RELIGIONI

Ezechiele testo biblico e tecnica spaziale 2/2

CAPITOLO 2

2.9. lo guardai, ed ecco, stava tesa verso di me una mano, che teneva un libro in rotolo.

2.10. Essa lo spiegò dinanzi a me …

Nel secondo capitolo del testo biblico sono importanti ai fini della ricerca solo il verso 9 e l’inizio del verso 10. Ezechiele vede la mano del braccio meccanico stringere “un libro in rotolo”. Poiché quest’ultimo non può essere aperto da una mano, all’inizio del verso 10 troviamo l’indizio del braccio meccanico. Tutto ciò corrisponde al verso 8 del primo capitolo del testo biblico: “di sotto le ali, ai quattro lati, si levavano mani d’uomo”.

CAPITOLO 3

3.12. Allora lo spirito mi portò via di li, ed udii dietro di me come il boato d’un gran terremoto, mentre la gloria del Signore si alzava dal suo luogo.

3.13. Era il rumore delle ali di quei viventi che le battevano l’una contro l’altra e il fragore delle ruote, quasi boato di gran terremoto.

Verso 12: Ezechiele per la prima volta vola nell’astronave. Viene sollevato da terra, in modo non meglio identificato, e posto nella capsula di comando; si trova quindi nel punto più elevato della nave spaziale. Poiché essa non decolla verticalmente Ezechiele ascolta dietro di sé il fragore del propulsore centrale. Mediante la poltrona sulla quale è seduto, entra in contatto fisico con il veicolo del quale avverte scossoni e vibrazioni che, in mancanza di termini adeguati, definisce “terremoto”. Mentre osserva con cura ogni particolare, “la gloria del Signore” decolla.

Verso 13: dalla capsula non riesce a vedere le eliche, però ne riconosce li rumore, “li rumore delle ali di quei viventi”. Nel frastuono generale, quasi non percepisce il “fragore delle ruote”, anche perché le eliche funzionano senza alcuna necessità di ricorrere alle ruote. Comunque, poiché al decollo si producono parecchi rumori secondari, Ezechiele può essere stato indotto a parlare delle ruote da qualche rumore a lui sconosciuto.

3.14. Allora lo spirito ml sollevò e ml portò via. lo me ne andavo amareggiato, con l’anima In grande eccitazione, mentre la mano del Signore pesava fortemente su di me.

3.15. Giunsi così a Tel Abib, presso i deportati che abitano lungo li fiume Kebar. nella regione dove essi dimorano. e rimasi stordito per sette giorni in mezzo a loro.

Durante il volo, Ezechiele vive interamente lo choc che quegli eventi inconsueti gli stanno procurando. La “mano del Signore” che pesa fortemente su di lui, potrebbe essere semplicemente la pressione esercitata dalla cintura di sicurezza, con cui è assicurato alla poltrona. Ogni volta che Ezechiele incontra il comandante dell’astronave, riproviamo l’impressione accennata nel commento al verso 3 del secondo capitolo del testo biblico. Ci chiediamo se Ezechiele non risenta di un’influenza ipnotica o comunque sul pensiero da parte del comandante. Tuttavia, questo problema esula dal campo della nostra ricerca.

IL SECONDO INCONTRO
Capitolo 3

3.22. Ancora nel medesimo luogo fui rapito In estasi dal Signore che ml disse: sorgi, va’ nella valle e là parlerò con te.

3.23. M’alzai dunque ed andai nella valle. Or, ecco, stava là la gloria del Signore, come l’avevo contemplata sul fiume Kebar e caddi con la faccia a terra.

3.24. Ma subito entrò in me lo spirito e ml sollevò ritto sul miei piedi, allora il Signore mi disse: vai e rinchiuditi in casa tua.

Verso 22: si ignora il momento di questo incontro. Dalla data del terzo, deduciamo che fra il primo ed il terzo intercorse un periodo di tempo lievemente superiore ad un anno. Quindi, riusciamo a datare il secondo incontro in maniera approssimativa. Le vicissitudini di Ezechiele iniziano nel modo solito, con il “fui rapito in estasi” (nel testo originale tedesco, “la mano del Signore”, N.d.T.).

Verso 23: Ezechiele riceve l’ordine di recarsi nella valle dove “or, ecco, stava là la gloria del Signore, come l’avevo contemplata sul fiume Kebar “. Come al primo incontro, Ezechiele cade bocconi, la faccia a terra. Vede la nave spaziale e la riconosce, tuttavia non si dilunga nella descrizione.

Verso 24: Ezechiele, analogamente a quanto avvenne dopo il primo incontro, si sente consolato e fortificato. Il contenuto non tecnico di questo secondo incontro, cessa· all’improvviso al capitolo settimo del testo biblico, senza alcun chiarimento sul come l’incontro stesso sia terminato. Anche in questa occasione, Ezechiele accenna al comandante con profondo rispetto: “Allora il Signore mi. disse”.

IL TERZO INCONTRO
Capitolo 8

8.1. L’anno sesto, il giorno cinque del mese, mentre ero in casa mia e dinanzi a me stavano gli Anziani di Giuda, fui rapito in estasi dal Signore Dio.

8.2. Guardai, ed ecco una figura dall’aspetto d’uomo, da quei che sembravano i suoi fianchi In giù era di fuoco, e dai lombi in su appariva come uno splendore, simile al brillare dell’eletto.

8.3. Egli stese una forma di mano, m’afferrò per i capelli e lo spirito mi sollevò fra terra e cielo, e ml portò in visioni divine, a Gerusalemme, all’ingresso della porta Interna che guarda verso settentrione, là dov’era collocato l’idolo della gelosia.

8.4: Ed ecco, apparve la gloria del Dio d’Israele, simile alla visione che avevo veduto nella valle.

Verso 1: un anno è trascorso dal primo incontro di Ezechiele con il comandante della nave spaziale. Dopo un periodo di tempo non precisato con esattezza, si tratta comunque di alcuni mesi, avviene il secondo incontro, che inizia con la tipica frase “fui rapito in estasi dal Signore Dio” (nel testo tedesco originale “la mano del Signore si posò su di me”, N.d.T.).

