Alessandro Demontis

La ricerca dell’oro

Siamo giunti a uno dei punti focali della teoria di Sicthin, l’estrazione e la lavorazione dell’oro da parte degli Anunnaki e delle civiltà da loro ‘create’. È bene fin da ora chiarire che, non avendo Sitchin specificato in quali testi abbia letto della lavorazione dell’oro e la sua conseguente riduzione in polvere da diffondere nell’atmosfera di Nibiru, l’unica ricerca che può essere condotta è su effettive tracce di estrazione e lavorazione mineraria dell’oro in tempi antichi, e muoversi da li verso direzioni che ci aiutino a capire. Esistono centinaia di studi sull’origine della attività di estrazione dell’oro, centinaia di studi etnografici che ci mostrano come l’oro sia sempre stato, nell’antichità e per tutte le culture, un metallo prezioso. Ma mentre noi, ora, lo riteniamo prezioso per le sue qualità, la quantità estraibile e vendibile, e le proprietà, nell’antichità l’oro era ritenuto prezioso perché era ‘il metallo degli dei’. L’atteggiamento che le antiche popolazioni, specialmente nel corso del IV e III millennio a.C., avevano verso l’oro è molto esplicativo: veniva estratto molto in profondità ed utilizzato solo per ornamenti ed oggetti legati alle divinità. Solo nel II millennio a.C. questo metallo iniziò ad essere impiegato in scambi commerciali, e mai come moneta primaria. La prima moneta d’oro di cui abbiamo traccia per esempio, risale al XII secolo a.C., mentre prima i fenici, i lidi, e anche gli assiri, lo utilizzavano per scambi nella sua forma grezza, o lo laminavano per rivestire parti ornamentali dei palazzi reali e dei templi. Gli studi sull’estrazione e lavorazione dell’oro convenzionalmente prendono in esame periodi civili a partire dal IV millennio a.C. fino ai giorni nostri perché rapportano queste attività alla vita e all’evoluzione delle varie civiltà del passato, ma da studi prettamente tecnici invece ci vengono informazioni che mostrano come molte miniere, ad esempio quelle della Rhodesia, non vennero scavate dai fenici, come comunemente si sostiene, nel II millennio a.C., ma alcuni millenni prima. I fenici trovarono quei luoghi e continuarono a sfruttarli. Uno studio intitolato Gold – during the primitive era ci informa del fatto che nel IV millennio nel Sudafrica l’estrazione dell’oro era ormai una prassi. In un’epoca in cui stava appena sorgendo la prima delle nostre civiltà del passato, i sumeri, chi aveva le conoscenze adatte a organizzare e mettere in atto una estensiva operazione di scavo, estrazione, raffinazione, e laminazione o riduzione in polvere dell’oro? Tutte le più antiche rovine di Sumer, del Sudafrica, perfino dell’Egitto dinastico, e più a est in Anatolia e in Libano, mostrano città e agglomerati urbani basati esclusivamente sulla pietra. Parallelamente però, sul monte Horeb, si son avuti ritrovamenti di una finissima polvere d’oro bianco (solfati o clorati aurei) comunemente chiamato ‘oro monoatomico’. Questo tipo d’oro si ottiene portando ad altissima temperatura in brevissimo tempo la polvere d’oro e successivamente raffreddandola. Chi, nel II millennio, poteva essere interessato a un simile procedimento in un periodo in cui l’oro era utilizzato esclusivamente sotto forma di lamine o lingotti per gli scambi commerciali? Chi era in grado di organizzare fornaci sulla pietra che raggiungessero temperature talmente elevate? Se ci spostiamo a Bad-Tibira, il centro metallurgico di Sumer, troviamo ancora oggi tracce di lavorazione dell’oro sotto forma di colate. Tra le scanalature delle rocce (che già a prima vista sembrano ricavate apposta per far ‘scorrere’ metallo fuso) e tra gli interstizi delle pietre troviamo leggere venature d’oro. Eppure la Sumer del III millennio non aveva templi adornati d’oro (l’unico esempio di tempio ricoperto d’oro e argento di cui abbiamo traccia letteraria è l’ E.Abzu costruito da Enki), l’impero commerciale non era ancora fiorito, e ancora non erano in atto quegli scambi commerciali con i paesi dell’est che caratterizzarono il periodo tra il 2200 a.C. e il 1500 a.C. Tutte queste tracce di lavorazione ed estensiva estrazione dell’oro in un periodo contemporaneo (e a volte precedente) al sorgere di Sumer come civiltà, son indicativi del fatto che l’origine di tali attività risale a quantomeno un millennio prima… cosa difficile da accettare per l’establishment perché è inspiegabile come una civiltà potesse badare a estrarre un minerale che non utilizzava, prima ancora di costruire le proprie città o organizzare pastorizia, allevamento etc. Ma le prime tracce di estrazione dell’oro non risalgono nemmeno al V millennio a.C. Durante i lavori per l’adattamento di un impianto di estrazione nel Sudafrica vennero trovate delle miniere abbandonate sotto uno spesso strato di fango. Tali miniere scendevano fino a circa 80 metri di profondità. Da alcuni pezzi di tessuto e legnetti ritrovati in loco, la datazione al C14 ha permesso di stabilire che quelle miniere erano attive sicuramente più di 25.000 anni fa. Come già riferito nel capitolo dedicato ai giganti, in Marocco si ebbe un ritrovamento ancora più sorprendente: una miniera ormai esaurita e attrezzi da scavo del peso di circa 8 kg l’uno. Gli attrezzi avevano dimensioni circa doppie di quelli attualmente usati. Il direttore dei lavori ebbe a dire che sembravano fatti per essere utilizzati da persone con una statura intorno ai 4 metri. Ancora, la compagnia Anglo-American Corporation nel 1970 commissionò a degli archeologi un lavoro di delimitazione di alcune vecchie miniere nello Swaziland e nella zona dello Zululand, in particolare la zona chiamata Border Cave. Il risultato fu pubblicato sulla rivista Optima dal team composto da Adrian Boshier e Peter Beaumont e riportato nel 1973 dal Reader’s Digest. Erano state trovate delle gallerie che collegavano le aree minerarie a una profondità di oltre venti metri, contenenti dei pezzi di carbone lavorato. Non solo, nelle miniere furono trovati i resti delle ossa di un bambino dalle fattezze ‘moderne’ tipiche dell’Homo Sapiens e tutta una vasta serie di attrezzi fossili. Le datazioni al C14 fecero risalire questi reperti a un periodo tra i 35.000 e i 60.000 anni fa. Nel 1988 una ulteriore analisi con mezzi radiometrici stabilì che quelle zone erano state scavate in un periodo tra gli 85.000 e i 115.000 anni fa. L’articolo del Reader’s Digest illustra l’analisi fatta dagli specialisti antropologi e paleontologi riguardo al sito:

