. La scelta ottimale del profilo fa sì che, nella parte superiore della costruzione, si sviluppino solo delle tensioni di trazione, permettendo di adoperare lamiere molto sottili. Un’astronave con una forma come quella descritta, presenta quindi vantaggi notevoli. I voli nell’atmosfera richiedono l’impiego di quattro eliche. Il profilo conico della parte inferiore facilita la loro applicazione,permettendo di distanziarle il più possibile in rapporto al veicolo e garantendo la stabilità di volo. E anche previsto il piegamento verso l’alto delle ventole delle eliche, sfruttando l’incavo della parte inferiore dell’astronave. In questo caso, la parte centrale viene a trovarsi compresa fra le eliche, il che consente di ridurre al minimo l’altezza totale del veicolo. Ne viene che il punto di gravità è al livello più basso consentito dalla costruzione, aggiungendo stabilità al volo e sicurezza durante l’atterraggio. Non conosciamo, almeno per ora, altre forme che soddisfino meglio alle esigenze diversificate della costruzione e del funzionamento di un veicolo spaziale. Se a questo proposito, facciamo un confronto con le forme a noi note delle capsule Mercury, Gemini e Apollo, si capisce immediatamente che esse non sono compatibili con l’applicazione di eliche. Per i compiti che probabilmente esplicavano le astronavi di Ezechiele e tenendo presente il livello tecnico di quegli ingegneri sconosciuti, la forma prescelta costituì il punto cruciale dell’intera realizzazione del progetto. E su quanto detto sopra, che poggia la mia affermazione sul rapporto tra il significato tecnico concreto della descrizione di Ezechiele e la pubblicazione dell’Anderson. Abbiamo parlato, motivandola, della forma esterna dell’astronave. E giunto il momento di illustrarne gli elementi principali. L’apparato propellente del veicolo è composto da un reattore e da un meccanismo per il raffreddamento, da un serbatoio per il carburante, dall’accensione delle eliche e degli impianti complementari, come quello di climatizzazione interna dell’abitacolo spaziale o quello dell’impianto del carburante. Se la forma della parte inferiore dell’astronave costituisce la chiave per la sua ricostruzione, il reattore è il fattore essenziale del suo funzionamento. Il reattore è situato nella parte più bassa del corpo centrale del veicolo ed, esaminandolo accuratamente, ci rendiamo conto del perché, in questo momento, non riusciamo ancora a costruire un’astronave come quella di Ezechiele. È necessario introdurre nelle nostre considerazioni la grandezza matematica più importante che si usa in missilistica e cioè l’impulso specifico. Esso esprime la propulsione in chilogrammi per ogni chilogrammo di propellente impiegato al secondo. Tanto meno propellente è necessario per ottenere una determinata propulsione, quanto più elevato è il valore dell’impulso specifico. In senso lato, l’impulso specifico ci dà un’idea della economicità di un sistema propulsivo. Il peso del propellente rappresenta la parte proporzionalmente più importante del peso totale, è ovvio quindi che si cerchi di ridurne il peso a parità di rendimento. Tutto ciò spiega, nel modo più semplice, il significato dell’impulso specifico . Può capitare che un dato valore di I, per un determinato programma di volo spaziale, implichi un peso ed una dimensione che rendono irrealizzabile un progetto. In questo caso occorre usare un impulso specifico più elevato. Gli attuali apparati propulsivi impiegano ossigeno puro, o sostanze portatrici di ossigeno, per ottenere elevate temperature di carburazione. A seconda delle sostanze usate, si raggiungono valori di I superiori ai 400 secondi. Grazie alle temperature più elevate, con i reattori il valore supera i 900 secondi. Dalla nostra analisi risulta che la nave spaziale di Ezechiele è realizzabile con un valore di I di oltre 2000 secondi. Questa è la ragione per la quale, oggi, non riusciamo ancora a costruirla. Tuttavia, un simile livello di I non è cosi disperatamente lontano dalle nostre odierne cognizioni tecniche: è ragionevole supporre che lo si raggiungerà fra alcuni decenni. ovvio che il tempo necessario per rendere possibile una tale costruzione, implica il superamento di grosse difficoltà tecniche e richiede degli investimenti finanziari notevoli. Il tempo necessario a produrre uno sviluppo scientifico nel senso di cui sopra, non è indipendente dall’entità degli investimenti. Nulla impedisce di affermare che, se parecchi anni fa si fosse ritenuto necessario spendere somme ingenti in questo settore, oggi potremmo forse già realizzare apparati di propulsione simili a quelli descritti da Ezechiele. In altre parole, il reattore di una nave spaziale è per noi qualcosa che è ormai prossimo, non appartiene né al mondo dei sogni, né alla fantascienza. Vi siamo cioè vicini “nel tempo”. Si tratta di una speranza che poggia sull’esperienza del nostro lavoro e che ci lascia intravvedere i risultati tecnici di cui stiamo parlando. Dal punto di vista scientifico la meta non è più così lontana. Queste considerazioni sul confronto tra l’attuale stadio della nostra conoscenza tecnica e quello raggiunto da quella tecnologia sconosciuta, assumono un grande rilievo nel giudizio sull’opera di Ezechiele. La nave biblica acquista una dimensione nuova, a noi più comprensibile e vicina. Il giudizio può essere formulato sulla base di una innegabile similitudine fra la nostra tecnologia e quella che permise la costruzione dell’astronave descritta da Ezechiele. Nella forma di quest’ultima, ravvisarono le conclusioni cui sono approdati alcuni studi recenti sui veicoli spaziali. Inoltre, quanto si conosce ormai sui materiali, ci conferma che, nelle costruzioni future, sarà possibile economizzare parecchio sul peso di un’astronave. Possiamo quindi esprimere un giudizio sulla costruzione della nave di Ezechiele, così come rappresentata nelle figure 1 e 4. Oggi potremmo dunque già costruire l’astronave di cui narra il profeta, escludendo però ancora il reattore. (La costruzione presenterebbe qua e là delle difficoltà da superare, però il problema non ci sarebbe estraneo chiunque si occupi di missilistica o di aerei supersonici è quotidianamente coinvolto in problematiche di questo tipo. Il getto è situato alla stessa altezza del reattore. In principio non è diverso dal motore di un qualsiasi missile (vedi figura).
