
Le alture del Golan (in ebraico: רמת הגולן, Ramat HaGolan, arabo: الجولان, al-Jawlān) sono un altopiano montuoso, dell’estensione di circa 1.800 km2, con un’altitudine massima che supera i 2.000 metri, all’interno, o sui confini, di Israele, Siria, Libano e Giordania, conosciute anche come Gaulantide.
Dal 1967 il termine è utilizzato generalmente per riferirsi a quella porzione di territorio conquistata da Israele alla Siria durante la guerra dei sei giorni, dell’estensione di circa 1.200 km2 dalle pendici meridionali del Monte Hermon alla riva meridionale del lago di Tiberiade fino al confine con la Giordania. Le Alture del Golan sono una zona situata nell’angolo sud-occidentale della Siria: misurano una lunghezza da nord a sud di circa 65 chilometri e una larghezza da est a ovest che varia da 12 a 25 chilometri per circa 1800 chilometri quadrati di superficie.
Topograficamente, le altezze delle alture del Golan variano da 2.814 metri del monte Hermon a 400 metri in prossimità del fiume Yarmuk. L’altopiano è parte di un’area molto ampia formata da campi di basalto vulcanico che si estendono da nord a est e che sono nati in seguito a eruzioni vulcaniche iniziate di recente, in termini geologici, quasi 4 milioni di anni fa, e che continuano ancora oggi.
Le alture del Golan hanno confini geografici ben distinti. A nord, la valle di Sa’ar divide generalmente il colore più chiaro della roccia calcarea delle montagne dal colore più scuro delle rocce vulcaniche dell’altopiano del Golan. La zona confina con Israele, è collinare e permette l’osservazione del Mar di Galilea (anche conosciuto come Lago Tiberiade o Lago Kinneret) posto 200 metri sotto il livello del mare, il fiume Giordano e il Monte Hermon.
Il confine occidentale della pianura è diviso strutturalmente dalla Valle del Giordano, che cade a strapiombo nel mar di Galilea. La zona a sud del fiume Yarmuk appartiene alla Giordania mentre la zona all’estremità orientale del fiume Raqqad è controllata dalla Siria. Il resto è sotto il controllo di Israele.

Fu necessaria una guerra – una guerra feroce e sanguinosa – per riportare in luce, appena alcuni decenni fa, uno degli antichi siti più enigmatici del Medio Oriente. Se non il più enigmatico, sicuramente il più sconcertante, le cui radici affondano nella profondità del tempo. Una struttura senza paragoni.
Si trova fra le rovine delle grandi civiltà fiorite in Medio Oriente durante i passati millenni – almeno per quanto fino a oggi è stato scoperto. Ciò che più gli si avvicina si erge a migliaia di Km di distanza,al di là del mare e in un altro continente. Ciò che ci riconduce subito alla mente è Stonehenge, nella lontana Gran Bretagna.
Praticamente in mezzo al nulla, su una piana spazzata dal vento (utilizzata dall’esercito israeliano per esercitazioni d’artiglieria), sono apparsi dei cumuli di pietre sistemati in cerchi, se osservati dall’alto. Una specie di ” Stonehenge” del Medio Oriente. La singola struttura consiste di diversi cerchi di pietre concentrici,tre dei quali sono a cerchio completo e due a semicerchio o “ferro di cavallo”.
Il cerchio esterno ha una circonferenza poco più di 500 metri, e gli altri cerchi divengono sempre più piccoli man mano che si avvicinano al centro della struttura. Le pareti dei tre cerchi di pietra principali sono alte 2 metri e mezzo, se non di più, e hanno un’ampiezza di oltre 3 metri. Sono costruite con pietre trovate nei campi, di varie misure, da molto piccole a veri e propri megaliti del peso di 5 tonnellate e oltre.

In diversi luoghi le mura circolari concentriche sono collegate l’una all’altra da pareti radiali, più strette ma circa della stessa altezza delle mura circolari. Nell’esatto centro della complessa struttura si erge un’enorme, seppur ben definita, catasta di pietre, che da una parte all’altra misura qualcosa come venti metri.