Versi 2 e 3: pare che questi versi siano quanto rimane di una descrizione meno concisa. Il comandante viene caratterizzato in modo analogo al verso 27 del primo capitolo del testo biblico e, come nel verso 3, è menzionato il braccio meccanico “stese una forma di mano”. La narrazione è frammentaria: occorre metterla in rapporto alle descrizioni precedenti, altrimenti il testo così spezzettato, risulta incomprensibile e confonde le idee. Ezechiele vola “fra terra e cielo” verso Gerusalemme, senza rimanere choccato da questo secondo incontro e dal volo in sé.Da uomo straordinariamente intelligente, ha ormai completamente acquisito quanto gli permette di vivere eventi così portentosi senza più emozionarsi. Egli atterra vicino alla porta settentrionale del tempio.

Verso 4: dai versi precedenti, alquanto frammentari, deduciamo che Ezechiele volò con la sola capsula e non con l’intera astronave. Quando si ritrova a terra, conferma infatti la presenza dell’intera nave spaziale “simile alla visione, che aveva veduto nella valle”. È curioso come egli confermi la rassomiglianza solo della nave spaziale e non del comandante.

CAPITOLO 9

9.1. Poi gridò alle mie orecchie, con voce potente, e comandò: avvicinatevi, voi che dovete castigare la città, ognuno abbia Il proprio strumento di sterminio in mano.

Verso 1: subito dopo l’introduzione discorsiva, l’azione assume contorni drammatici. Il comandante, che si trova ancora nella capsula insieme ad Ezechiele, si serve evidentemente di un altoparlante che; alle orecchie del profeta, suona come “una voce potente”. L’espressione “avvicinatevi, voi che dovete castigare la città”, cambia nei vari testi biblici da noi usati (nel testo tedesco originale: “i tormenti si avvicinano alla città”, N.d.T.).

Rif. 1 e 2: “Le calamità si addensano sulla città”.
Rif. 3: “Che si avvicinino gli esecutori…”.
Rif. 4: Tace a questo proposito.
Rif. 5: “I tormenti si avvicinano alla città”.
Rif. 6: “Che si occupino della città”.
Rif. 7: “Venite, fustigatori della città”.

Nei testi citati (traduzioni dal tedesco e dall’inglese a cura del traduttore), si evidenziano due possibili interpretazioni. La prima riguarda la constatazione “si avvicinano”, la seconda riguarda l’ordine “che si avvicinino”. In quest’ultima accezione, non è molto chiaro a chi sono rivolti questi ordini, cioè se sono diretti ad “esecutori”, forse “giustizieri” o a “funzionari” che occupano determinate cariche all’interno della città, come suggerisce il testo in inglese se interpretato letteralmente. La soluzione del problema è ravvisabile nel riferimento 6 (pag. 41). Infatti il testo ebraico ammette tutti e quattro i significati sopra citati. Vedremo più oltre come la frase in questione si risolva effettivamente in un ordine. Sempre dal riferimento 6, ricaviamo che i depositari dell’ordine erano quei funzionari che espletavano la loro autorità sulla città, autorità la cui portata ed il cui significato rimangono per noi misteriosi. Inammissibile l’ipotesi che, con quell’ordine fossero chiamati a svolgere un compito sconosciuto. Questo compito è, ai fini della ricerca tecnica, del tutto irrilevante. Ritorneremo sull’argomento in altro contesto, nel capitolò .ottavo del nostro libro. L’ordine prescrive che ognuno porti con sé il proprio “strumento di sterminio”. Nei riferimenti da noi usati, essi sono indicati diversamente, come si vede nella tabella.

Ne risulta una confusione evidente delle espressioni usate nel testo originale, accresciuta dal fatto che lo stesso strumento abbia in due versi successivi un significato diverso. Ezechiele conosceva certamente le armi del suo tempo. Se avesse compreso la denominazione data dal comandante, se avesse cioè riconosciuto quelle armi, non sarebbe rimasto così nel vago. Si tratta quindi di armi a lui sconosciute, affermazione questa che viene avvalorata dal verso 2 e dal relativo commento.

9.2. Ed ecco, per la via della porta alta, che guarda a settentrione. giunsero sei uomini, ciascuno con proprio strumento micidiale In mano: In mezzo ad essi stava un personaggio, vestito di lino, che portava la borsa di scriba alla cintola. Arrivati che furono, si fermarono a fianco dell’altare di bronzo.

Quegli uomini sono solo potuti apparire così all’improvviso, sbucando dalla porta, in virtù di una precedente intesa con il comandante dell’astronave, presumibilmente mediante un contatto radio. Per noi una simile possibilità è ormai acquisita da molti anni, perciò la situazione non presenta alcun carattere di anormalità. È invece anomalo ed eccitante che, a parte lo “strumento micidiale”, Ezechiele non notasse in quegli uomini nulla al di fuori del comune che giustificasse una trattazione specifica. Persino il personaggio “in mezzo ad essi”, eccezion fatta per il “vestito di lino”, non presenta alcuna caratteristica particolare che attiri l’attenzione del profeta. Poiché il comandante viene chiamato semplicemente “uomo”, ne deduciamo che tutti quelli che avevano a che fare con la nave spaziale sembravano effettivamente degli uomini. Nel capitolo ottavo del libro ritorneremo su questa importante considerazione.Il “personaggio vestito di lino”, merita, se non altro per la. .sua posizione di preminenza, un’analisi più approfondita. Se interpretiamo il verso letteralmente, possiamo (rif. 6,) ritenere che il vestito di lino contrassegni un rango più elevato. Questa tesi sarebbe confermata dalla posizione che il “personaggio” occupa nel gruppo che avanza. Lo svolgersi dell’azione dimostrerà tuttavia che egli indossa una tuta protettiva, una tuta in amianto forse, che Ezechiele scambia per lino, stoffa a lui ben nota. Il “personaggio”, contrariamente agli altri uomini, “portava la borsa di scriba alla cintola” indicata, in altre traduzioni bibliche come “corno d’inchiostro”. Ignoro se gli alti funzionari si portassero sempre dietro gli strumenti per scrivere, comunque il significato basilare del racconto di Ezechiele non cambia. Diciamo che ogni uomo in tuta portava uno strumento elaborato tipico della sua era, un’era caratterizzata da un’avanzata tecnologia spaziale. È logico ipotizzare che la “borsa di scriba alla cintola” fosse in realtà una ricetrasmittente o, meglio ancora, un misuratore di radiazioni. Affermazioni di questo genere esulano dalla mia competenza professionale: mi auguro che una più stretta collaborazione fra ingegneri e storici aiuti a risolvere questo dilemma. Il gruppo misterioso si avvicina ali’ altare di bronzo e si dispone a lato.

