
Le Iscrizioni di Bisotun (note anche come Bisitun o Bisutun, persiano moderno: بیستون ; persiano antico: Bagastana, che significa “luogo o terra di Dio”) sono delle iscrizioni multi-lingue situate sul Monte Behistun nella regione iraniana di Kermanshah, in provincia di Harsin.
Le iscrizioni sono composte da tre versioni dello stesso testo, scritte in caratteri cuneiformi in tre diverse lingue: antico persiano, elamitico e babilonese. Un ufficiale del British Army, Sir Henry Creswicke Rawlinson, li trascrisse in due parti, nel 1835 e nel 1843. Rawlinson riuscì a tradurre il testo in antico persiano nel 1838, mentre le versioni elamitica e babilonese vennero tradotte da Rawlinson ed altri dopo il 1843. Il babilonese era una forma evoluta della lingua accadica: entrambe facenti parte del ceppo semitico. Queste iscrizioni furono per la scrittura cuneiforme quello che la stele di Rosetta fu per i geroglifici egiziani: fu il documento cruciale per decifrare un sistema di scrittura che si credeva perduto. Le iscrizioni misurano circa 15 metri di altezza e 25 di larghezza, e si trovano 100 metri sopraelevati su di un pendio calcareo rispetto alla strada che unisce la capitale dell’impero babilonese e di quello dei Medi (Babilonia e Ecbàtana). È particolarmente inaccessibile visto che parte del lato della montagna venne rimosso al fine di aumentare la visibilità delle iscrizioni dopo il loro completamento. Il testo in antico persiano è composto da 414 linee divise in cinque colonne; l’elamitico conta 593 linee in otto colonne, mentre il babilonese è di sole 112 linee. L’iscrizione venne illustrata da un bassorilievo a grandezza naturale di Dario I che maneggia un arco come simbolo di regalità, con il piede sinistro sul petto di una figura stesa davanti a lui. Si suppone che la persona prostrata sia il pretendente al trono Gaumata. Dario è assistito ai lati da due servi, mentre dieci persone alte un metro si trovano sulla destra, con le mani legate e corde attorno al collo, rappresentazioni dei congiurati sostenitori di Gaumata. Sopra di loro si trova un faravahar che benedice il re. Una figura sembra essere stata aggiunta in seguito; si tratta di un blocco di pietra unito alla parete con ferro e piombo.
Questa iscrizione racconta l’epopea dell’inizio del regno del grande re persiano con la sconfitta del principe ribelle, il mago Gaumata (che si spacciava per Smerdis fratello di Cambise che era stato ucciso per ordine di Cambise stesso), e dei satrapi che lo avevano seguito.
Nell’altorilievo vediamo Dario con il braccio alzato accompagnato da due soldati (il portatore di arco, Intaphrenes e di lancia, Gobryasche): il re agisce con la protezione di Ahura Mazda, il dio dei persiani, il dio di Zarathustra cui il re attribuisce le sue vittorie.
Sotto i piedi di Dario vi è il mago Gaumata agonizzante e di fronte a Dario vi sono 9 satrapi ribelli sconfitti ed imprigionati. Per venire a capo della rivolta Dario combattè ben 19 battaglie: una di queste fu combattuta a Kurush, vicino a Bisotun e questo spiega il perché della iscrizione e del bassorilievo in quel luogo. I satrapi ribelli sono nell’ordine: Atrina di Susa, Nidintu-Bel di Babilonia, Fravartish (Phraortes) della Media, Martiza di Susa, Citrantakhama di Sagartia, Vahayazdata di Persia, Arakha di Babilonia, Frada di Margiana e Shrunkha, lo sciita.
L’inizio della storia è:
“Così parla Darayavush (Dario), il grande re, re dei re, il re di Persia, il re dei paesi, il figlio Hystaspes, il nipote di Arsames l’achemenide …. Il padre di Arsames era Ariamnes. il padre di Ariamnes era Teispes, il padre di Teispes era Achemene……
Otto della mia dinastia furono re prima di me; io sono il nono …”
Il bassorilievo si trova scavato nella roccia a picco, a circa 70 metri di altezza dal piano stradale; ancora oggi quando si vede il manufatto ci si domanda come hanno fatto a inciderlo.
Il testo è scritto in tre lingue: il persiano antico (5 riquadri sotto il bassorilievo), babilonese (2 riquadri a sinistra del rilievo), l’elamitico (3 riquadri a sinistra del testo persiano). In realtà il testo elamitico era scritto a destra del bassorilievo, ma fu poi cancellato per fare posto al rilievo dell’ultimo satrapo, il nono, che era stato sottomesso da Dario (Shurkha, uno sciita con il tipico cappello a punta) dopo che l’iscrizione era già stata fatta.