Oltre alla sua insolita forma, si tratta fino ad oggi di una delle singole strutture in pietra più grandi dell’Asia occidentale, talmente grande da potere di fatto essere vista da una navicella orbitante nello spazio intorno alla Terra. Gli ingegneri che hanno analizzato il sito hanno stabilito che, nelle sue condizioni attuali, comprende più di 375 metri cubi di pietra, per un peso complessivo di circa 45.000 tonnellate.
Si calcola che per realizzare questo monumento si sarebbero dovuti impiegare cento uomini per almeno sei anni: raccogliere le pietre di basalto, trasportarle sul luogo, sistemarle secondo un piano architettonico ben concepito ed erigere le mura (sicuramente più alte delle rovine oggi visibili), dando così forma alla coesiva struttura complessiva.
Da chi è stata innalzata questa struttura, quando e perché?
La domanda alla quale è più facile rispondere è l’ultima, dal momento che la struttura stessa sembra indicare il proprio scopo –almeno quello originale. Il suo cerchio esterno mostra chiaramente due brecce o aperture, una situata a nord-est e l’altra a sud-est. Posizioni che indicano un orientamento verso il solstizio estivo e quello invernale.
Mentre spostavano le pietre crollate per stabilire il tracciato originale, gli archeologi israeliani scoprirono nella fenditura nordorientale una massiccia struttura quadrata con due “ali”spiegate che proteggevano e celavano le fenditure più strette nelle due pareti concentriche successive alle sue spalle; l’edificio funzionava perciò come una porta monumentale,fornendo (e controllando) un’entrata nel cuore del complesso di pietra. Fu nelle mura di questa entrata che i più grossi massi di basalto, del peso di cinque tonnellate e mezzo l’uno, furono rinvenuti.
Anche la fenditura sudorientale nell’anello esterno forniva l’accesso alle zone più interne della struttura, ma lì il passaggio non conteneva un monumentale edificio quadrato; mucchi di pietre cadute che partono dal punto di accesso e conducono verso l’esterno suggeriscono invece il profilo di un viale fiancheggiato da pietre che si allunga in direzione sud-est – un viale che avrebbe potuto tracciare una linea di osservazione astronomica.

Questo indica che in realtà il luogo fu edificato, come Stonehenge in Gran Bretagna, per essere utilizzato come osservatorio astronomico (e principalmente per determinare i solstizi); e questo è ribadito dall’esistenza, altrove, di osservatori simili, strutture anche più simili a quella del Golan, poiché oltre ai cerchi concentrici, presentano delle mura radiali a collegamento dei cerchi. Gli indizi che suggeriscono che il monumento sul Golan – come Stonehenge in Gran Bretagna – fosse una sorta di osservatorio astronomico adibito alla determinazione dei solstizi sono rinforzati dalla presenza di strutture simili – complete sia di mura circolari concentriche sia di pareti interne a raggiera – in siti antichi sparsi un po’ ovunque, fino all’altra parte del globo, nelle Americhe. Uno di questi è il sito Maya di Chichén Itza nella penisola dello Yucatan, in Messico, soprannominato, per via delle scale a chiocciola interne che conducono alla torre dell’osservatorio, il Caracol (“La Chiocciola”).

Un altro è l’osservatorio circolare in cima al promontorio di Sacsahuaman in Perù, che domina su Cuzco, la capitale degli Inca. Lì come a Chichén Itza, probabilmente c’era una torre di avvistamento. Le sue fondamenta rivelano la planimetria e gli allineamenti astronomici e mostrano chiaramente i cerchi concentrici e i raggi di congiunzione.

Tali similitudini furono una ragione sufficiente perché gli scienziati israeliani convocassero dagli USA il Dr. Anthony Aveni, un’autorità internazionalmente riconosciuta nel campo dell’astronomia antica, specialmente quella delle civiltà precolombiane delle Americhe.