“Equally disconcerting are the artifacts found with the fossils. They indicate that men had developed intellects and had embarked on the road to civilization many millennia earlier than had been believed possible. The Border Cave dwellers had already learned the art of mining. They manufactured a variety of sophisticated tools, including agate knives with edges still sharp enough to slice paper. They could count and kept primitive records on fragments of bone. They also held religious convictions and believed in the afterlife, for the body of the infant had been carefully and ceremoniously buried.”

TRADUZIONE
“Altrettanto sconcertante sono i reperti trovati con i fossili. Essi indicano che gli uomini avevano sviluppato intelletti e si era imbarcato sulla strada per molti millenni civiltà prima di quanto era stato creduto possibile. I cavernicoli Border avevano già imparato l’arte di data mining. Hanno fabbricato una varietà strumenti di sofisticati, tra cui coltelli agata con spigoli vivi ancora abbastanza per tagliare la carta. Potevano contare e mantenuto record primitivi su frammenti di tessuto osseo. Hanno anche tenuto convinzioni religiose e creduto nella vita ultraterrena, per il corpo dell’infante era stato accuratamente e cerimoniosamente sepolto.”

Le stesse vicende, più ricche di dettagli, sono anche riportate dallo Swaziland National Trust Commission nel loro articolo ‘Ancient Mining’. Tutto ciò va rimarcato perché secondo Sitchin è proprio il Sudafrica la zona (identificata come Abzu – Arali) in cui erano iniziate le operazioni di estrazione da parte dei primi Anunnaki, continuate poi dall’uomo. Non è quindi da ignorare il fatto che tutte le culture del II millennio, particolarmente i canaaniti, i fenici, e i cassiti, si muovessero proprio fino al Sudafrica per cercare ed estrarre l’oro per i loro scambi.