9.3. E la gloria del Dio d’Israele dal cherubino, sul quale stava, si era alzata, dirigendosi verso la soglia del tempio. Il Signore chiamò l’uomo vestito di lino che portava alla cintola la borsa dello scriba,

9.4. e gli ordinò: passa per la città, percorri Gerusalemme e segna una croce sulla fronte degli uomini che gemono e piangono per tutte le nefandezze che si commettono in mezzo ad essa.

9.5. E con le mie orecchie intesi che disse agli altri: “Passate dietro a lui, per la città, e colpite! Il vostro occhio non perdoni e non abbiate misericordia”.

9.11. Ed ecco, l’uomo vestito di lino, che portava la borsa alla cintola, fece il suo rapporto: “Ho fatto come tu m’hai comandato.”

Verso 3: questo verso sembra anticipare il verso 4 del decimo capitolo biblico “quindi la gloria del Signore si alzò al di sopra del cherubino, verso il limitare del Tempio … “. Ma, ad un esame meno superficiale, l’ipotesi della ripetizione non regge. Ezechiele parla nel 9.3 della “gloria di Dio” e nel 10.4 della “gloria del Signore”. Tenuto conto dello spirito di osservazione del profeta e del rigore che anima le sue descrizioni, allora la differenza non è insignificante. I due versi in questione si riferiscono a corpi volanti diversi; il 9.3 narra del volo del comandante  nel capitolo 10 del nostro libro troveremo una prova diretta di questa asserzione  mentre il 10.4 riguarda il volo della capsula. Come abbiamo detto nel capitolo 4, la tecnologia attuale ha reso possibili entrambi i tipi di volo, quello della capsula e quello dell’uomo. Il comandante è quindi volato vicino al tempio ed ha chiamato il “personaggio vestito di lino” che porta “la borsa di scriba”.

Verso 4: di tutte le parti del testo biblico che interessano la nostra ricerca, questo è l’unico passo in cui Ezechiele identifica il comandante con Dio (il Signore). Ritorneremo su questo punto nel capitolo 7 del libro. Per ora, è importante notare che il comandante impartisce un ordine al “personaggio vestito di lino”, argomento che approfondiremo ulteriormente nel contesto del commento al verso 10.7.

Verso 5: ordini vengono impartiti ad altri uomini che accompagnano il “personaggio vestito di lino”. Seguono alcuni versi che esulano dall’oggetto del nostro studio e che, di conseguenza, evitiamo di riportare.

Verso 11: siamo al culmine della situazione. L’uomo che indossa quella tuta protettiva che Ezechiele aveva scambiato per un vestito di lino, torna ed annunzia al comandante: “ho fatto come tu mi hai comandato!” E’ il rapporto tipico dell’inferiore al superiore, il cui tono secco e conciso richiama la disciplina militare. Il confronto con una situazione simile, in circostanze da noi così lontane, rende questo momento elettrizzante e spaventoso.

CAPITOLO 10

10.1. Guardai, ed ecco, sul firmamento, che stava sopra il capo del cherubini, vi era come una pietra di zaffiro, e qualcosa simile ad un trono appariva sopra di loro.

10.2. E disse all’uomo vestito di lino: entra fra le ruote, sotto il cherubino, prendi a piene mani carboni ardenti fra i cherubini, poi gettali sulla città. Egli vi andò, davanti ai miei occhi.

10.3. Ora, i cherubini si erano fermati al lato destro del Templo, quando l’uomo vi andò, e una nube riempiva il cortile Interno.

10.4. Quindi la gloria del Signore si alzò al di sopra del cherubino verso il limitare del templo, il quale fu riempito dalla nube e il cortile fu tutto Inondato dallo splendore della gloria del Signore.

10.5. Il rumore delle ali dei cherubini giungeva fino al cortile esterno, simile alla voce di Dio Onnipotente, quando aria.

10.6. Dato dunque l’ordine all’uomo vestito di lino: prendi del fuoco dal carro, di mezzo ai cherubini, egli vi andò e si fermò accanto alla ruota.

10.7. Allora il cherubino stese la mano sul fuoco, che era tra i cherubini, ne prese e lo mise nelle mani dell’uomo vestito di lino, Il quale appena l’ebbe ricevuto, usci.

10.18. Or la gloria del Signore uscì dalla soglia del Tempio e si posò sul cherubini.

10.19. E i cherubini stesero le ali e si elevarono da terra davanti al miei occhi, e le ruote si alzarono accanto a loro. Essi andarono a posarsi all’ingresso della porta orientale del Tempio del Signore, e la gloria del Dio d’Israele era In alto, sopra di loro.

Verso 1: guardando in alto, in direzione della nave spaziale, Ezechiele compie un’osservazione importante. Egli descrive la posizione della capsula di comando, ma la descrizione termina con un trono! Nessuno è seduto sul trono, perché il comandante, come si ricava dal commento al verso 9, è volato al Tempio dove ha impartito gli ordini e ricevuto quel rapporto che ormai conosciamo. Si ha l’impressione che Ezechiele, dopo aver visto il comandante ritornare al tempio, abbia voluto assicurarsi che quello fosse proprio il “suo” comandante. Lo sguardo corre al “trono” e la supposizione è confermata: la poltrona è vuota! Con il consueto rigore, Ezechiele non solo illustra quanto vede, ma vuole anche controllare l’esattezza delle sue affermazioni. Nella posizione in cui si trova, questo verso è inserito senza alcun particolare nesso logico ( dal punto di vista organico della trattazione, andrebbe inserito nel verso 9.3) e lo svolgimento dell’azione risulta spezzettato. Comunque sia, il decimo capitolo comporta alcune difficoltà di ordine strutturale. A dire il vero, nel decimo capitolo prosegue l’azione iniziata nel nono capitolo. Lo si constata leggendo attentamente il testo, fra ripetizioni e descrizioni dell’astronave inserite in modo inorganico. Si ha l’impressione che sia intervenuta l’attività di revisione di un outsider. Ritorneremo ancora su questo punto. È vantaggioso isolare il contenuto essenziale del capitolo, e cioè l’azione, per occuparci successivamente dei passi omessi. Il contenuto essenziale Io troviamo nei versi 2, 3, 4, 6, 7, 18 e 19.