Il suo compito non era solo quello di confermare gli orientamenti astronomici, delineando la planimetria del sito del Golan, ma anche quello di determinarne l’età. Cosa, questa, che avrebbe risposto non solo alla domanda Perché, ma anche alla domanda Quando. Che l’orientamento di una struttura,se allineata ai solstizi,possa rivelare l’epoca della costruzione è un dato che l’archeoastronomia ha acquisito fin dalla pubblicazione nel 1894 di The Dawn of Astronomy (L’Alba dell’Astronomia) di Sir Norman Lockyer.
L’apparente movimento del Sole da nord a sud e viceversa con l’avvicendarsi delle stagioni è causato dal fatto che l’asse terrestre (attorno al quale la Terra ruota, determinando il ciclo giorno/notte) è inclinato rispetto al piano in cui la Terra orbita intorno al Sole (l’eclittica). In questa danza celeste – sebbene sia la Terra a muoversi e non il Sole – agli osservatori sulla Terra pare che il Sole, muovendosi avanti e indietro, raggiunga un determinato punto estremo, esiti, si fermi e poi, come per un ripensamento, torni indietro.
Poi, attraversato l’equatore, percorra tutta la strada fino all’altro estremo e di nuovo esiti e si fermi, per poi tornare indietro. I due attraversamenti annuali dell’equatore (a marzo e a settembre) sono chiamati equinozi. Le due fermate, quella a nord in giugno e quella a sud in dicembre, si chiamano solstizi (“Fermate del Sole”).
Più precisamente, per chi oggi osservi il cielo dall’emisfero nord della Terra – come per coloro che si trovavano a Stonehenge e nel Golan – sono il solstizio estivo e quello invernale. Studiando gli antichi templi, Lockyer li suddivise in due classi. Alcuni, come il tempio di Salomone a Gerusalemme e il tempio di Zeus in un luogo in Libano chiamato Baalbek, erano costruiti lungo un asse est-ovest che li orientava verso l’alba dei giorni dell’equinozio.
Altri, come i templi faraonici in Egitto, erano allineati lungo l’asse diagonale sudovest-nordest, il che significava che erano orientati secondo i solstizi. Tuttavia, egli scoprì con sorpresa che mentre nei primi l’orientamento non mutava mai (da qui la sua definizione di Templi Eterni), ciò non era vero dei secondi. Il grande tempio egizio di Karnak, ad esempio, rivelava che poiché i successivi Faraoni volevano che nel giorno del solstizio i raggi del Sole colpissero il Sancta Sanctorum, continuarono a mutare la direzione dei viali e dei corridoi, riallineandoli su un punto lievemente diverso nei cieli.
Anche a Stonehenge vennero realizzati riallineamenti simili. Cosa aveva causato quei cambiamenti direzionali?
La risposta di Lockyer fu: i cambiamenti nell’inclinazione della Terra risultanti dall’oscillazione del suo asse. Oggigiorno l’inclinazione dell’asse terrestre (“obliquità”) rispetto alla sua orbita (“eclittica”) è di 23,5 gradi, ed è questa inclinazione che determina quanto distante verso nord o verso sud il Sole sembri muoversi stagionalmente. Se quest’angolo d’inclinazione rimanesse sempre immutato, anche i punti del solstizio sarebbero sempre gli stessi.
Ma gli astronomi hanno concluso che l’inclinazione della Terra (a causa dall’oscillazione del suo asse) muta durante i secoli e i millenni, aumentando e diminuendo in continuazione. In questa epoca, come negli ultimi diversi millenni, l’inclinazione si trova in una fase di restringimento. Oltrepassava i 24 gradi verso il 4000 a.C., nel 1000 a.C. circa scese a 23,8 gradi, e proseguì la caduta fino al minimo attuale di 23,5 gradi. La grande l’innovazione di Sir Norman Lockyer fu di applicare queste variazioni della pendenza della Terra ai templi antichi e stabilire così le date di costruzione delle varie fasi del Grande Tempio di Karnak, come di quelle di Stonehenge.