ORO DISPERSO NELL’ATMOSFERA

A cosa serviva quest’oro che gli Anunnaki si affannavano tanto a raccogliere? Secondo Sitchin veniva disperso in polvere sottile nell’atmosfera di Nibiru per proteggerlo dagli effetti distruttivi delle radiazioni solari quando questo pianeta si avvicinava alla stella e per mantenere il calore irradiato dal centro del pianeta quando questo si trovava nello spazio profondo. Fungeva, insomma, da ‘isolante’ tra l’atmosfera del pianeta e la zona soprastante. Ciò che a prima analisi sembra un’assurdità, è in realtà una tecnologia che noi stiamo scoprendo da pochi anni. L’uso di colloidi e composti chimici dispersi nell’atmosfera è stato studiato a partire dalla prima guerra mondiale, quando fu sperimentata la tecnologia chiamata ‘Cloud seeding’ ossia l’inseminazione delle nuvole con particelle di ghiaccio per causare la pioggia. Ma negli ultimi anni la comunità scientifica ha perfezionato degli studi riguardanti la dispersione nell’atmosfera di sali e di colloidi per un altro scopo: la protezione della nostra atmosfera dal fenomeno del Global Warming. Durante il congresso sul riscaldamento globale del 2008 un’equipe di tecnici ha introdotto un nuovo termine, Geo-Engineering, fornendo questa spiegazione:

“The term was officially embraced by the new U.S. presidential science advisor, John Holdern. Speaking at a recent international conference in Bonn, Germany, he revealed that Geo-engineering is among the extreme options under discussion by the U.S. government: Using space-age technology yet to be devised, he said, ‘particles will be shot into the Earth’s upper atmosphere to create a shield that will reflect away from Earth the Sun’s warming rays.’”

TRADUZIONE
“Il termine è stato ufficialmente abbracciato dalla nuova scienza Stati Uniti presidenziale consulente, John Holdren. Parlando ad una recente conferenza internazionale di Bonn, in Germania, ha rivelato che Geo-ingegneria è tra le opzioni estreme in discussione da parte del governo degli Stati Uniti: Utilizzando la tecnologia di spazio-età ancora essere messo a punto, ha detto, ‘le particelle sarà girato nella Terra del atmosfera superiore per creare uno scudo che rifletterà dalla Terra caldi raggi del sole.’”

In sostanza il ‘geo-engineering’ studiato per combattere l’eccessivo battere sul pianeta dei raggi solari si muoverebbe su 3 principi fondamentali:

  • space sunshade: immissione intorno alla Terra di minuscoli specchi – “One proposed such sunshade for use towards that effect would be composed of 16 trillion small disks at an altitude of 1.5 million kilometers, otherwise known as the L1 Orbit.”
  • use of aerosol: creazione di uno strato di aerosol di solfuri intorno alla terra
  • seawater seeding: aumento del potere riflettente delle nuvole tramite iniezione nelle stesse di acqua di mare nebulizzata

“By modifying the reflectivity of clouds, the albedo of the Earth is altered. The intention is that this technique, in combination with greenhouse gas emissions reduction (and possibly other geoengineering techniques) will be sufficient to control global warming.”

TRADUZIONE
“Modificando la riflettività delle nubi, l’albedo della Terra è alterato. L’intenzione è che questa tecnica, in combinazione con la riduzione delle emissioni di gas serra (e possibilmente altre tecniche di geoingegneria) saranno sufficienti per controllare il riscaldamento globale. “

Oltre ai solfuri anche l’oro è un candidato all’utilizzo per la riduzione dei raggi solari che impattano sul pianeta, anche se in questa direzione non ci si sta muovendo, uno studio dell’oro nel trattamento di forme tumorali ha reso noto che:

“Gold nanoparticles can absorb different frequencies of light, depending on their shape.”

“Nanoparticelle di oro possono assorbire diverse frequenze di luce, a seconda della loro forma.”

Forse è questa caratteristica dell’oro, scoperta ed applicata finora nella lotta ai tumori, ad essere considerata dal team del progetto SPICE? Lo Stratospheric Particle Injection for Climate Engineering è un progetto finanziato dal governo inglese che ha lo scopo di studiare e sperimentare il controllo dell’impatto delle radiazioni solari tramite la dispersione di particelle nella stratosfera. Il progetto, iniziato nell’Ottobre del 2010 e che dovrebbe avviare le sperimentazioni entro il 2014, è attualmente concentrato sulla individuazione della ‘particella ideale’ da utilizzare, e l’oro è tra le varie candidate. Abbiamo quindi una nuova tecnologia terrestre del tutto analoga a quella che Sitchin attribuisce agli Anunnaki, prevista per lo stesso esatto scopo, e che può essere portata avanti esattamente tramite la stessa sostanza: l’ oro.

Articolo di Alessandro Demontis

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