
Il Kebra Nagast (o Chebra Nagast, traduzione letterale La Gloria dei Re) è un antico testo etiope di grande importanza storica, religiosa e archeologica. Il nucleo del testo viene fatto risalire a un periodo compreso fra il IV e il VI secolo d.C., ma la ricompilazione definitiva è del XII secolo. È uno dei testi sacri del rastafarianesimo.
Contenuto
La regina di Saba in viaggio verso Gerusalemme, raffigurata in un affresco etiope
Il testo, che attinge all’Antico Testamento, ai Vangeli cristiani e al Corano, narra del leggendario trasferimento dell’Arca dell’Alleanza da Gerusalemme al Regno di Saba (Etiopia). Secondo la leggenda, l’Arca passò da re Salomone di Israele nelle mani di Bayna-Lehkem, figlio di Salomone e della regina di Saba Machedà. Bayna-Lehkem fu in seguito incoronato re di Etiopia col nome di Menelik I. Il trasferimento dell’Arca viene quindi letto simbolicamente come un passaggio della discendenza biblica di Israele in Etiopia, e quindi attribuisce elementi divini alla dinastia tradizionale etiope, che governò sul paese ininterrottamente fino all’ascesa di Hailé Selassié (1930), fatta eccezione per il periodo tra il 950 e il 1270, quando fu retto da una dinastia di religione pagana o ebraica, gli Zaguè.
Storia del testo
Il Kebra Nagast ebbe origine a partire da una serie di testi sionisti trascritti nei primi secoli dell’era cristiana. La principale fonte su cui è basato questo primo nucleo è l’Antico Testamento, ma elementi furono tratti anche da testi rabbinici, leggende etiopi, egiziane e copte. Successivamente furono introdotte influenze coraniche e di altri elementi della tradizione araba (principalmente palestinese e siriana, per esempio Il libro dell’ape), nonché di testi cristiani apocrifi come Il libro di Adamo ed Eva, il Kufale, Le istruzioni di San Pietro al suo discepolo Clemente, La vita di Anna madre della vergine Maria, Il libro della perla, L’ascesa di Isaia e altri.
Questa collezione di trascrizioni e riscritture originariamente disomogenea iniziò a prendere la forma di un testo unitario nella prima redazione in ge’ez antico del Kebra Nagast, datata intorno al VI secolo e attribuita generalmente a un sacerdote copto, a cui si dovrebbe anche la scelta del titolo.
Da questa cronologia si può agevolmente comprendere come il testo del Kebra Nagast abbia potuto fornire elementi narrativi per il Corano, che è stato compilato e ordinato in epoca successiva sotto la guida del Califfo ibn Affan, nei passaggi che concernono la storia della Regina di Saba, e il favoloso trasporto del suo trono (Corano, sura XXVII).
Il testo venne tradotto e trascritto in altre lingue fin dall’antichità, innanzitutto in arabo e amarico (fra il VI e il XII secolo). Le prime edizioni in lingue europee (inglese, spagnolo, francese, portoghese e tedesco) iniziarono ad apparire dal XVI secolo.
Una delle traduzioni moderne considerate più autorevoli da un punto di vista filologico è quella in inglese del 1922, curata da E. A. Wallis Budge, professore di storia ebraica all’Università di Cambridge e direttore del Dipartimento di Antichità Egizie e Assire del British Museum. Questa traduzione fu in seguito adottata in Giamaica diventando testo sacro del Rastafarianesimo. Già prima della traduzione di Budge, comunque, i racconti del Kebra Nagast erano giunti in Giamaica attraverso la predicazione dei sacerdoti della chiesa ortodossa etiope.