Per determinare l’età delle strutture orientate astronomicamente in Sud America, sono stati usati gli stessi principi: da Arthur Posnansky in relazione alle rovine di Tiwanaku sulle rive del lago Titicaca, e da Rolf Müller per il Torreon semicircolare del Machu Picchu e per il famoso Tempio del Sole di Cuzco. Le loro meticolose ricerche dimostrarono che per poter determinare esattamente l’angolo d’inclinazione della Terra – che, una volta prese in considerazione altitudine e posizione geografica, indica l’età della struttura – è necessario stabilire con precisione dove si trovi il nord.
È pertanto indubbiamente significativo che nel caso del sito del Golan, i ricercatori laggiù scoprirono che il picco dominante del Monte Hermon, ben visibile nei giorni di cielo terso, si eleva esattamente a nord rispetto al centro della struttura. Il Dr. Aveni e i suoi colleghi israeliani, Yonathan Mizrachi e Mattanyah Zohar, furono perciò in grado di affermare che il sito era così orientato per permettere a chi si trovasse al suo centro, seguendo con lo sguardo una linea che dal centro correva verso l’entrata di nord-est, di osservare il sorgere del Sole nel giorno del solstizio di giugno intorno al 3000 a.C.!
Verso il 2000 a.C., conclusero gli scienziati, il Sole a un tale osservatore sarebbe apparso sensibilmente fuori centro, ma probabilmente ancora all’interno del segmento dell’entrata. Cinquecento anni più tardi, la struttura aveva perduto la funzione di preciso osservatorio astronomico.
Fu allora, tra il 1500 e il 1200 a.C. – come confermato dalla datazione al carbonio di piccoli manufatti ritrovati nel sito – che la pila centrale di pietre fu ampliata fino a formare un cumulo, una montagnola di massi sotto cui era stata scavata una cavità, da utilizzare probabilmente come camera funeraria. Stranamente, le date di queste fasi sono praticamente identiche alle date attribuite alle tre fasi di Stonehenge.
Poiché protetta dal monticello di pietre, la cavità sotto il cumulo – la presunta camera sepolcrale – rimase la parte più intatta dell’antico sito. Essa fu individuata con l’aiuto di sofisticate strumentazioni sismiche e radar di penetrazione del suolo. Una volta localizzata l’ampia cavità, gli addetti (guidati dal Dr. Yonathan Mizrachi) scavarono una fossa che li condusse in una camera circolare di oltre 180 cm di diametro e alta circa un metro e mezzo.
Questa dava su una camera più ampia, di forma ovale, di circa 3 metri e mezzo di lunghezza e circa un metro e mezzo di larghezza. Le mura di quest’ultima erano costituite da sei strati di pietre di basalto che risalivano a forma di cordone (cioè inclinandosi verso l’interno man mano che le mura salivano). Il soffitto della camera era costituito da due massicci lastroni di basalto, ognuno del peso di qualcosa come cinque tonnellate.
Non furono rinvenute né bare né cadaveri, né altri resti di origine umana o animale, né nella camera né nell’anticamera. Ma gli archeologi trovarono, dopo aver meticolosamente setacciato il suolo, degli orecchini d’oro, alcune collane fatte di pietre semipreziose di corniola, lame di selce, punte di freccia in bronzo e cocci di ceramica.
Conclusero quindi che si trattasse davvero di una camera funeraria, saccheggiata,probabilmente, nell’antichità. Il fatto che alcune delle pietre utilizzate per la pavimentazione della camera fossero state divelte rafforzò la convinzione che il luogo fosse stato violato da predatori di tombe. I ritrovamenti sono stati datati al periodo conosciuto come Tarda Età del Bronzo, che va dal 1500 al 1200 a.C. circa.
È a quel periodo che risalgono l’Esodo dei Figli di Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè, e la conquista della Terra Promessa al comando di Giosuè. Delle dodici tribù, alle tribù di Ruben e di Gad e a buona parte di quella di Manasse furono assegnate zone della Transgiordania, dal fiume Arnon a sud fino alle pendici del Monte Hermon a nord.