Verso 2: il comandante ordina all’uomo in tuta protettiva di recarsi alla nave spaziale e di estrarne del materiale “ardente” (“fra i cherubini”) e di gettarlo sulla città. Ecco spiegato l’enigma della tuta protettiva: il “personaggio vestito di lino”, se non avesse un’adeguata protezione termica, non potrebbe avvicinarsi al meccanismo di raffreddamento, ancora rovente, senza rimanere ustionato. Egli non deve tuttavia avvicinarsi troppo al corpo principale del veicolo: l’ordine è di restare in piedi “sotto il cherubino”. Poiché le eliche sono ferme, il “sotto” significa arrestarsi sull’ampia superficie compresa fra i rotori. Dare al “sotto” un’interpretazione più letterale, ipotizzare cioè che le eliche siano più alte dal suolo di quanto sia alto il personaggio in tuta, non è illogico. Dato il diametro considerevole delle ruote, un’altezza simile delle eliche dal suolo, non è scartabile a priori. In ogni caso, l’uomo si trova vicinissimo alle eliche e, come si legge nel verso 6, egli “si fermò accanto alla ruota”, il che conforta le nostre supposizioni. L’uomo deve prendere qualcosa di “ardente” e gettarlo sulla città. Questi passi oscuri sono inseriti con eccessivo anticipo ‘rispetto allo svolgersi degli eventi: come contenuto appartengono al verso 6 di questo capitolo biblico.

Verso 3: vi è descritta la posizione dell’astronave nel momento in cui l’uomo si avvicina ad essa. Per determinare la posizione della nave spaziale in rapporto al tempio, occorre prima precisare dove si trovava Ezechiele. Dal vestibolo del tempio, prossimo alla porta settentrionale di cui al verso 8.3, è presumibile che si sia spostato quando vide arrivare degli uomini “per la via della porta alta che guarda a settentrione” (verso 9.2). Allora, poiché il 10.3 indica la nave spaziale a destra del tempio, ne deduciamo che la posizione di Ezechiele doveva quasi certamente essere un po’ a nord del tempio stesso. La “nube” di cui parla con tanta naturalezza come se si trattasse di un fenomeno acquisito, lascia supporre un inserimento anticipato di questo verso di quanto viene poi ripreso nel verso successivo.

Verso 4: la capsula volta, teleguidata dal comandante, dalla nave spaziale alle soglie del tempio (ne abbiamo parlato commentando il verso 9.3). A questo punto, la “nube” non sorprende più: può essere una nube di polvere causata dall’alta velocità dei gas di scarico emanati dalla capsula. La sua superficie, trasparente come il vetro, riflette i raggi e crea quell’effetto ottico per cui “il cortile fu tutto inondato dallo splendore della gloria del Signore”. L’impiego dei motori che emettono gas a temperature elevate e da cui si potrebbe dedurre un effetto luminoso – è da escludersi, in quanto la capsula atterra accanto al comandante. Se ci fossero stati i gas di cui sopra, l’incolumità del comandante ne sarebbe andata di mezzo.

Verso 6: il verso 2 andrebbe bene inserito nel verso 6. Comunque, quando il personaggio in tuta è vicino alle eliche, termina la parte introduttiva della scena dell’azione: ormai tutti gli uomini sono ai loro posti. Il comandante e la capsula sono davanti al tempio (lato est). La nave spaziale è al lato settentrionale, Ezechiele con ogni probabilità è vicino alla porta settentrionale del tempio. Il “personaggio vestito di bianco” è fermo “accanto alla ruota”.

Verso 7: il braccio meccanico – potrebbe trattarsi di più di un braccio solo  afferra qualcosa nel corpo centrale dell’astronave e lo dà all’uomo che è vicino alla ruota. Questi prende quanto il braccio gli porge e “appena l’ebbe ricevuto, usci”. Al grosso interrogativo su quanto avvenne in realtà, non possiamo rispondere che con delle supposizioni. Dal punto di vista tecnico, un fatto è certo: l’uomo si allontanò con qualcosa di “ardente” fra le mani. Se questo “ardente” sia unicamente riferito alla temperatura, oppure se implichi anche la presenza di sostanze radioattive, non è chiaro. Esaminiamo gli ordini impartiti dal comandante. Nel loro contenuto essenziale, gli ordini dati all’uomo in tuta sono dapprima di fare qualcosa, poi di allontanare dalla nave qualche elemento indesiderato. Questa duplicità è utile sia per un’indagine in senso religioso, sia per una in senso tecnico. In quest’ultima accezione, e in contrasto con la Bibbia, la constatazione che si fa è la seguente: qualcosa di “ardente” deve essere allontanato dalla nave spaziale. Diventa perciò della massima importanza determinare il luogo ed il momento più opportuni per procedere all’operazione con sicurezza e celerità. Il cercare questo luogo, prepararlo, ad esempio liberandolo da ostacoli naturali quali pietre e cespugli, sta alla base dell’ordine che riguarda quel fare qualcosa accennato poc’anzi. L’assenza dei sei uomini è spiegabile con la necessità di rendere sicura l’operazione, procedendo a determinate attività preparatorie. Nel contesto, è giustificata la mancanza di qualsiasi tipo di saluto fra il comandante e gli uomini a terra, nonché la rapidità che contrassegna l’intera vicenda e la velocità con cui si susseguono gli ordini. Tutte le circostanze sembrano indicare una certa fretta.

Versi 18 e 19: non appena l’uomo in tuta si allontana, la capsula torna volando alla nave spaziale, senza perdere un istante. Dal testo che segue, deduciamo che il comandante è nella capsula. Subito dopo il ricongiungimento della capsula all’astronave, il comandante mette in moto le eliche e, come osserva Ezechiele, “i cherubini stesero le loro ali”. Il veicolo però non si sposta di molto e va a posarsi in prossimità della porta orientale del tempio. Segue un alternarsi serrato di vicende: dapprima il comandante allontana Ezechiele dall’astronave, quindi si reca di persona all’entrata del tempio, valutando la distanza fra sé e la nave spaziale. Mentre il “personaggio” in tuta protettiva si avvicina all’astronave, persino la capsula viene allontanata dal veicolo da parte del comandante che è già a terra e che la teleguida vicino a sé. Appena l’uomo “vestito di lino” afferra quanto gli porge il braccio meccanico e si allontana con quella cosa “ardente” fra le mani, il comandante entra rapido nella capsula e volta verso la nave spaziale. Inutile sottolineare come in quel momento necessariamente critico, nessuno era nei paraggi della nave spaziale, salvo l’uomo in tuta incaricato dell’operazione. Sappiamo inoltre che il comandante era piazzato davanti al lato est del tempio, mentre l’astronave era a nord di esso. Non si può fare a meno di osservare che, data la criticità della situazione, il comandante interpose una porzione di tempio fra sé e la nave spaziale. In caso di emergenza egli avrebbe potuto allontanarsi rapidamente, servendosi della capsula. Termina così quanto, nei versi del decimo capitolo del testo biblico, è riferito all’incalzare degli eventi. In altri versi ritroviamo notizie relative alle eliche ed alle ruote che riconfermano le caratteristiche delle navi spaziali viste da Ezechiele. Con una sola eccezione, tutto coincide con quanto è narrato da Ezechiele in occasione del primo incontro, quindi è superfluo ripetere i medesimi concetti. E invece più precisa la descrizione del decollo, come si constata nel verso che segue.