Tuttavia, mentre questi ultimi hanno in genere la sezione trasversale a forma circolare, qui la sezione trasversale è anelliforme. Il diametro del motore è più ampio e permette una consistente diminuzione della lunghezza del veicolo. Si può inoltre adattare il diametro del getto a quello della costruzione principale quest’ultima viene allora semplificata e si economizza nel peso. La forma della ‘nave spaziale prova l’applicazione di questo principio ed è un’ulteriore conferma dell’accuratezza della progettazione. La stima dello spazio occupato dal sistema di raffreddamento è alquanto grossolana ed approssimativa, poiché non conosciamo realmente né il reattore né il relativo sistema di raffreddamento. Senza dubbio, lo spazio occupato dal sistema di raffreddamento è considerevole, data la sua estensione in altezza. Se le sue dimensioni restano un’incognita, riusciamo invece ad ipotizzare con buona approssimazione la temperatura a cui opera. Dalle caratteristiche presunte dei materiali con cui è costruito, il sistema di raffreddamento lavora ad una temperatura compresa fra i 1000 ed i 1300 gradi Celsius. L’affermazione è importante, in quanto stabilisce che, quando opera, il meccanismo è rovente. Come abbiamo visto, quando il reattore funziona, la parte inferiore dell’astronave è esposta a temperature molto elevate. Questo implica notevoli difficoltà nella scelta dei materiali con cui costruire l’astronave, specie in quella zona della sua superficie sottoposta al calore del reattore. Si tenga anche conto che, per il volo frenato nell’atmosfera e durante le manovre di atterraggio, è sempre la parte in questione che sopporta il forte surriscaldamento dovuto all’attrito dell’aria, anche se il reattore è spento. Questa doppia funzionalità, resistere cioè al calore del reattore e a quello del volo frenato, costituisce uno dei problemi chiave da risolvere nella fase di progettazione del!’ astronave. Il come venne superato nel veicolo spaziale descritto da Ezechiele, è una affascinante constatazione della razionalità delle scelte operate da quegli ingegneri sconosciuti. Il serbatoio del propellente è posto sopra il reattore, a distanza ravvicinata. Lo spazio tra il serbatoio e il reattore, è occupato a valvola principale di sicurezza, dal condotto del propellente, dalla pompa e dallo schermo protettivo antiradiazioni La funzione di questi congegni è semplice da capire. La valvola mantiene il propellente nel serbatoio quando il reattore è spento e si apre non appena esso entra in funzione. Allora la pompa spinge la miscela nel reattore, alla pressione opportuna. Lo schermo antiradiazioni protegge l’equipaggio racchiuso nell’abitacolo dalle radiazioni nocive emesse dal reattore. Poi ché l’equipaggio trascorre la maggior parte del tempo nella capsula, l’intensità delle radiazioni che la investono deve essere la minore possibile. Questa necessità determina la composizione i e le dimensioni dello schermo protettivo. Se vogliamo esprimerci per immagini, diciamo che il reattore non deve poter vedere la capsula. Questo spiega anche il diverso spessore dello schermo. Agli altri lati del reattore, cioè dove la capsula non viene interessata, lo schermo lo si mantiene più leggero e sottile. Questo perché, in quelle direzioni, raramente si trova un membro dell’equipaggio, e se c’è vi rimane poco tempo. Il serbatoio del propellente occupa la maggior parte dello spazio della nave. Inizia poco sopra il reattore e continua verso l’alto, oltrepassando il diametro massimo del corpo centrale del veicolo. La sua forma segue essenzialmente il profilo concavo della costruzione . Nell’intercapedine esterna al serbatoio, oltre all’intelaiatura portante, trovano posto tubature, cavi e materiali isolanti. Il diametro della patte superiore del serbatoio è piuttosto ampio, il che renderebbe antieconomico l’impiego di una sezione trasversale ellittica nella parte inferiore. Siamo sicuramente davanti ad una costruzione speciale, sulla quale ritorneremo in appendice del testo. Come propellente viene usato l’idrogeno liquido. Già oggi, conosciamo dei sistemi di isolamento che permettono di raggiungere temperature così basse. Si studia inoltre per ottenere sistemi che consentano temperature ancora minori. Appartengono infine al corpo centrale della costruzione le eliche, che ricevono il propellente necessario al loro funzionamento dalla stessa fonte del reattore. il giocoforza ammirare la finezza di una simile progettazione la stessa fonte di energia viene usata indipendentemente