Quei domini includevano la catena montuosa del Galaad a oriente del fiume Giordano e l’altopiano oggi conosciuto come il Golan. Era forse inevitabile perciò che i ricercatori israeliani si rivolgessero alla Bibbia per trovare una risposta alla domanda: Chi? Secondo i libri dei Numeri e di Giosuè, la zona più a settentrione dei monti del Galaad era governata da Og, re del Basan.
La conquista del territorio di Og è descritta nel Deuteronomio 3:«Og e tutta la sua gente scesero in battaglia contro i Figli d’Israele», afferma la narrazione. Vinta la battaglia, gli Israeliti occuparono sessanta città «circondate da alte mura e da porte con sbarre, senza contare numerose città prive di mura».
L’edificazione di alte mura di pietra e di porte –caratteristiche dell’enigmatico sito del Golan – rientrava quindi nelle capacità dei reami al tempo del Re Og. Og, secondo la Bibbia, era un uomo grosso e gagliardo: «il suo giaciglio di ferro misura nove cubiti in lunghezza e quattro cubiti in larghezza» (equivalenti a più di quattro metri e a circa un metro e ottanta centimetri rispettivamente).
Quella taglia gigantesca, suggerisce la Bibbia, era dovuta alla sua discendenza dai Repha’im, una razza gigante di semidei che un tempo avevano abitato quelle terre. (Altri discendenti giganti dei Repha’im, incluso Golia, vengono citati nella Bibbia come alleati dei Filistei al tempo di Davide.)
Associando i riferimenti ai Repha’im con il resoconto biblico della struttura in pietra circolare eretta da Giosuè dopo l’attraversamento del fiume Giordano, e la denominazione del luogo,Gilgal – “Il Cumulo Circolare di Pietre” – alcuni, in Israele, hanno soprannominato il sito del Golan Gilgal Repha’im: ( Il Cumulo Circolare di Pietre dei Repha’im).

AFFASCINANTI CURIOSITA’
Mentre i versetti biblici non giustificano da soli una tale denominazione, né pongono davvero in relazione il Re Og con le camere funerarie, le affermazioni bibliche che la zona fosse stata un tempo il dominio dei Repha’im e che Og fosse loro discendente sono piuttosto intriganti, perché i Repha’im e la loro progenie li ritroviamo menzionati nei miti e nelle epiche dei Cananei.
I testi, che situano chiaramente le azioni e gli eventi divini e semidivini nella zona di cui stiamo parlando, furono scritti su tavolette di argilla scoperte poi negli anni ’30 in un sito costiero al nord della Siria, il cui antico nome era Ugarit.
I testi descrivono un gruppo di divinità il cui padre era El (“Dio,l’Altissimo”) e le cui faccende ruotavano attorno al figlio di El, Ba’al (“Il Signore”) e alla sorella, Anat (“Colei che Risponde”). Il fulcro dell’attenzione di Ba’al erano la roccaforte montuosa e il luogo sacro di Zaphon (che significa sia “il luogo settentrionale” che “il luogo dei segreti”); e campi d’azione di Ba’al e di sua sorella erano quelli che oggi sono il nord di Israele e il Golan.
A sorvolare i cieli della zona insieme a loro c’era la sorella Shepesh (l’incerto significato del nome suggerisce un’associazione con il Sole). Di lei i testi affermano chiaramente che «governa i Repha’im, i divini» e regna sui semidei e sui mortali. Molti dei testi rinvenuti hanno a che fare con simili coinvolgimenti da parte del trio.

Uno, intitolato dagli studiosi La leggenda di Aqhat, riguarda Danel riguarda Danel (“Colui che Dio Giudica,” Daniele in ebraico), il quale – nonostante fosse un Uomo-Rapha (cioè, un discendente dei Repha’im) –non riusciva ad avere un figlio. Invecchiando, amareggiato dalla mancanza di un erede maschio, Danel si rivolge a Ba’al e ad Anat, e questi, a turno, intercedono presso El. Esaudendo il desiderio dell’Uomo-Rapha, El instilla in lui un «vivificante soffio di vita» che gli consente di unirsi a sua moglie e generare un figlio, che gli dei chiamano Aqhat.