10.16. … e quando I cherubini alzavano le ali, per sollevarsi da terra, le ruote non si staccavano dal loro fianchi.

Con la motivazione esplicita “per sollevarsi da terra”, quindi per il decollo, le eliche vengono portate in posizione orizzontale. Ezechiele illustra la manovra ricorrendo ad una proposizione dipendente, in un verso che in verità è dedicato alle ruote. L’unica eccezione all’analogia quasi completa fra i due incontri, riguarda il verso 12 che nei vari testi biblici da noi esaminati per questo studio è riportato come segue.

Rif. 1 : “E tutto il loro corpo, schiena, mani ed ali, era pieno di occhi tutt’intorno, e tutti e quattro avevano delle ruote”.
Rif. 2: (così termina il verso 1 1 : “E andarono avanti … senza girarsi…”) “con il loro intero corpo, schiena, mani ed ali. E le ruote avevano occhi tutt’intorno, tutte e quattro”.
Rif. 3: “Ed i loro cerchi ed i loro raggi e le loro ruote avevano occhi tutt’intorno, e tutti e quattro avevano ruote”.
Rif. 4: nessuna osservazione in proposito.
Rif. 5 :”il loro corpo, la loro schiena, le loro mani, le loro ali e le ruote avevano occhi dappertutto”.
Rif. 6: “Ed il loro intero corpo, la loro schiena, e le loro mani, e le loro ali, e le ruote avevano occhi tutt’intorno”.
Rif. 7: “I cerchi delle quattro ruote avevano occhi tutt’intorno”.

Abbiamo stabilito a suo tempo che gli “occhi” non sono che il profilo delle ruote, con il quale si aumenta l’attrito sul terreno per evitare gli scivolamenti. Il testo di cui al riferimento 7, è conforme a questa spiegazione, mentre gli altri divergono. Nel riferimento 6, si legge: “non si riferiscono al cherubino, bensì alle varie parti che compongono la ruota, cioè l’intera ruota è piena di occhi”. Questo commento è in armonia con quelli dei riferimenti 2 e 3, quindi le difficoltà non stanno tanto nelle traduzioni, quanto nelle fonti originarie. Con la sola eccezione del riferimento 7, il verso 10.12 non concorda con il verso 1.18. È a mio avviso affascinante imbattersi qui nell’unico caso in cui due descrizioni non coincidono. Sempre, a parte questa eccezione, ogni volta che si parla dello stesso evento o dello stesso argomento tecnico, nei vari riferimenti i versi concordano appieno. Non c’è però una vera e propria contraddizione, quanto piuttosto una mancanza di conformità. Il dilemma lo si può chiarire sia partendo da un criterio tecnico, che da uno letterario. In base a quest’ultimo, diciamo pure che c’è contrasto fra l’organicità del primo capitolo del testo biblico e la poco chiara strutturazione del decimo. Tutto ciò ha per conseguenza di rendere il decimo capitolo meno credibile, in caso di dubbio, del primo. Fra l’altro, anche nel decimo capitolo almeno una delle traduzioni è identica a quella del primo. Secondo il criterio tecnico, il verso 1.18 ” … ed i cerchi di tutt’e quattro stellati di occhi tutto all’intorno” è senz’altro quello giusto. Gli altri significati non sono rilevanti in quanto, anche se qua· e là si trovano tracce di “occhi “, il corpo centrale del veicolo lo si descrive come se fosse di cristallo e la capsula lucida e rifrangente la luce del sole. Quando sopra conferma che la superficie dell’astronave era liscia, il che ribadisce l’inesattezza del verso 12, quando accenna agli occhi del dorso, delle mani, delle ali e del corpo.

10.13. E sentii che alle ruote fu dato il nome di turbine.

Visto come sono costruite le ruote, l’espressione “turbine” rivela tutta la sua efficacia, data la rotazione specifica dei segmenti. È notevole l’annotazione ” … e sentii…” (forse questo verso dovrebbe seguire il 10.6 che contiene il secondo ordine del comandante “prendi dal fuoco del carro … “), probabilmente frammentaria, il che suggerisce l’ipotesi che il resoconto di Ezechiele sulla conversazione udita fosse più ampio e che ne sia andata smarrita una parte.

10.14. Ciascuno aveva quattro facce: la prima faccia era quella di un cherubino, la seconda quella di un uomo, la terza quella di un leone e la quarta quella di un’aquila.

La descrizione delle facce è leggermente diversa da quella del verso 10 del primo capitolo, dove si legge: “1.10 … presentavano l’aspetto di un uomo, ma tutti e quattro avevano pure una faccia di leone a destra, una faccia di bue a sinistra e una faccia d’aquila”. Dal confronto fra le varie traduzioni risulta quanto è riprodotto nella tabella seguente.

In entrambi i capitoli biblici la sequenza delle facce è uguale ma, come si vede nella tabella, esistono delle divergenze sulla prima faccia che è di volta in volta un cherubino, un bue o un toro. Dal punto di vista tecnico della nostra indagine, questa divergenza è solo rilevante in quanto introduce un elemento di incertezza nella determinazione della forma di quel meccanismo che, come ricorderà il lettore, Ezechiele scambiò per “facce”. Per quanto riguarda le “facce”, Ezechiele dice espressamente:

10.22. Le loro facce erano come quelle che avevo vedute presso il fiume Kebar. Ciascuna di loro procedeva di fronte a sé.

Egli riafferma la conformità della nave spaziale, vista nel primo incontro, con quella del terzo.

10.20. Quegli esseri viventi erano I medesimi che io avevo veduto sotto il Dio d’Israele presso il fiume Kebar, e compresi che erano del cherubini.

