Grecia, MITI, Redazione AG

Il regno di Zeus

Nel frattempo il piccolo Zeus era stato portato in una caverna del monte Ida nell’isola di Creta e affidato alle cure della ninfa Amaltea che possedeva una capra che aveva due capretti la quale costituiva l’orgoglio del suo popolo per le superbe corna ricurve all’indietro e per le mammelle ricche di latte, degne di allattare il grande Zeus.

Un giorno la capra si spezzò un corno urtando contro un albero perdendo metà della sua bellezza. Il corno fu raccolto da Amaltea che lo ricolmò di frutta ed erbe e lo donò a Zeus. Zeus una volta diventato il re degli dei, pose Amaltea fra le costellazioni e rese fecondo il corno che ancor oggi porta il suo nome, cornucopia (dal latino “cornu=corno” e “copia = abbondanza”).

Anche l’ape Panacride nutriva Zeus dandogli il miele ed un’aquila gli portava ogni giorno il nettare dell’immortalità. I suoi pianti erano coperti dai Cureti che battevano il ferro per impedire ad alcuno di sentire i suoi vagiti.

La conquista del regno celeste

Titanomachia

Quando Zeus fu grande, salì in cielo e con l’inganno fece bere a Crono una speciale bevande preparata da Metis che gli fece vomitare i figli che aveva divorato e dopo ciò dichiarò guerra al padre per impossessarsi del suo scettro. I Titani si schierarono al fianco del fratello Crono da cui ne scaturì una guerra chiamata Titanomachia.

Ebbe così inizio una lunga guerra che durò dieci anni che vide da una parte Crono, al cui fianco si schierarono i Titani e dall’altra Zeus, al cui fianco c’erano i suoi fratelli Poseidone e Ade.Entrambe le parti si battevano senza esclusione di colpi. La terra era devastata dai Titani che con la loro forza cambiavano i contorni della terra, distruggendo montagne scagliandole nell’Olimpo, il monte più alto della Grecia, dove Zeus ed i suoi fratelli avevano stabilito il proprio regno.

La guerra sarebbe andata avanti ancora per parecchio tempo se Gea non fosse intervenuta per consigliare a Zeus di liberare i Ciclopi e stringere un’alleanza con loro. I Ciclopi, per ripagare Zeus di avergli reso la libertà fabbricarono per lui le armi che sarebbero entrate nella leggenda e con le quali avrebbe retto il suo regno dalla cima dell’Olimpo: le folgori.

Zeus liberò anche gli Ecatonchiri, che con le loro cento braccia iniziarono a scagliare una quantità infinita di massi contro gli alleati di Crono che assieme alle folgori scagliate da Zeus, decretarono la vittoria finale.  Sulla sorte che Zeus fece fare al padre Crono ci sono diverse ipotesi. Secondo alcuni fu condotto a Tule e sprofondato in un magico sonno. Secondi altri, Crono viene liberato dalle catene, riconciliato con Zeus e dimorante nelle Isole dei Beati. Questa tradizione considera Crono come un re buono, il primo che abbia regnato sul cielo e sulla terra, e generò le leggende dell’Età dell’Oro.

Si narrava in Grecia che in tempi lontanissimi egli regnasse ad Olimpia su un mondo felice di pace e abbondanza. Presso i Romani – dove Crono fu assimilato a Saturno (pur essendo, questi, una divinità di origine propriamente italica) – si favoleggiava della beata Età dell’Oro e si poneva il trono del dio, costruito da Romolo stesso, sul Campidoglio. Certa è invece la sorte che fu destinata ai Titani: furono incatenati nel Tartaro, e la loro custodia fu affidata agli Ecantonchiri.

Gli antichi per spiegare la causa dei terremoti, immaginavano i Titani sprofondati nelle viscere della terra, schiacciati da montagne e isole ed i loro tentativi di liberarsi sarebbero la causa dei terremoti.