Un’altra storia, La Leggenda del Re Keret (Keret, “La Capitale, la Metropoli,” è usato per riferirsi sia alla città che al suo re), riguarda la richiesta di immortalità da parte di Keret per via della sua discendenza divina. Si ammala, invece, e i suoi figli si interrogano a voce alta:«Come può un discendente di El, il Misericordioso, morire?
Può forse morire un essere divino?»Prevedendo la morte apparentemente incredibile di un semidio, piangendo per Keret, i figli immaginano di vedere non solo il Picco dello Zaphon, ma anche il Recinto dell’Ampia Misura piangere la morte del padre: Per te, padre, piangerà Zaphon, il Monte di Ba’al. Il recinto sacro, il recinto potente, il recinto dell’ampia misura, (per te) piangerà.
C’è quindi un riferimento a due luoghi assai venerati che verseranno lacrime per la morte di un semidio: il Monte Zaphon, il Monte di Ba’al, è una famosa struttura sacra circolare:«il recinto sacro, il recinto potente,il recinto dell’ampia misura».Se il Monte Zaphon, il “Monte del Nord,”era il Monte Hermon, che si eleva esattamente a nord del sito del Golan,il Recinto Sacro era forse l’enigmatico sito del Golan?
Accettando le richieste di misericordia, all’ultimo momento El inviò la dea Shataqat, «una femmina che sconfigge la malattia», a salvare Keret. «Ella vola su centinaia di città, vola su una moltitudine di villaggi» in missione di salvataggio. Giunta alla casa di Keret al momento giusto, si dà da fare per rianimarlo.Ma Keret è soltanto un semidio, e alla fine muore. Era forse lui l’uomo sepolto nella tomba all’interno de «il recinto sacro, il recinto potente, il recinto dell’ampia misura?»
Sebbene i testi cananei non forniscano indizi cronologici, è evidente che essi riferiscono di eventi accaduti nell’Età del Bronzo, un periodo che potrebbe benissimo comprendere la datazione dei manufatti scoperti nella tomba del sito del Golan.
Che qualcuno di quei leggendari sovrani sia finito sepolto nel sito del Golan o meno, non possiamo darlo per certo; specialmente dopo che gli archeologi, analizzando il sito, hanno suggerito la possibilità di sepolture intrusive – vale a dire, il seppellimento di un successivo defunto all’interno di una tomba antica, determinando il più delle volte la rimozione delle spoglie precedenti. Tuttavia sono sicuri (basandosi su caratteristiche strutturali e diverse tecniche di datazione) che la costruzione del “Henge”, mura concentriche di quelle che potremmo definire Pietre Stellari, data la loro funzione astronomica precedente, dai 1000 ai 1500 anni, l’aggiunta del cumulo di pietre e della sua camera sepolcrale.
Come a Stonehenge e in altri siti megalitici, così per quanto riguarda il sito del Golan, l’enigma di chi li costruì è rafforzato dalla loro datazione e dal fatto che i loro orientamenti fossero dovuti a un’avanzata conoscenza astronomica. A meno che non si trattasse veramente degli stessi esseri divini, chi poteva essere all’altezza di tale impresa, nel caso del sito del Golan, nel 3000 a.C. circa?
Nell’Asia occidentale del 3000 a.C. c’era una sola civiltà sufficientemente progredita e con straordinarie conoscenze astronomiche in grado di progettare, orientare secondo il cielo e realizzare il genere di strutture qui analizzate: la civiltà sumera. Fiorì in quello che oggi è l’Iraq meridionale, «improvvisamente, inaspettatamente, dal nulla», come dicono tutti gli studiosi.