Notevole è il passaggio dal singolare al plurale: anche se nei riferimenti 3 e 7 ricorre sempre il plurale, la versione con il singolare è quella che predomina. Questo fatto non è inspiegabile: al primo incontro Ezechiele inizia dall’immagine globale e passa quindi alle eliche. Qui il confronto vale soprattutto per l’immagine globale, infatti il profeta sottolinea esplicitamente l’identità con quanto vide presso il fiume Kebar. In questo capitolo biblico, le eliche vengono chiamate cherubini, il che giustifica il ricorso al plurale. L’uso del concetto “esseri viventi” è comunque confusionario, poiché al primo incontro gli “esseri viventi” erano le eliche. Tuttavia questa confusione terminologica non riveste alcun interesse tecnico particolare.

CAPITOLO 11

11.1. Or, uno spirito mi sollevò e mi trasportò presso la porta orientale del Tempio, che guarda a levante …

11.2. Allora il Signore mi disse: figlio d’uomo, questi sono …

11.22. I cherubini allora levarono le loro ali e le ruote e si misero in moto con quelli, mentre la gloria di Dio d’Israele stava sopra di loro in alto.

11.23. Quindi la gloria del Signore si alzò, usci dalla città e andò a fermarsi sul monte, che sta ad oriente di Gerusalemme.

11.24. Allora uno spirito ml sollevò e ml portò in Caldea, fra gli esiliati, in visione, nello spirito di Dio, e poi si tolse dal mio sguardo la visione di cui ero stato testimone.

Verso 1: nel commento del riferimento 6 (pag. 56), per  porta anteriore del Tempio” si intende quella del cortile anteriore.
Sappiamo dal verso 10.19 che il comandante vi si era recato prima con la nave spaziale. Il verso contiene un’espressione più volte ripetuta, “uno spirito mi sollevò e mi trasportò … ” che Ezechiele adopera ogni volta che entra nell’astronave e quando viene spostato da un luogo all’altro senza, beninteso, che questo avvenga camminando. Ritorneremo ancora su questa espressione.

Verso 2: Ezechiele ed il comandante sono insieme presso la porta orientale, non sorprende allora che quest’ultimo gli rivolga di nuovo la parola. Tuttavia, i versi 22 e 24 escludono la presenza di Ezechiele nella capsula. Deduciamo che il comandante se ne sia ancora una volta allontanato per rientrarvi al momento del decollo. Il testo biblico al riguardo però tace e, con disappunto, ne constatiamo l’assenza! Del testo originario non rimane che un frammento all’inizio dell’undicesimo capitolo.

Verso 22: viviamo gli attimi che precedono il decollo. Le eliche si “levano” abbandonando la posizione di quiete in cui sono piegate all’ingiù. Inizia la manovra. Prima di alzarsi, l’astronave rotola leggermente in avanti. Come una corona, la capsula trasparente del comandante domina la nave spaziale. Ezechiele fotografa l’immagine, fissandosela indelebilmente nel pensiero.

Verso 23: l’astronave decolla ed inizia quindi il volo orizzontale in direzione del “monte che sta ad oriente di Gerusalemme”. Questi ultimi due versi rivestono un’importanza enorme: essi contengono in pratica la testimonianza di uno spettatore oculare. Un uomo, Ezechiele, documenta gli straordinari eventi del decollo e del volo terrestre di una nave spaziale, senza tuttavia emozionarsi e conservando una lucida obiettività. 2500 anni fa! Notiamo come, nella descrizione, sia stata evitata con cura la menzione del nome del monte che, secondo i commentari, sarebbe il Monte degli Ulivi.

Verso 24: ritroviamo due espressioni ormai familiari, “uno spirito” e “spirito di Dio” che sollevano Ezechiele il quale, in pratica, viene portato nella nave spaziale e, con questa vola in Caldea. Visto che lo portano in Caldea, devono anche riportarlo indietro, fatto che in sé non racchiude nulla di eccezionale. Diventa però significativo constatare che la nave spaziale, punto focale della nostra attenzione durante il terzo incontro, è appena decollata. Inoltre, i versi finali di questo capitolo biblico, ci dicono che Ezechiele non compie il volo di ritorno con la medesima astronave con cui viaggiano all’andata. Ne traiamo la conclusione che esista una seconda nave spaziale, il che non stupisce troppo, anche se ipotizzare che ci sia un’altra nave spaziale che si occupi solo di Ezechiele, ci sembra illogico ed eccessivamente antieconomico. Se tuttavia ci soffermiamo sulle oscure vicende che accadono, la presenza di una seconda astronave si giustifica meglio. Esistono parecchi indizi che l’operazione culminata con l’allontanamento del materiale “ardente” (verso 10.7) della nave spaziale fosse alquanto critica. La presenza di una seconda astronave nei paraggi, non sarebbe stata sgradita al comandante della prima che, in caso di emergenza, avrebbe potuto raggiungerla servendosi della capsula. Quest’ipotesi spiegherebbe quell’aver teleguidato la capsula vicino a sé, sganciandola dalla nave e ponendola ad una distanza di sicurezza opportuna. Se la seconda astronave si teneva ad un’adeguata distanza dalla prima, magari per evitare potenziali danneggiamenti, Ezechiele non poteva ancora averla vista. La presenza di quest’altro veicolo, risolverebbe in maniera ineccepibile il problema del trasporto di Ezechiele nel senso del verso 1. Passato il momento criticò, il comandante conduce Ezechiele alla porta orientale del Tempio. In occasione del prossimo incontro, il quarto, parleremo di numerosi voli di questo tipo e di breve durata.

IL QUARTO INCONTRO
Capitalo 40

40.1. L’anno venticinquesimo della nostra deportazione. all’Inizio dell’anno, Il giorno dieci del mese, nell’anno quattordicesimo che la città era stata presa, in quel giorno Il Signore mi rapi In estasi e ml condusse
40.2. in visioni divine nella terra d’Israele: ml posò sopra un monte altissimo, In vetta al quale sembrava costruita una città, dalla parte del mezzogiorno.
40.3. Egli mi trasportò in quel luogo: or, ecco, vi era là un personaggio dall’aspetto simile al bronzo, che teneva in mano una corda di lino e una canna di misura, e stava ritto presso la porta.
40.4. Quel personaggio mi disse: “Figlio d’uomo, mira coi tuoi occhi, ascolta bene con le orecchie e fai attenzione a tutto ciò che vedrai. Tu sei stato condotto qui, perché io faccia vedere a te e poi tu comunichi quanto avrai visto alla casa d’Israele.”

Verso 1: passarono all’incirca 19 anni prima che Ezechiele fosse di nuovo rapito « in estasi” dal Signore.