Rilievo rinascimentale raffigurante la Regina di Saba che incontra Re Salomone – Portale del Battistero di Firenze
Temi del libro
La Chiesa di S. Giorgio a Lalibela, Etiopia
La prima parte del Kebra Nagast (capitoli da uno a trenta) riporta storie del tutto simili a quelle Bibliche: da Adamo, ed i suoi figli Abele, Caino, e Set; a Noè, che in un dialogo mistico riceve dal Creatore futura protezione; ad Abramo, che mandato adolescente a vendere idoli pagani invece li distrugge, e la sua unione con Dio immediatamente si palesa nell’arcobaleno per lui, e per la sua discendenza nell’Arca dell’Alleanza, costruita secondo i dettami comunicati dall’Onnipotente a Mosè sul monte Sinai, detta perciò “Zion”. Ma senza dubbio per i credenti Rastafariani la vicenda chiave del libro è rappresentata dall’incontro tra il sovrano di Israele Salomone, e Machedà, la Regina del Sud (ovvero di Sheba – o Saba -, nome dell’Etiopia antica), che “innamorata della sua saggezza” affronta il lungo viaggio fino a Gerusalemme per conoscerlo ed apprenderne le virtù. L’incontro tra i due sovrani è descritto anche nella Bibbia (1 Re 10: Visita della Regina di Saba; 2 Cronache 9: Gloria di Salomone), con la differenza che ivi non si accenna né al loro rapporto, né al loro figlio Bayna-Lehkem. Nella narrazione del Kebra Nagast invece, il loro profondo ed appassionante dialogo è importante per varie ragioni: anzitutto la Regina Machedà decide da allora che non adorerà più il Sole come i suoi avi, bensì il suo Creatore, Dio di Israele, come Salomone, e questo rappresenta il passaggio da un culto arcaico ad un moderno monoteismo. Inoltre i due, grazie a un giocoso espediente escogitato dal Re, trascorrono la notte insieme, ed al mattino seguente Salomone ha una visione premonitrice; prima che Machedà parta per tornare al suo regno, il Re le regala un anello speciale da donare all’eventuale frutto del loro amore: dalla loro unione infatti nascerà un bambino, Bayna-Lehkem (detto Ebna la-Hakim, “Figlio del Saggio”), in seguito Imperatore col titolo di Menyelek I (o Menelik), origine della stirpe dei sovrani d’Etiopia. Questi, raggiunti i ventidue anni, parte alla ricerca del padre assieme al prezioso anello, per chiedergli un pezzo del drappo copertura di Zion, l’Arca dell’Alleanza, affinché anche il suo popolo possa venerarla: Salomone lo accoglie con tutti gli onori e insiste molto perché resti a regnare con lui, ma vedendolo deciso a tornare nella terra materna, preme per farlo almeno accompagnare da alcuni primogeniti israeliti che lo possano aiutare e consigliare nel futuro governo. Però i giovani unendo forze ed ingegni, costruiscono una copia in legno dell’Arca, e trafugano l’originale verso l’Etiopia, percorrendo in un solo giorno, anziché trenta, il cammino fino al Nilo: Salomone, adirato ma sempre lucido, capisce subito come questo sia potuto accadere, quasi consapevole che da quel momento assieme a Zion, avrebbe perso anche la benedizione divina.
Questo passaggio è fondamentale nel far considerare ai Rastafariani il Kebra Negast come loro libro sacro, poiché spiega il nesso tra il regno di Israele e quello di Etiopia, rappresentato da Menelik e dalla sua discendenza. Questa linea conduce direttamente fino a ras Tafarì Maconnèn, duecentoventicinquesimo Imperatore della dinastia Salomonica con il nome di Haile Selassie I, e non solo è alla base delle radici prettamente bibliche della cultura Rastafari, ma propone inoltre la teoria sullo spostamento in Etiopia dell’Arca dell’Alleanza, esattamente ad Aksum (il che implica anche la considerazione dell’Etiopia come nuova terra eletta da Dio, al posto di Israele, e degli africani come popolo eletto). Alcune correnti del Rastafarianesimo su questa base indicano in Haile Selassie I una nuova manifestazione del figlio di Dio, non più come Agnello, ma come Leone, simbolo della tribù israelita di Giuda, rapportandosi al testo dell’Apocalisse di Giovanni.
Vi è poi un’altra sezione particolarmente significativa per i fedeli Rastafariani, nella quale è raccontato di come un angelo annunci alla madre del neonato Sansone, che il figlio avrebbe un giorno liberato Israele dai Filistei, e la inviti a farlo crescere illibato, ovvero il più possibile vicino a Dio (il concetto della purezza è estremamente importante nella cultura olistica Rastafariana). Il Creatore è dunque generoso con Sansone per la sua integrità, e gli dona assieme alla limpidezza d’animo, anche una forza spropositata, ma solo fino al momento in cui egli disobbedisce al Suo comando sposando Dàlila, figlia di un avversario Filisteo. Dio, per punirlo, lo fa allora catturare proprio dai suoi stessi nemici, che lo accecano e gli tagliano i lunghi capelli intrecciati, rendendolo buffone di corte. Sansone, con le sue ultime forze fa crollare tutto il palazzo dove era prigioniero, uccidendo i suoi nemici e se stesso.
Gli ultimi capitoli del libro sono infine dedicati alla figura di Gesù Cristo, reso emblema della lotta all’empietà di Roma, simbolica erede del corrotto regno di Babilonia, città che cerca scelleratamente di assassinare il figlio di Dio. La crocifissione rappresenta per i credenti Rastafariani la condizione sociale presente, che vede gli uomini probi schiacciati adesso da mani depravate, ma presto destinati alla resurrezione, ritorno alla terra d’origine, ricongiunzione col Dio Padre, Jah –da Jeovah o Jahve’- Rastafari.