E nel giro di qualche secolo – un soffio, di fronte ai tempi dell’evoluzione umana – fu responsabile dell’invenzione di quasi tutto ciò che riteniamo essenziale a una civiltà progredita, dalla ruota alle fornaci, ai mattoni, alla costruzione di alti edifici; la scrittura, la poesia e la musica; dai codici di legge ai tribunali, ai giudici e ai contratti; dai templi ai sacerdoti, ai re e agli amministratori; dalle scuole agli insegnanti, dai dottori alle infermiere; possedeva una conoscenza stupefacente della matematica, delle scienze esatte e dell’astronomia.
Il suo calendario, ancora in uso presso gli Ebrei, inaugurato nel 3760 a.C. nella città chiamata Nippur, riuniva tutta la sofisticata conoscenza richiesta per le strutture di cui stiamo trattando.
Una civiltà che precedette quella degli Egizi di circa ottocento anni, e quella della Valle dell’Indo di circa un migliaio. I Babilonesi, gli Assiri, gli Ittiti, gli Elamiti, i Cananei e i Fenici vennero più tardi, molto più tardi. Tutti loro si formarono e utilizzarono i fondamenti dei Sumeri; così come fecero le civiltà che nel tempo fiorirono in Grecia e nelle isole del Mediterraneo.
Forse i Sumeri si avventurarono fino all’altopiano del Golan?
Sicuramente, poiché i loro re e i loro mercanti si spinsero a occidente verso il Mare Mediterraneo (che chiamavano il Mare Superiore), e solcarono le acque del Golfo Persico (il Mare Inferiore) diretti ad altre terre, lontane. Ai tempi in cui Ur era la loro capitale, i suoi mercanti conoscevano bene ogni angolo dell’antico Medio Oriente. E uno dei re sumeri più famosi, Gilgamesh, celebre re di Uruk (la biblica Erech), molto probabilmente passò per il sito nel Golan.
Accadde nel 2900 a.C. circa, poco dopo la sua edificazione originale. Il padre di Gilgamesh era il Gran Sacerdote della città; sua madre era la dea Ninsun. Mirando a diventare un re potente, Gilgamesh iniziò il proprio regno sfidando l’autorità di Kish, la principale città di Sumer di allora. Una tavoletta di argilla che descrive l’episodio nomina il re di Kish, Agga, e lo descrive per due volte come “gagliardo”.
Kish era a quel tempo la capitale di un ampio territorio che si estendeva forse oltre il fiume Eufrate. Viene da chiedersi se il gagliardo re Agga possa essere stato un precursore del gigantesco Og di biblica fama; giacché conferire a un re il nome di un suo predecessore era una pratica comune in Medio Oriente. Fiero, ambizioso e spaccone in gioventù, Gilgamesh reagì male all’incombente vecchiaia.
Per sostenere la sua prodezza pensò di andare a far visita ai novelli sposi della sua città, rivendicando il diritto regale di unirsi per primo carnalmente alle loro spose. Quando i cittadini non ne poterono più, chiesero aiuto agli dèi. E gli dèi risposero creando un sosia di Gilgamesh, il quale pose un freno alle sue bricconate. Soggiogato, Gilgamesh invecchiava cupo e pensoso. Vide la gente della sua età, se non più giovane, morire; e pensò che per lui ci dovesse pur essere una soluzione: dopotutto,egli era in parte divino, non solo un semidio, ma divino per due terzi, poiché, non suo padre, ma sua madre era una divinità!
Gilgamesh doveva forse morire come un mortale, o aveva diritto alla vita eterna degli dèi? Espose il proprio caso a sua madre. Certo, gli rispose lei, hai ragione. Ma per poter ottenere la durata di vita divina, devi salire ai cieli e raggiungere la dimora degli dèi. E i luoghi dai quali è possibile una tale ascesa, gli disse, sono posti sotto il controllo del tuo padrino Utu (noto in seguito come Shamash). Utu/Shamash tentò di dissuaderlo: «Gilgamesh, chi può scalare il cielo? Solo gli dèi vivono sotto il Sole in eterno. Quanto all’Umanità, i suoi giorni sono contati». Va’, stai con la tua famiglia e la tua gente, goditi il resto dei tuoi giorni, gli disse il dio.