da due consumatori. Reattore ed eliche non funzionano mai simultaneamente a pieno regime, quindi, a seconda delle necessità, il propellente viene indirizzato all’uno o alle altre. All’attuale livello della nostra tecnologia, la trasformazione diretta di calore in elettricità, richiede apparecchiature molto pesanti. Questo non esclude che, con l’avanzare degli studi, non si riesca in futuro ad ottenere lo stesso risultato con pesi minori. Comunque, dato che il nostro problema è quello di stimare il peso dell’astronave, preferiamo usare il sistema convenzionale di indagine che ci darà dei pesi maggiori, ma anche dei risultati più attendibili per quanto riguarda il peso stimato. Il funzionamento è in sintesi il seguente: l’energia termica del reattore spinge un mezzo non meglio definito appartenente alla turbina. Dal generatore che vi è collegato si dipartono i cavi che conducono l’energia elettrica agli elettromotori che, a loro volta, la mandano alle eliche. Uscito dalla turbina, il vapore viene condensato e il fluido ottenuto viene pompato in un contenitore e rimesso in ciclo. Per la condensazione si può adoperare un sistema di raffreddamento situato nella parte superiore dell’astronave, oppure sfruttare la bassa temperatura dell’idrogeno. Sia la produzione di energia che la condensazione avvengono in circuito chiuso: le uniche perdite derivano quindi da un minimo spreco in prossimità delle guarnizioni. Questa conclusione riveste un significato molto importante, in quanto la nave spaziale, in virtù di quanto esposto poc’anzi, può volare nell’atmosfera terrestre per un periodo di tempo praticamente illimitato.
Le eliche
È caratteristico come, nell’astronave, manchi qualsiasi particolare che risulti completamente incomprensibile. Non troviamo infatti nulla che sia del tutto fuori della nostra portata tecnica. La posizione del piano del rotore nel corpo centrale, implica Da struttura di collegamento formata da pilastri, come si vede nelle ligure 1 e 4. Le quattro unità su cui sono installate le eliche, diventano inoltre i naturali elementi di appoggio dell’astronave sulla superficie terrestre. Le ruote necessarie a spostarsi sul terreno sono lontane dal rotore, deve quindi esserci un’altra struttura di supporto nella cui parte inferiore operino meccanismi di atterraggio. Quest’ultimo supporto offre ottime possibilità di applicazione dei razziguida, nonché dei loro serbatoi di propellente. Visto che questi ultimi sono cilindrici o conici, la forma che- ne deriva è quella riprodotta nelle figure I, 2 e 4.Esistono inoltre delle braccia meccaniche per effettuare manipolazioni di oggetti esterni alla nave spaziale e che siano, ad esempio, da spostare sul terreno. Ogni rotore è costituito da quattro elementi che, nella posizione di quiete, sono piegabili a coppie verso l’alto o verso il basso. Questa caratteristica degli elementi del rotore, per quanto non complicata, è degna di nota e ci spinge ad analizzarne la Parte della risposta è suggerita dalla posizione delle eliche durante il volo frenato, su cui torneremo più avanti. Anticipiamo solo che, specie gli elementi esterni, offrirebbero un’eccessiva resistenza all’aria . Questo è già un motivo pratico che spiega il piegamento degli elementi del rotore, non dice però per quale ragione il piegamento viene previsto per coppie di elementi. La spiegazione nasce dall’osservazione attenta del rotore e ad atterraggio effettuato. Finché sono nella posizione di funzionamento, uno o due elementi di ciascun rotore sono vicinissimi al sistema di raffreddamento e sono quindi esposti a considerevoli irradiazioni di calore. Neanche usando materiali speciali, sarebbe possibile evirare deformazione, almeno per un certo periodo di tempo, metterebbero il rotore in condizioni di non operare normalmente. Per ovviare a questo inconveniente, si è dovuto escogitare il modo di allontanare gli elementi del rotore dal sistema di raffreddamento. Questo risultato lo si ottiene solo piegando le eliche. Se tutti e quattro gli elementi pendessero contemporaneamente verso il basso, ci sarebbe almeno un elemento che, in tutta la sua lunghezza, sarebbe esposto al forte calore del sistema di raffreddamento (vedi l’elemento 1, figura 6). Gli elementi 2 e 3 (fig. 6), si trovano nella migliore posizione possibile. La posizione svantaggiosa dell’elemento 1, la si ovvia con i piegamenti a coppie, verso l’alto e verso il basso. In questo modo, tutti gli elementi si trovano alla massima distanza possibile dal sistema di raffreddamento.