L’iscrizione venne notata da un viaggiatore arabo, Ibn Hawqal, a metà del 900, che la interpretò come la figura di un’insegnante che punisce il proprio pupillo. Fu solo nel 1598 che l’inglese Robert Shirley vide le iscrizioni durante una missione diplomatica in Persia per conto dell’Austria, e le portò all’attenzione delle scuole archeologiche europee. Il suo gruppo giunse alla conclusione che si trattava di un’immagine dell’Ascensione di Gesù con un’iscrizione in greco.
Le errate interpretazioni bibliche degli europei continuarono per i due secoli successivi. Il generale francese Gardanne ci vide Cristo ed i dodici apostoli, mentre Robert Ker Porter credeva che si trattasse delle dodici tribù di Israele e di Salmanassar I d’Assiria. L’esploratore italiano Pietro Della Valle visitò l’iscrizione durante un pellegrinaggio attorno al 1621, ed il tedesco Carsten Niebuhr lo fece nel 1764 durante l’esplorazione dell’Arabia e del Medio Oriente per conto di Federico V di Danimarca, pubblicando una copia delle iscrizioni nel suo diario di viaggio nel 1777. Le trascrizioni di Niebuhr vennero usate da Georg Friedrich Grotefend e da altri nel tentativo di decifrare la scrittura cuneiforme dell’antica Persia. Grotefend decifrò 10 dei 37 simboli nel 1802.
Nel 1835 Henry Rawlinson, ufficiale della Compagnia Inglese delle Indie Orientali assegnato allo Scià dell’Iran, iniziò a dedicarsi seriamente al loro studio. Dal momento che il nome della città di Bisotun veniva anglicizzato in “Behistun”, il monumento divenne noto con il nome di “Iscrizioni di Behistun”. Nonostante la loro inaccessibilità Rawlinson riuscì a scalare il monte copiando l’iscrizione in antico persiano. Il testo in elamitico si trovava oltre un crepaccio, ed il babilonese quattro metri sopra; entrambi erano difficili da raggiungere, e vennero rimandati a futuri studi.
Armato di testo persiano e con circa un terzo del sillabario reso disponibile dal lavoro di Georg Friedrich Grotefend, Rawlinson iniziò a lavorarci. Fortunatamente la prima sezione conteneva una lista degli stessi re persiani ritrovabili negli scritti di Erodoto nella loro originale forma persiana. Ad esempio il nome di Dario viene scritto come “Dâryavuš” invece della versione greca “Δαρειος”. Esaminando i nomi ed i caratteri Rawlinson riuscì a decifrare la scrittura degli antichi persiani nel 1838 presentando i risultati dei propri studi alla Royal Asiatic Society di Londra e alla Société Asiatique a Parigi. Sorprendentemente il testo in antico persiano era stato copiato e decifrato prima ancora di copiare le versioni elamitica e babilonese. Nel frattempo Rawlinson fece una spedizione in Afghanistan fino al 1843. Attraversò per la prima volta il crepaccio che lo divideva dalle altre due scritture costruendo un ponte temporaneo con assi di legno. A questo punto poté assumere un ragazzo del posto per arrampicarsi fino in cima alla costa, e per appendere funi grazie alle quali riuscì a fare stampi di cartapesta del testo babilonese. Rawlinson, insieme agli studenti Edward Hincks, Jules Oppert, William Fox Talbot ed Edwin Norris, decifrò queste iscrizioni, arrivando a poterle leggere per intero. La capacità di leggere l’antico persiano, l’elamitico ed il babilonese fu uno degli sviluppi chiave per condussero l’assiriologia ad un livello moderno.
Colonna 1 (DB I 1-15), schizzo di Fr. Spiegel (1881)
In seguito vennero effettuate altre spedizioni. Nel 1904 ve ne fu una sponsorizzata dal British Museum e guidata da Leonard William King e Reginald Campbell Thompson, mentre nel 1948 ne compì un’altra George G. Cameron dalla University of Michigan. Entrambe raccolsero fotografie, gessi e trascrizioni più accurate dei testi, tra cui passaggi non copiati da Rawlinson. Fu evidente che le piogge avevano eroso parte del calcare in cui il testo era stato inciso, lasciando invece altri strati che avevano parzialmente coperto l’opera. Il monumento patì il fatto che i soldati lo usarono quale bersaglio per l’addestramento durante la seconda guerra mondiale. Recentemente gli archeologi iraniani hanno svolto alcuni lavori di restauro. Il sito divenne patrimonio dell’umanità dell’UNESCO nel 2006.
Fonte: web