La storia di Gilgamesh e della sua ricerca dell’immortalità è narrata nell’Epopea di Gilgamesh, un lungo testo scritto su tavolette d’argilla,del quale gli archeologi hanno scoperto sia l’originale sumero, sia diverse antiche traduzioni. Con il proseguire della storia, leggiamo che Gilgamesh non si lasciò dissuadere, e in un oggetto caduto dall’alto lesse un segno inviatogli dal cielo affinché non rinunciasse. Disposta ad aiutarlo, Ninsun gli rivelò l’esistenza di un luogo nelle Montagne del Cedro – il Luogo dell’Atterraggio – da cui Gilgamesh avrebbe potuto ascendere alla dimora divina.
Sarebbe stato un viaggio denso di pericoli, lo avvertì. Esiste forse un’alternativa? le chiese lui. Se fallisco nella mia ricerca, disse, le future generazioni sapranno almeno che ho tentato. Concedendogli la propria benedizione, Ninsun insistette che l’uomo meccanico, Enkidu, camminasse davanti a Gilgamesh, per proteggerlo durante il viaggio. La scelta era appropriata, poiché il luogo della loro destinazione era esattamente quello dal quale Enkidu era venuto, le colline dove aveva vagato con le bestie selvagge.
Egli spiegò a Gilgamesh quanto l’impresa sarebbe stata pericolosa; ma Gilgamesh insistette ad andare. Per poter raggiungere le Montagne del Cedro (in quello che oggi è il Libano) da Sumer (che si trovava nel sud dell’odierno Iraq), Gilgamesh doveva attraversare l’altopiano che oggi chiamiamo Golan. E nel proemio all’epopea, in cui vengono elencate le avventure e le conquiste del re, è affermato chiaramente che «fu lui ad aprire i passaggi della montagna».
Particolare, questo, che meritava di essere ricordato, dal momento che nella terra chiamata Sumer non ci sono montagne. Durante il viaggio Gilgamesh si fermò più volte per consultare gli oracoli divini del Dio Sole. Una volta raggiunta la zona collinare e le foreste (di cui in Sumer non c’era traccia), Gilgamesh fece alcuni sogni premonitori.
Durante una sosta cruciale, già in vista delle Montagne del Cedro, Gilgamesh cercò di provocare un sogno premonitore sedendosi entro un cerchio creato per lui da Enkidu. Fu forse Enkidu che, possedendo una forza sovrumana, riuscì a sistemare per Gilgamesh i massi trovati nei campi e formare le Pietre Stellari? Possiamo solo fare supposizioni.
Ma di recente sull’altopiano sono state rinvenute prove materiali che confermano la familiarità di coloro che per generazioni hanno vissuto sull’altopiano del Golan con Gilgamesh e la sua storia. Uno degli episodi più frequentemente narrati delle avventure del re è quello che lo vede incontrare due feroci leoni, lottare contro di loro, batterli e ucciderli a mani nude. L’azione eroica era uno dei temi preferiti dagli artisti dell’antichità in Medio Oriente.
Eppure, in un sito in prossimità dei cerchi concentrici, il ritrovamento di una lastra di pietra con una simile raffigurazione, fu una scoperta totalmente inattesa!!

Se è vero che i riferimenti dei testi e la raffigurazione sulla lastra di pietra non costituiscono una prova certa che Gilgamesh avesse raggiunto il sito durante il viaggio verso le Montagne del Cedro in Libano, c’è però un altro indizio assai curioso da considerare. Dopo aver individuato il sito dall’alto, gli archeologi israeliani hanno scoperto che era indicato sulle mappe dell’esercito siriano con il nome di Rugum el-Hiri – un nome molto bizzarro, poiché in arabo significa “Cumulo di pietra della lince rossa”.
A nostro avviso, la spiegazione di un nome tanto strano potrebbe benissimo trovarsi nell’Epopea di Gilgamesh, derivante dalla memoria del Re che lottò contro i Leoni. Queste sono solo alcune, nonché l’inizio di una serie di intricate e curiose associazioni.
(Zecharia Sitchin)