Da un dialogo (Luciano: Saturnali) tra Crono detronizzato e vecchio, ed un suo sacerdote: ” (…) Crono:

Ti dirò. In prima essendo vecchio e perduto di podagra (e questo ha fatto creder al volgo che io ero incatenato) io non potevo bastare a contenere la gran malvagità che c’è ora: quel dover sempre correre su e giù, a brandire il fulmine, e folgorare gli spergiuri, i sacrileghi, i violenti, era una fatica grande e da giovane; onde con tutto il mio piacere la lasciai a Zeus. Ed ancora mi parve bene di dividere il mio regno tra i miei figlioli, ed io godermela zitto e quieto, senza aver rotto il capo da quelli che pregano e che spesso domandano cose contrarie, senza dover mandare i tuoni, i lampi e talora i rovesci di grandine. E così da vecchio meno una vita tranquilla, fo buona cera, bevo del nettare più schietto, e fo un po’ di conversazioncella con Giapeto e con altri dell’età mia; ed egli si ha il regno e le mille faccende. (…)”

Terminava così il regno di Crono, secondo sovrano della divina famiglia e aveva inizio quella di Zeus, terzo sovrano e figlio suo. Zeus, dopo la sconfitta del padre Crono ed avere precipitato gli alleati del padre, i Titani, nel Tartaro, regnava sereno sulla stirpe divina e sugli uomini.

“Su l’alto Olimpo il folgorante Giove  Tenea consiglio. Ei parla e riverenti  stansi gli Eterni ad ascoltar: M’udite  Tutti ed abbiate il mio voler palese; E nessuno di voi, nè Dio nè Diva, Di frangere s’ardisca il mio decreto; Ma tutti insieme il secondate … … degli Dei son io Il più possente … ” (Omero: Iliade, VIII, 3)

La Gigantomachia

La gigantomachia è la guerra che i Giganti ingaggiarono contro gli Dei dell’Olimpo, aizzati dalla loro madre Gea e dai Titani incatenati. Gea, si era recata infatti a Pallade, dove avevano dimora i Giganti, suoi figli generati con Urano. Ad essi chiese aiuto per muovere guerra contro Zeus. I Giganti, acconsentendo alla richiesta della madre, forti anche della profezia secondo la quale nessun immortale sarebbe stato in grado di batterli, guidati da Porfirione, il più forte tra loro e da Alcioneo, si recarono nell’Olimpo e iniziarono quella che gli storici chiamarono GIGANTOMACHIA.

La profezia della loro invincibilitĂ  nei confronti degli immortali era nota anche a Zeus, pertanto lo stesso decise di far partecipare alla lotta, oltre a tutti gli dei, anche il semidio Eracle (noto anche come Ercole), suo figlio, generato assieme ad Alcmena .

I Giganti che parteciparono furono ventiquattro, altissimi e terribili, con lunghi capelli inanellati e lunghe barbe e code di serpenti a coprire i piedi. Per raggiungere la vetta dell’Olimpo dovettero mettere tre monti uno sopra l’altro.

Alcioneo ne fu il capo. Fu anche il primo che Eracle abbatté. Fu la volta di Porfirione: riuscì quasi a strangolare Era ma, ferito al fegato da una freccia di Eros, la sua brama omicida si trasformò in lussuria e tentò di violentare la dea. Zeus divenne pazzo di gelosia e abbatté il gigante con una folgore. Eracle lo finì a colpi di clava. Efialte ebbe uno scontro con Ares che, sempre con l’aiuto di Eracle, riuscì a trarsi in salvo.

E la storia si ripete con Eurito contro Dioniso, Clizio contro Ecate, Mimante contro Efesto, Pallade contro Atena: alla fine tocca sempre a Eracle dare il colpo di grazia.Demetra ed Estia, donne pacifiche, stanno in disparte, mentre le tre dispettose Moire scagliano pestelli di rame da lontano.

Scoraggiati, i Giganti superstiti scappano. Atena riesce a scagliare un grosso masso contro Encelado che crolla in mare e diventa l’isola di Sicilia. Poseidone strappa un pezzo a Coo e lo scaglia nel mare, dove diventa l’isola di Nisiro, nel Dodecaneso. Ermes abbatte Ippolito e Artemide Grazione, mentre i proiettili infuocati lanciati dalle Moire bruciano le teste di Agrio e Toante.Sileno, il satiro nato dalla Terra, si vantò di aver fatto scappare i Giganti col raglio del suo asino, ma Sileno era sempre ubriaco, e veniva accolto all’Olimpo solo per ridere di lui.

