
Analizzando le scoperte scientifiche in campo genetico o biologico sembrano dare supporto alla teoria di Zecharia Sitchin e in particolare ad alcuni suoi ‘proclami’.
Sin dal primo libro Sitchin traccia una ben delineata discendenza dei popoli. Gli spostamenti geografici e i miscugli razziali che nell’antichità seguivano la civilizzazione ora di una ora dell’altra regione del medioriente e dell’estremo oriente, sono stati confermati negli anni ’90 da alcuni studi genetici utilizzati per combattere il concetto di ‘razza’ ed introdurre quello di ‘etnia’. Il maggior fautore di questi studi fu il genetista italiano Luca Cavalli Sforza, e i suoi studi sono stati completati e approfonditi da Spencer Wells, genetista del team del National Geographic, il quale ha tracciato la ‘carta delle discendenze’ dimostrando l’origine comune delle etnie mediorientali, indiane, giapponesi, e andina. Quest’ultima correlazione (giappone – ande) va tenuta in particolare considerazione: gli studi di Wells dimostrano la parentela genetica tra gli Ainu giapponesi (discendenti della cultura Jomon preistorica del Giappone) e le popolazioni andine. Ancora più a monte, Wells trova la discendenza di alcuni ceppi delle popolazioni dell’estremo oriente con gruppi etnici mediorientali, in particolare del Libano e dell’Iraq (l’antica mesopotamia). Secondo Wells (e non solo secondo lui come vedremo tra poco) sembra che grandi migrazioni dal Medio Oriente verso l’ India e l’ attuale Cina diedero origine a quelle due civiltà, attraverso l’ unione con le popolazioni meno evolute che abitavano quei territori. Un altro studio genetico portato avanti da Brian Sykes, e conclusosi con la pubblicazione del suo libro ‘The seven daughters of Eve’ (Le sette figlie di Eva), ci informa del fatto che, tra i 200.000 e i 150.000 anni fa, solo nella regione europea ci sono state 7 ‘Eva’ dalle quali sono nate tutte le attuali etnie del continente, e ben 29 Eva sparse per il mondo. Si tratta, dal punto di vista genetico, di minuscole variazioni nel dna mitocondriale, un corredo genetico che rimane normalmente invariato in linea di discendenza femminile.




Una modifica del dna mitocondriale implica una diversità fondamentale, tale da giustificare l’attribuzione a una diversa etnia (si usano più propriamente il termine ‘haplogroup’ quando si identifica un ‘nuovo ceppo’ e il termine ‘subclade’ per le variazioni dello stesso ceppo). Definendo la tipologia della mutazione, si può stabilire la ‘parentela’ e la corretta ‘cronologia’ delle discendenze tra un popolo e l’ altro. Gli studi di Sykes fanno risalire la prima ‘Eva’ a circa 200.000 anni fa e la collocano nel centro-est africano.
Tale studio conferma le conclusioni raggiunte negli studi di Wells, che invece basava le sue ricerche sulla linea di discendenza maschile tramite variazioni del cromosoma Y. Wells collocava inizialmente il nostro più vicino ‘Adamo’, il genitore maschile comune, a 60.000 anni fa, sempre nella zona del centro-est africano, precisamente nella zona che comprende la Tanzania; successivamente Wells sostenne che il periodo adeguato poteva variare dai 60.000 ai 90.000 anni fa. Il lavoro di Wells infatti identifica una mutazione chiamata M168 come la più antica presente nel corredo genetico di tutti gli uomini attualmente viventi, una mutazione originata in Tanzania circa 100.000 anni fa che si iniziò a differenziare 60.000 anni fa. Come vedremo più avanti, in effetti, questa stima è stata nel corso del tempo rivisitata, e anche se allo stato attuale ci sono nuove datazioni accreditate che riportano ancora più indietro (fornendo sempre maggiore credibilità allo scenario dipinto da Sitchin) la datazione del primo ‘genitore maschile’, ufficialmente è ancora accettata la datazione di Wells.
A quanto pare dunque l’uomo come noi lo conosciamo si sviluppò in Africa intorno ai 250.000 anni fa nella zona della Tanzania. Da li, decine di migliaia di anni dopo, si diffuse in piccoli gruppi nelle zone della mesopotamia, dell’Egitto e del Libano. Nel mentre, comunque, anche altre zone del globo erano abitate da ominidi che seguivano il loro normale e lento processo di evoluzione. Fu l’incrocio tra questi piccoli gruppi e le popolazioni ominidi delle varie regioni a permettere l’ evoluzione di queste ultime. L’ inizio dell’ultima glaciazione, circa 150.000 anni fa, fece sì che le popolazioni ominidi presenti nei territori più lontani dalla fascia tropicale/equatoriale fossero decimate lentamente, e questo ci è stato confermato nell’ottobre 2010 da una pubblicazione su ‘Le Scienze’ dal titolo: “Quando l’Homo Sapiens rischiò l’estinzione” nel quale si rivela che la popolazione globale, fino ad allora composta da circa 10.000 individui, calò drasticamente fino a poche centinaia. Questo piccolo gruppo riuscì a sopravvivere e ripopolare fino a un culmine raggiunto all’incirca 60.000 anni fa quando, a causa della estesa presenza di ghiacci che favoriva gli spostamenti tra i continenti, iniziarono le grandi migrazioni. Wells infatti data le grandi migrazioni intorno a 50.000 anni fa, facendo notare che la migrazione più antica sarebbe stata quella che portò dal centro-est africano fino alla zona nordafricana, e fino alla penisola arabica (50.000 anni fa), seguita da quella verso l’Asia-Oceania (45.000 anni fa) e verso la Mesopotamia (40.000 anni fa). Un ottimo lavoro di riassunto delle scoperte di Spencer Wells e Brian Sykes viene proposto da Daniel Rhoads, della Cyprus University, nel suo blog dedicato alle migrazioni del popoli. Egli propone una immagine riassuntiva degli studi di Wells in cui viene mostrata la migrazione sia in linea DNA-mitocondriale, sia in linea Y-cromosomale:
Molte di queste informazioni vengono trattate da Sitchin molti anni prima degli studi sulla Eva mitocondriale e sull’ Adamo Y-cromosomale (come vengono definiti questi 2 ‘genitori’). Le sue uniche fonti sono la mitologia, l’analisi dei reperti archeologici, e di tavolette di argilla ritrovate qui e lì nella zona della Mesopotamia e conservate in vari musei sparsi per il globo.
Articolo di Alessandro Demontis