Questo riduce al minimo i problemi del carico di calore e della deformazione del materiale di cui sono costruite le eliche. Questa può essere considerata la soluzione del problema prospettato al riguardo. Quando invece le eliche funzionano, le loro estremità non vengono a contatto con il calore che temporaneamente, cioè ad ogni rotazione. L’aria provvede al loro continuo raffreddamento durante il funzionamento, la temperatura delle eliche rimane stazionaria e soddisfacente, tale quindi da non alterarne la forma in maniera eccessiva. Comunque, si tratta di una situazione che va esaminata in sede di progettazione, sia per determinare la forma delle eliche che per stabilire il materiale più adatto alla loro costruzione.Come in qualsiasi altro veicolo, la differenza tra i giri delle eliche e quelli del motore, è determinata da un sistema di ingranaggi. Noi, in genere, piazziamo sia il motore che gli ingranaggi, sotto il rotore. Nell’astronave di Ezechiele, invece, la propulsione scende dall’alto verso il basso, quindi anche gli ingranaggi sono posti sopra il rotore. Gli ingranaggi hanno un rivestimento che li protegge dal calore e dalla polvere. La superficie del rivestimento è piuttosto irregolare, in quanto deve seguire il profilo degli ingranaggi. Esso è solcato da un taglio, per consentire alle eliche di piegarsi nei due sensi. Questi dettagli non rivestono un’importanza tecnica particolare, tuttavia, come vedremo nel capitolo successivo, assumono un grande significato per qualcuno che, come Ezechiele, era sprovvisto di una preparazione scientifica specifica.
Abbiamo sempre parlato di un piano del rotore. È però possibile che le eliche girino a coppie, che esistano cioè due piani, l’uno davanti all’altro. Tutto dipende dal come viene bilanciato il momento della propulsione dei rotori. È un argomento che, in questa sede, non è molto rilevante e che evitiamo di approfondire. I razzi-guida, servono per compiere lievi mutamenti nella direzione o nella posizione della nave spaziale durante il volo. La loro collocazione è visibile nella figura 7. I razzi-guida si accendono per breve tempo e provocano una spinta limitata. La si può paragonare ai remi di un natante, con i quali si ottengono variazioni nella direzione del galleggiamento. La quantità e la posizione dei razzi che si accendono, fa sì che l’astronave si sposti in un senso o nell’altro, si capovolga, compia delle rotazioni su se stessa. Chiunque abbia seguito alla televisione il progetto americano Apollo, si ricorderà certamente della scia prodotta dai razzi-guida, quando la navicella spaziale decollò dalla Luna per andare a ricongiungersi all’astronave-madre. All’esterno e sotto le eliche, si trovano da due a quattro braccia meccaniche, telecomandate che, in posizione di quiete, pendono verso il basso. Grosso modo, ricordano un braccio umano, con le sue articolazioni, gomito e polso ed una sorta di mano meccanica. Gli elementi che compongono ciascun braccio sono telescopici, sono cioè allungabili per aumentare la portata del braccio medesimo, come si può vedere nella figura 7. Alle spalle delle braccia meccaniche, esistono probabilmente degli “occhi” televisivi, che dirigono e controllano i movimenti delle varie articolazioni. Il telecomando è situato nella capsula di comando. Articolazioni del genere di quelle descritte sopra sono note alla nostra tecnologia. Nelle figure 8a e 8b sono visibili la concretizzazione di una “mano” meccanica ed un suo possibile impiego pratico. Il progetto statunitense Shuttle, studia costruzioni di questo tipo, ma di dimensioni maggiori.
Ogni “gamba” è formata da un semplice elemento verticale, telescopico, mentre i “piedi” non sono che dischi rotondi, la cui forma e dimensione servono per evitare lo sprofondamento nel terreno. La parte inferiore di ciascun piede è curva, per consentire un eventuale scivolamento in caso di necessità, quando ad esempio si atterri con un forte vento laterale. È stata proprio la descrizione così meticolosa degli elementi citati, che mi ha spinto ad approfondire la ricerca. Scrive Ezechiele (1.7):
“Le loro gambe erano diritte, ed i piedi simili agli zoccoli
di un bue, lucenti quale bronzo terso.”