Verso 2: senza soffermarsi troppo sui particolari, durante questo incontro egli gode di “visioni divine” e viene portato sulla vetta di un monte. Scorge inoltre un agglomerato· di case che definisce “città”. Ezechiele non è per nulla impressionato dal comandante che chiama familiarmente “egli”.

Verso 3: Ezechiele era evidentemente atteso. Non dice se c’è nei paraggi il comandante. D’altronde, è ormai talmente in confidenza con la nave spaziale e con il comandante, da evitare ogni ripetizione di descrizioni già fatte in precedenza, si limita quindi a citare le novità. Per questa ragione si dilunga sul “personaggio dall’aspetto simile al bronzo” che costituisce una nuova apparizione. Non c’è dubbio che Ezechiele vide un uomo e non un nuovo tipo di oggetto volante, infatti, contrariamente ad altri casi, egli scrisse “una mano” e non “una forma di mano” (si confronti in proposito il verso 8.3). Il nuovo personaggio lo guida nel tempio e la sua tuta è, o almeno sembra, metallica. Nei vari riferimenti da noi usati, si parla a volte di bronzo e a volte di ottone. Di che rivestimento si tratti, lo si deduce dalle seguenti riflessioni. Al momento del quarto incontro, Ezechiele aveva probabilmente una cinquantina d’anni. Egli conosceva certamente le corazze di metallo che indossavano i guerrieri dell’epoca. Stimiamo a sufficienza le sue doti di osservatore, per non ritenerlo più che in grado di descrivere un guerriero in corazza del tempo. Questa descrizione assomiglia piuttosto a quella del comandante del primo e del terzo incontro. Manca solo l’accenno alla lucentezza della tuta. Tutto ciò perde di importanza, in quanto Ezechiele non indugia intorno a fenomeni già acquisiti tant’è che, all’inizio dell’incontro, non si sofferma più sull’astronave e, più oltre, si limita al raffronto con quelle viste durante gli altri incontri. Il tempio, invece, viene illustrato nei minimi particolari, perciò ne deduciamo che la tuta in questione era analoga a quella indossata dal comandante. L’uomo porta una “corda di lino” ed una “canna di misura” nella mano. Dal verso 5 di questo capitolo biblico, si ricava che la lunghezza della canna era di sei cubiti e, secondo il riferimento 6 (pag. 267), questo corrisponderebbe a 2,3 metri. Essa viene usata negli incontri successivi e sarebbe interessante che diventasse, unitamente alla “corda di lino” oggetto di indagine da parte di studiosi della tecnica dell’informazione.

Verso 4: l’uomo ordina ad Ezechiele di fissarsi bene in mente quanto sta per vedere, per raccontarlo successivamente al popolo d’Israele. L’espressione è sorprendente nella sua semplicità: “Tu sei stato condotto qui, perché io faccia vedere a te e poi tu comunichi quanto avrai visto”.

CAPITOLO 43

43.1. Mi condusse allora verso Il portico che guarda a levante.

43.2. ed ecco la gloria del Signore d’Israele giungeva da oriente. Il suo rumore era come Il rumore di una massa di acqua, e la terra risplendeva della sua gloria.

Verso 2: atterra una nave spaziale, “La gloria del Signore d’Israele giungeva…”. In una traduzione si legge il termine “calava”, Il tutto è spiegabile riel senso del primo incontro, cioè di un atterraggio effettuato mediante il motore del primo razzo.
Quanto segue lo si ricostruisce facilmente: al momento del suo arrivo sul “monte altissimo”, Ezechiele viene deposto ad una certa distanza da una porta che, più tardi, si rivela essere quella orientale. Abbandonata l’astronave (che quindi è anch’essa fuori della medesima porta), Ezechiele inizia con l’uomo in tuta la visita al tempio. Intanto la nave spaziale decolla e va a posarsi nel cortile interno del tempio. Immaginando di assistere alla scena dal cortile esterno, essa dovrebbe venire da oriente. Che sia l’intera astronave a volare sul capo di Ezechiele e non solo la capsula, lo si deduce da quel “rumore di una massa di acqua” già adoperato nel verso 1.24 per indicare l’analogo rumore delle eliche. Per l’effetto luminoso ricordato al termine del verso, non abbiamo ancora trovato una spiegazione soddisfacente.

43.3. Questa visione era come l’altra che avevo veduta quando venni per la futura distruzione della città, e ciò che si vedeva era come la visione che lo ebbi sul fiume Kebar. lo caddi bocconi colla faccia a terra.

Verso 3: queste poche frasi contengono dei particolari degni di nota. Innanzi tutto, lo conferma l’esatta rassomiglianza dell’attuale astronave con quella del terzo incontro. Quel “quando venni per la futura distruzione della città” dimostra che, in un lasso di tempo di circa 20 anni, Ezechiele vide sempre lo stesso tipo di nave spaziale. L’uniformità, in un periodo cli tempo così lungo, cli un modello di veicolo spaziale, indica che la tecnologia che lo produsse doveva essere alla fine cli un determinato sviluppo. Di. mostra inoltre che tale sviluppo era uniformemente diffuso in ogni campo, altrimenti non si spiegherebbe una simile stazionarietà. Allo stato attuale della nostra tecnologia, ad esempio, una situazione del genere, stazionaria per due decenni, sarebbe impensabile. Noi siamo all’inizio di un’era tecnologica, quindi dobbiamo essere dinamici, eccezion fatta per alcune apparecchiature ed utensili semplici, dove non si avverte più il bisogno di cambiare continuamente. Nell’ambito delle “macchine”, l’alterazione. incessante prodotti è determinata dallo sviluppo tecnico, salvo pochi casi di piccoli apparecchi volanti o della Volkswagen. Qui si è verificato ciò che accade con le navi spaziali di Ezechiele: per · un certo fine e nell’ambito della tecnologia disponibile, è stata individuata la forma ottimale “definitiva” Dal nostro punto di vista, le astronavi di Ezechiele appartengono a dei tipi maturi: nel lasso di tempo che divide gli incontri del profeta con le navi spaziali, non si sono avute modifiche essenziali. Ci sarebbe un’ipotesi che demolirebbe le tesi sostenute finora, e cioè che nave spaziale ed equipaggio appartenessero ad un’altra dimensione temporale. Tuttavia, vista la presenza di esseri viventi dalle sembianze umane cui accenna,Ezechiele, neanche il nostro attuale livello tecnologico, dove  le differenze che ci separano da quella tecnologia sono piuttosto  limitate, l’ipotesi della diversa dimensione di tempo non merita alcuna seria considerazione. È curioso come Ezechiele confronti espressamente le astronavi del primo e del terzo incontro e taccia su quella del secondo. (Si vedano i versi 8.4, 3.22 e 3.23). Una spiegazione potrebbe essere questa: negli incontri primo e terzo, la nave spaziale era al centro dell’azione e quindi dell’attenzione di Ezechiele, cosa che evidentemente non accade durante il secondo incontro. Come nel verso 2, la traduzione del riferimento 5 è diversa dalle altre. Quale esempio tipico di queste ultime riportiamo il riferimento 3.