Zeus contro Tifone

In realtà però, una nuova minaccia si affacciava all’orizzonte che avrebbe portato Zeus ad intraprende un’ennesima lotta contro un temibile nemico: Tifone.

Quando gli dei ebbero vinto i Giganti, Gea, ancora piu’ adirata, si unisce al Tartaro e, in Cilicia, partorisce Tifone che aveva natura mista, di uomo e di bestia. Per la statura e la forza,Tifone era superiore a tutti i figli di Gea e non aveva eguali sulla terra. La sua forza e la sua imponenza superavano di gran lunga quelle di tutti i figli della Terra.

Fino alle cosce aveva una forma umana, ma di spaventosa enormità: era più grande di tutte le montagne, e la sua testa spesso sfiorava le stelle.Le sue braccia aperte toccavano da una parte il tramonto e dall’altra l’aurora, e terminavano con cento teste di serpente. Dalle cosce in giù, invece, aveva smisurate spire di vipera: se le stendeva, gli arrivavano fino alla testa, e producevano orrendi sibili.

Tutto il suo corpo era alato; un pelo irsuto gli ondeggiava sulla testa e sulle guance, e gli occhi sprizzavano fiamme.

Con tutta la sua mostruosa grandezza, Tifone si mise a scagliare massi infuocati contro il cielo, fra urla e sibili. Dalla bocca delle sue cento teste sgorgavano torrenti di fuoco reso ancora più orribile dall’ira che lo animava. Così spaventoso e così enorme era Tifone quando sferrò il suo attacco contro lo cielo. Quando gli dei videro che assaliva il cielo, la sorpresa e lo spavento fu tale che andarono a rifugiarsi in Egitto,e poiché lui li inseguiva,si trasformarono in animali (Apollo in corvo, Artemide in gatta, Afrodite in pesce, Ermes in cigno, ecc.), lasciando da solo Zeus ad affrontarlo.  

Il combattimento fu lungo. Zeus dapprima iniziò a scagliare le sue folgori, poi, mano mano che Tifone si avvicinava, lo colpì ripetutamente con la falce. Il mostro sembrava vinto ma quando Zeus si avvicinò per scagliare il colpo mortale, fu afferrato da Tifone per le gambe ed immobilizzato. Tifone fu rapido a strappargli la falce con la quale gli recise i tendini delle mani e dei piedi.  Zeus era vinto.

Tifone decise quindi di nascondere Zeus in Cilicia, rinchiudendolo in una grotta chiamata Korykos, mentre i suoi tendini, deposti in una sacca di pelle d’orso, li affidò alla custodia della dragonessa Delfine, metà fanciulla e metà serpente. Il suo destino sarebbe stato segnato, quando Ermes, figlio di Zeus, ripresosi dallo spavento decise di reagire. Rubò la sacca a Delfine e trovata la grotta dove era stato imprigionato il padre, lo liberò e lo curò rendendolo nuovamente forte e potente. Zeus, iniziò allora una nuova aspra e dura lotta contro Tifone, che riuscì a sconfiggere scagliandogli addosso l’isola di Sicilia e ad imprigionarlo sotto il monte Etna, dove ancora giace. Le eruzioni del vulcano altro non sarebbero che le fiamme scagliate da Tifone per la rabbia di essere stato vinto.

“(…) la vasta isola della Trinacria si accumula sulle membra gigantesche, e preme, schiacciando con la sua mole Tifone, che osò sperare una dimora celeste. Spesso, invero, egli si sforza e lotta per rialzarsi, ma la sua mano destra è tenuta ferma dall’Ausonio Peloro, la sinistra da Pachino; i piedi sono schiacciati dal (Capo) Lilibeo, l’Etna gli grava sul capo. Giacendo qui sotto, il feroce Tifone getta rena dalla bocca e vomita fiamme. Spesso si affatica per scuotersi di dosso il peso della terra, e per rovesciare con il suo corpo le città e le grandi montagne. Perciò trema la terra, e lo stesso re del mondo del silenzio teme che il suolo si apra e si squarci con larghe voragini.” (Ovidio: Metamorfosi 346-358)

Dopo questa ennesima lotta sostenuta da Zeus, seguì un nuovo periodo di tranquillità. Gli dei fecero ritorno all’Olimpo dove Zeus aveva stabilito la loro dimora.

Articolo di Redazione AG

Fonte (terralab.it)

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