Poiché mi sono occupato per anni di ricerche relative al peso che questi “piedi” potrebbero sopportare, le parole di Ezechiele hanno assunto per me un significato subito comprensibile. Le ruote permettono un rotolamento pluridirezionale. Questa è una condizione piuttosto complicata, ma che viene soddisfatta con estrema semplicità. Si pensi alla camera d’aria di una gomma da automobile (nella figura 9 si vede lo schizzo dei movimenti schematici).
La freccia 1 indica il consueto movimento di una ruota che rotola in avanti. Supponiamo ora che la camera d’aria giri su se stessa, come indicano le due frecce 2. Si otterrà un movimento trasversale lungo la direzione della freccia 3. Con un’appropriata combinazione di entrambi i movimenti di rotazione, la ruota può muoversi in qualsiasi direzione. In figura 10 è riportalo il progetto di una ruota funzionante, simile a quella descritta precedentemente. La ” gomma” è divisa in alcuni segmenti aventi una forma simile a quella di un barile, ciascuno dei quali è collegato al mozzo con dei raggi. I due movimenti di rotazione si ottengono l’uno dalla rotazione della ruota intorno al mozzo, e l’altro dalla ·rotazione dei segmenti bariliformi intorno al loro asse. Ezechiele prestò particolare attenzione alla descrizione delle ruote. Poiché l’interpretazione del testo è stata falsata, nell’appendice di questo libro è inserita una trattazione tecnica accurata delle ruote. Adesso è necessario indagare sul significato degli “occhi”; espressione che nella descrizione biblica ricorre con frequenza. In figura 10, i segmenti bariliformi presentano una superficie liscia.
La presa della ruota sul terreno sarebbe quindi scarsa. Per aumentare la resistenza allo slittamento, la superficie in questione non può essere liscia, occorre profilarla. Tuttavia, qui la resistenza dello slittamento deve prodursi non solo nel senso del piano della ruota, ma anche in quello verticale al piano stesso. Non è quindi possibile applicare un profilato del tipo di quello delle gomme da trattore, occorre cercare una soluzione diversa. Quest’ultima la si trova mediante corti prolungamenti di forma conica, vuoti, che si adattano al suolo sprofondandovi leggermente. I prolungamenti hanno il terminale aperto, scuro, ed il raffronto fra queste aperture vuote e gli “occhi” è senz’altro comprensibile e giustificato. Aggiungo che la mia soluzione 1 di progetto e di costruzione della ruota in oggetto, è stata ritenuta suscettibile di brevetto. Infatti, la proposta relativa è stata elaborata dall’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti. Si impone un’ulteriore riflessione sulle eliche. L’azione frenante provocata dalla forma aerodinamica della parte centrale del veicolo, presuppone che il medesimo si trovi in una corrente di aria libera. La vicinanza delle eliche renderebbe nullo l’effetto frenante, senza contare che esse sarebbero esposte a sollecitazioni termiche che ne renderebbero assai problematica la costruzione. Il volo frenato presuppone quindi l’allontanamento delle eliche. Anche questo problema è stato risolto con sorprendente facilità. Le eliche sono piazzate in prossimità del corpo centrale dell’astronave. Esse si possono girare facilmente verso l’alto, venendosi allora a trovare nella posizione illustrata in figura 11. Quello è quindi l’aspetto dell’astronave quando entra nell’atmosfera terrestre. Come si vede nella figura 11, le eliche sono nella parte posteriore del veicolo che; orientato in tal modo, sfrutta la sua forma aerodinamica ottenendo il massimo effetto frenante e non subisce il minimo intralcio da parte delle eliche congegni necessari a spiegare le eliche, non presentano grosse difficoltà costruttive.
Questo girare le eliche verso l’alto, produce un’interessante conseguenza per quanto riguarda i razziguida. Quando le eliche sono sotto il corpo centrale dell’astronave, cioè nella loro posizione di riposo, si potrebbe essere tentati di collocare i razzi-guida nella parte esterna, quella cioè che non è rivolta verso il centro del veicolo. Ma non appena si girano le eliche verso l’alto i razzi vengono ad essere troppo vicini alla capsula di comando, costituendo un ceno pericolo. Quanto sopra è già un motivo più che sufficiente per collo care i razzi-guida dalla parte opposta. C’è però ancora qualcosa che vale la pena di considerare. Così realizzati, i razzi-guida sono, nella posizione definitiva delle eliche, equidistanti dal punto di gravità del veicolo. Questo permette al comandante di dare quei “colpi di timone” che facilitano la manovra. I razzi-guida possono naturalmente anche funzionare quando sia necessario capovolgere l’astronave. La collocazione adottata, permette l’impiego ininterrotto del medesimo sistema di guida durante qualsiasi fase del volo. Balzano evidenti la semplicità, la sicurezza e l’efficienza della soluzione costruttiva prescelta.