Rif. 3: E la visione che io vidi. fu come quella che avevo veduta quando egli venne per distruggere la città ed era come la visione che avevo veduta presso il fiume Kebar, ed io caddi bocconi. Entrambe le versioni confermano l’identità delle navi spaziali, inoltre, nel riferimento 5 è inserita un’espressione per noi significativa, “apparecchio conducibile” il che è probabilmente dovuto alla diversità delle fonti originarie a cui attinsero i traduttori. L’apparecchio conducibile” è tale grazie alle ruote: questa particolare accezione del riferimento 5, conferma ancora una volta l’identità delle astronavi di Ezechiele negli incontri successivi.

43.4 Mentre la gloria del Signore entrò nel Tempio. per la porta orientale

43.5. Allora lo spirito mi sollevò e mi condusse nel cortile interno: ed ecco, la gloria del Signore riempiva il Tempio.

43.6. Allora io udii una voce che mi parlava dal Tempio, mentre quell’uomo rimaneva ritto accanto a me.

43.7. La voce ml diceva: “Figlio d’uomo, questa è la sedia del mio trono, e questo è il luogo In cui si poseranno i miei piedi, dove lo abiterò in mezzo al figli d’Israele in eterno.”

Verso 4: la nave spaziale entra nel tempio non per la porta, ma dì sopra. In Italiano il testo biblico non è, in proposito chiaro come quello tedesco dove ùber significa sia per che sopra (N.d.T.). Anche le traduzioni inglesi, qui usano by in senso analogo a ùber.

Verso 5: Ezechiele viene condotto nel cortile interno, però non dice  “mi portò” o “mi lasciò andare”, bensì “mi condusse”. L’uomo che è vestito come il comandante, potrebbe avere in dotazione un propulsore individuale, di cui abbiamo parlato in precedenza (figura 12), che gli permette di volare da solo. In questo caso sarebbe in grado di sollevare Ezechiele e di trasportarlo per un breve tratto. Il testo è piuttosto esplicito al riguardo: “lo spirito mi sollevò e mi condusse …”. L’ipotesi non è improbabile e non sarebbe irrealistica nemmeno oggi. Sorprende piuttosto che, nella nostra epoca, questi apparecchi non siano più diffusi e perfezionati, dati gli evidenti vantaggi che il loro impiego presenta nel percorrere rapidamente brevi o medie distanze.

Verso 6: ancora una volta, le definizioni di Ezechiele si rivelano molto precise. Come al solito, l’apparizione della nave spaziale viene contrassegnata con una terminologia appropriata ed impressionante: “la gloria del Signore”. Tuttavia, ad Ezechiele non sfugge che la voce che parla è reale e, per cosi dite, terrestre. Non dice quindi “la voce del Signore”, ma più semplicemente, del tutto disincantato, “udii una voce che mi parlava dal Tempio”. Questo verso precisa felicemente la situazione. Ezechiele è nel cortile, con l’uomo che l’accompagna nella visita al Tempio. Dopo l’atterraggio della nave spaziale, il comandante rivolge la parola ad Ezechiele e la voce viene “dal Tempio”, quindi da una certa distanza. Possiamo immaginare che il comandante usasse un altoparlante, magari quello stesso con cui, all’inizio del terzo incontro, chiamò a rapporto i suoi uomini a terra (verso 9.1). Si elimina così ogni equivoco sull’identità presunta fra l’uomo che. accompagna Ezechiele ed il comandante. Non sono la stessa persona e si ha la netta impressione che l’”uomo” abbia un aspetto umano.

Verso 7: si ha la quasi certezza, leggendo il testo, che chi parla ad. Ezechiele sia il comandante dell’astronave. Ezechiele dimentica ogni timore- riverenziale e lo chiama semplicemente “egli”.

CAPITOLO 44

44.1. Mi condusse poi verso il portico esterno del Tempio che guarda a levante: era chiuso.

44.4. Poi ml condusse per li portico settentrionale, in faccia al Tempio. lo guardai, ed ecco la gloria del Signore riempiva il Santuario del Signore, e mi gettai colla faccia a terra.

Versi 1 e 4: è la prima ed ultima volta che Ezechiele viene portato da un luogo all’altro. Egli non menziona il soggetto della frase, né dice “lo spirito”, ma quel “mi condusse”: ci fornisce la chiave della soluzione. Il resoconto del profeta inizia con la descrizione della via percorsa. Dapprima la porta orientale, subito abbandonata, quindi quella settentrionale, poi, con una deviazione, Ezechiele viene condotto davanti al tempio. Se quella sopra è la via percorsa da Ezechiele, una piantina del tempio ci aiuterebbe a verificarla, tuttavia è praticamente impossibile disegnarla in quanto ci mancano troppi dati. Riusciamo però a delimitare il luogo e ad indicare la disposizione dei cortili, grazie ai capitoli biblici 40, 41 e 42. La piantina così redatta, dimostra che la via descritta non è affatto possibile. Non esiste un collegamento fra il cortile orientale esterno e quello settentrionale. Per percorrere la via indicata nei versi 1 e 4, Ezechiele ed il suo accompagnatore avrebbero dovuto uscire dal tempio per la porta orientale esterna, procedere lungo il perimetro esterno dirigendosi verso nord, quindi girare in direzione ovest fino a trovare la porta settentrionale esterna, entrare, guadagnando così la porta settentrionale interna e infine il Tempio. Questa lunga camminata è impossibile, perché, come si legge nel verso 1, “il portico esterno del Tempio che guarda a levante era chiuso”.
L’altra via, quella interna, implica il passaggio per la porta orientale interna, in contrasto quindi con quanto afferma il testo biblico che parla chiaramente di porta settentrionale. L’unica via possibile è quindi quella aerea. Davanti al Tempio, Ezechiele incontra il comandante e la nave spaziale, « la gloria del Signore”, e si getta “colla faccia a terra”. Così, almeno per quanto riguarda l’astronave, l’equipaggio e l’accompagnatore, termina il quarto incontro narratoci da Ezechiele.

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