La capsula di comando
Come si vede nella figura 4, la capsula di comando è posta nel mezzo della parte superiore del corpo principale dell’astronave, e quindi nel punto più elevato del veicolo. La capsula è convessa, cilindrica nel suo corpo centrale, ed ha un diametro di circa due metri. È costruita di materiale sintetico, trasparente come il vetro. Sia nella parte superiore che in quella inferiore, è provvista di aperture: la prima consente agli astronauti di uscire all’esterno del veicolo spaziale, la seconda di entrare all’interno dell’astronave che è in tal modo collegata con la capsula di comando. La capsula è mobile, cioè può volare in modo autonomo lasciando la nave spaziale e ritornandovi quando ha esaurito la sua missione. Questo volo autonomo della capsula lo si può effettuare sia con il comando diretto e sia teleguidandola dall’astronave.Tutto ciò non deve sembrare fantascientifico in quanto, anche se in misura ridotta, la nostra tecnologia ha già ottenuto alcuni risultati in tal senso. La capsula è dotata del minimo indispensabile per effettuare il volo autonomo. Oltre a due o tre poltrone per l’equipaggio, non vi sono che gli. strumenti di comando e gli apparecchi radio trasmittenti riceventi. L’aria viene introdotta nella capsula dalla nave che provvede a rifornirla in occasione di ogni volo autonomo. Per i casi di emergenza, sono disponibili dei piccoli apparecchi respiratori Tutto esclude le poltrone, è costruito in dimensioni ridotte ed è visibile dall’esterno della capsula.
Il comandante

Senza speciali distinzioni, Ezechiele chiama il comandante semplicemente “l’Uomo”. Nonostante il suo straordinario spirito di osservazione e le sue indubbie capacità descrittive Ezechiele è scarso in proposito. Forse non vide nulla di particolarmente interessante nel comandante e supponiamo quindi che questi avesse davvero l’aspetto di un “uomo umano”, la cui statura non fosse ad esempio diversa da quella dell’individuo medio dei tempi del profeta Ezechiele come abbiamo già descritto, notò invece l’abbigliamento del comandante, indicato come di color bronzeo o dorato. Oggi sappiamo che dovette trattarsi di una tuta isolante. Il comandante è dotato di uno strumento che gli permette di volare da solo. Questa sua peculiare capacità gli è molto utile in diverse fasi del viaggio. Così, ad atterraggio avvenuto dell’astronave egli può uscire dallo sportello superiore della capsula e dolcemente fino a posarsi sul terreno.Con quell’apparecchio può inoltre saltare qualsiasi ostacolo e muoversi con facilità evitando i pericoli che gli si potrebbero presentare sulla superficie terrestre. È ovvio che, con il medesimo mezzo,il comandante ritorna alla capsula prima del decollo e, durante il volo spaziale, può uscirne per ispezionare l’astronave. Questo minuscolo propulsore, cosi utile sulla Terra, diventa una necessità assoluta nei casi di emergenza specie quando la capsula vola separata dalla nave spaziale. Il comandante può abbandonare la capsula e ritornare da solo sull’astronave. Un tale strumento propulsore, concepito per un solo uomo, non è né esagerato, né irrealistico. Apparecchi di questo genere li si è studiati e progettati da almeno un decennio. Nella figura seguente si vede un volo realizzato con un sistema analogo a quello descritto sopra, quanto mai probante sulle possibilità di impiego di simili mezzi propulsori.
Apparecchi meno potenti sono già stati impiegati nei voli spaziali degli ultimi anni, anche se siamo ancora alla fase iniziale delle progettazioni. È però lecito attendersi un considerevole progresso di questi studi e io un lontano futuro, saremo in grado di costruire apparecchi propulsori individuali ben più potenti degli attuali. Il comandante è certamente dotato di una radio ricetrasmittente, con cui può teleguidare lo sganciamento della capsula dell’astronave e manovrarla a distanza.
Il funzionamento
L’orbita intorno alla Terra Si? il tipo di costruzione che i calcoli effettuati, ci danno la certezza che l’astronave sia un veicolo spaziale pendolare, destinato a far la spola tra la nave-madre e la Terra. La nave madre è posta in orbita intorno al nostro pianeta e funziona come punto di partenza e di arrivo dei voli dell’astronave. Non staremo a fare delle ipotesi sulla nave-madre e sulla sua provenienza. A noi interessa un problema particolare, compreso in quello più generale il quale richiede indagini approfondite e documentate relativamente all’astronave vista da Ezechiele. Questo primo passo è propedeutico all’esame dei problemi successivi. Da qualunque parte arrivasse la non meglio identificata nave. madre, per immettersi nella sua orbita intorno alla Terra dovette ridurre la velocità. Tanto più l’orbita è vicina al pianeta, tanto più considerevole deve essere la riduzione della velocità. Ogni cambiamento di velocità, accelerazione e diminuzione, richiede l’impiego dei razzi e quindi un consumo di propellente. Maggiori cambiamenti di velocità determinano maggior uso di propellente e viceversa. Queste considerazioni inducono a pensare che la nave-madre scelse la più lontana orbita possibile. Per l’astronave pendolare, si verificano le condizioni opposte. Più lontana è la nave-madre dalla Terra, più lungo diventa il tragitto da percorrere e quindi più consistenti diventano le necessità di equipaggiamento. Se stabiliamo tutte le condizioni di esercizio dell’astronave, è possibile calcolare l’altezza ottimale dell’orbita della nave madre intorno alla Terra. In teoria, questa altezza ottimale può assumere qualsiasi valore superiore ai 150-200 km. Queste possibilità teoriche incontrano un limite di cui dobbiamo necessariamente tenere ‘conto, e cioè la fascia dei raggi di van Allen. Diventa per noi importante l’anomalia sud-atlantica: la zona di più elevata intensità si approssima di circa 350 km. al livello del mare. In questa zona oggi sappiamo che i raggi sono tollerati dall’organismo umano. Visto che è i mancano gli ‘elementi per stabilire l’altezza ottimale,” è lecito ipotizzare che l’orbita della nave-madre si ponesse ad una distanza di 350/400 km dalla Terra.
Il volo verso terra
La nave-madre percorre la sua orbita intorno alla Terra ad una velocità di circa 3400 km/h. L’astronave, quando inizia a scendete verso la terra (dopo essersi sganciata dalla nave-madre), vola alla stessa velocità. Al termine del volo, cioè all’atterraggio, la sua velocità scende a zero. Si deve quindi risolvere un problema di frenata di grandi proporzioni. La maggior parte della frenata la si ottiene mediante la resistenza che il veicolo spaziale, costruito come abbiamo visto in precedenza, offre all’aria entrando nell’atmosfera.Questo sottolinea, ancora una volta, l’importanza della forma del corpo centrale dell’astronave. Sano due gli aspetti della frenata che vale la pena di mettere in luce.Il primo riguarda il calore che si produce in conseguenza dell’attrito dell’aria, mentre il secondo concerne l’entità della riduzione di velocità del veicolo spaziale conseguente alla frenata. Diciamo che, relativamente al primo aspetto, il limite al calore dipende dalla qualità e dalle caratteristiche dello schermo protettivo disponibile.Il secondo aspetto riguarda un limite fisiologico: l’entità della frenata non deve sorpassare la tollerabilità dell’organismo dei membri dell’equipaggio. I due punti esaminati ed i relativi limiti, ci aiutano a stabilire le caratteristiche del volo verso la Terra. Sebbene la resistenza dell’aria sia notevole, alla fine della discesa la velocità sorpassa ancora i 200 km/h. A questo punto, si accendono i motori del razzo e, in breve tempo, si riduce la velocità a zero. Atterraggio e decollo sono possibili con i motori del razzo, tuttavia, per motivi inerenti all’intera missione e su cui torneremo più avanti, i motori devono essete. spenti al più presto. Tutto ciò spiega la presenza, un po’ sorprendente, delle eliche. Infatti, spegnendo i motori del razzo, prima che l’atterraggio sia completamente effettuato, è chiaro che per atterrare o decollare non restano che le eliche. Abbiamo già detto perché, per ragioni aerodinamiche, durante la discesa verso la Terra le eliche restano piegate all’insù, cioè nel senso opposto al punto prescelto per l’atterraggio. Appena sotto la velocità del suono, si potrebbero mettere in moto le eliche, dopo averle lentamente inserite nella loro normale posizione di funzionamento, contribuendo quindi ad aumentare la frenata. Per motivi di stabilità (e anche perché continua l’azione della frenata aerodinamica), si preferisce tuttavia lasciare le eliche rivolte verso l’alto. Questo permette di accendere i motori del razzo all’ultimo momento, con l’effetto di ridurre la velocità quasi a zero. Il cambio di posizione delle eliche, può quindi praticamente avere luogo ad una velocità molto ridotta. Per metterle in funzione, o si sfrutta la velocità residua oppure si riducono i giri del motore fino a quando le eliche non abbiano raggiunto il regime desiderato. A questo punto si spengono i motori del razzo.Con questa operazione termina il volo spaziale propriamente detto e “l’astronave funziona come una specie di elicottero, Con qualche riserva sul sorgere di eventuali complicazioni, e ipotizzabile che come elicottero, il veicolo inizi a volare a circa 1000 metri dalla superficie terrestre. È in questo momento che, in genere, il comandante cerca Il luogo più propizio all’atterraggio dell’astronave, adatto per l’impiego delle “gambe” di quest’ultima. Il comandante mantiene quindi la nave sospesa, muovendola in più direzioni in volo orizzontale, a poca distanza dal terreno e cercando il punto dove posarsi. Queste, manovre il comandante le effettua con le eliche, aiutandosi eventualmente con i razzi-guida. Durante l’osservazione del terreno, l’astronave vola ad una velocità alquanto ridotta,» La sua “resistenza all’aria, paragonata alla massa del veicolo; è quindi; molto bassa. In pratica, l’astronave si sposta come un corpo che non incontra resistenza dell’aria. È naturale che se la spinta iniziale del volo esplorativo del volo esplorativo del terreno è iniziata con una lieve spinta dei razzi-guida, per arrestare l’astronave occorre l’accensione di altri razzi guida che imprimano un’uguale spinta in senso contrario. Questo successivo impiego dei razzi, non solo lo si usa per gli spostamenti orizzontali, ma anche per la rotazione dell’astronave intorno al suo asse mediano verticale.All’osservatore esterno, tutti questi razzi-guida appaiono come un balenìo privo di regole precise, capace comunque di far muovere il veicolo con rapidità notevole. Finalmente trovato il luogo adatto, l’astronave atterra ed il volo lo verso la Terra può considerarsi davvero terminato. D’ora in avanti; se il comandante desidera spostare la nave spaziale sulla superficie terrestre, non ha che da ricorrere alle ruote.Sia pure con lentezza, le ruote delle “gambe” servono a quei cambiamenti di posizione difficilmente ottenibili con le eliche o con i razzi-guida. Terminate le manovre di atterraggio, si spegne il reattore; però, dato che la temperatura dei motori scende lentamente, il sistema di raffreddamento deve ancora funzionare per un certo periodo di tempo. Come si è detto quando illustravamo la progettazione dell’astronave, quest’ultima circostanza ha indotto i costruttori a preferire le eliche. piegabili a quelle fisse.
Voli terrestri
Le eliche servono per volare da un luogo all’altro della superficie terrestre. Appena il reattore è al massimo dei giri,’ si mettono le eliche nella loro posizione operativa e si portano i rotori al regime di giri necessario per il volo. Al momento del decollo, la potenza richiesta è di circa 70.000 hp. Tutto ciò è strettamente collegato al riscaldamento dei rotori e agli aggregati per la propulsione. Poiché, come si è rilevato a suo tempo, non esistono limiti alla durata del volo, è possibile percorrere qualsiasi tragitto.
Il volo di ritorno
Il decollo dell’astronave che si appresta a ricongiungersi alla nave-madre in orbita intorno alla Terra, può avvenire sia utilizzando le eliche che i motori del razzo. Quando parleremo della missione spaziale, vedremo quali sono le circostanze che determinano la scelta dell’uno o dell’altro. sistema di decollo. Si decolla con il motore del razzo, la salita avviene gradatamente e le eliche rimangono piegate essendo superflue nella manovra. Le correzioni di rotta necessarie ad operare il congiungimento con la nave-madre si operano con i razzi-guida. In altre parole,se i decolli fossero sempre di questo tipo, si potrebbero abolire le eliche. Tutto ciò ci induce ad un’interessante constatazione: in caso di emergenza è prevedibile l’abbandono delle eliche e si decolla con i motori del razzo. Come casi di emergenza, possiamo pensare a danni meccanici ai rotori, alle eliche stesse,al sistema di isolamento,e cosi via.Lo sganciamento delle eliche in caso di necessità, può essere previsto in sede di progettazione del veicolo spaziale. Abbandonare le eliche implica una riduzione notevole del peso dell’astronave, il che può tornare molto comodo in determinate circostante. La perdita indotta dei razzi di comando è senz’altro disagevole la si compensa comunque con un appropriato sistema sterzante del motore, nonché con una parziale azione ausiliaria della nave madre. Se il decollo avviene con le eliche si ha il processo inverso a quello esaminato per l’atterraggio. A circa 1000 metri o più dal suolo,quando cioè il comandante ritiene che la distanza dal suolo sia sufficiente, il motore del razzo sostituisce le eliche.La fase di trasformazione è abbastanza critica, perché il motore ha bisogno di alcuni secondi prima di raggiungere la piena forza di propulsione. Quindi, sia pure per brevissimo tempo, la prestazione del reattore è suddivisa fra i due tipi di propulsione. In questo intervallo la portata delle eliche può ridursi a zero. Si richiede perciò un coordinamento preciso della manovra e, non appena entra in funzione la completa propulsione del motore del razzo, le eliche vengono piegate per evitare inutili resistenze dell’aria. Il resto del volo avviene normalmente usando il motore del razzo.
Considerazioni generali
L’astronave è individuabile come un corpo volante costruito in maniera stupefacente e molto sensata. Nella forma della parte centrale, riconosciamo i già ricordati vantaggi di aerodinamicità e di peso, senza contare la facilità con la quale sono applicabili le eliche. Queste ultime ci hanno colpito per il fatto di essere pieghevoli, cambiando così posizione per le ragioni fin qui analizzate e per l’applicazione dei razzi-guida. E impressionante il duplice uso cui si presta il reattore, così come sorprendono il sistema di raffreddamento e le diverse possibilità di atterraggio e di decollo. Inutile sottolineare l’importanza della durata illimitata dei voli terrestri. Queste caratteristiche si completano senza mai contraddirsi e senza mostrare lacune o punti deboli. Quanto sopra è un sicuro indice di una pianificazione del lavoro molto abile ed accurata.