ANTICHI LUOGHI, Sardegna

L’orienamento astronomico delle costruzioni megalitiche: megalitismo sardo

Agli occhi delle nostre generazioni, è stupefacente rendersi conto come l’uomo preistorico, e, in particolare, l’uomo del neolitico o dell’età dei metalli, fosse già pienamente in possesso di approfondite conoscenze astronomiche. Nell’Isola di Sardegna, già a partire dal neolitico e sino all’età arcaica, sono presenti varie e numerose costruzioni megalitiche. Ebbene, nella loro disposizione sul territorio, sono state verificate e accertate una serie di allineamenti astrali, che, pur nell’incompletezza delle ricerche e degli studi, tuttora ad uno stadio iniziale, dimostrano il possesso di tali conoscenze da parte dell’antico uomo sardo. Ecco un breve prospetto della tipologia di tali monumenti, distinte per era preistorica di edificazione e utilizzazione.

IL NEOLITICO

Il Santuario di Monte d’Accoddi/SS
In epoca neolitica la Sardegna è ancora sporadicamente popolata. Il più imponente monumento rimasto è un altare/santuario in località Monte d’Accoddi presso Sassari; in esso sono state individuate due fasi costruttive: la fase I, o del “tempio rosso”, databile al 3200 a.C. e la fase II, quella del tempio-altare vero e proprio, databile al 2900 a.C. Le sue dimensioni complessive sono m. 37,5×30,5 nella fase II. Ai terrazzamenti si accede con una grande rampa, che misura m. 41,50. La tipologia del santuario di Monte d’Accoddi non è riscontrabile in ambito europeo; esso sembrerebbe infatti un esempio del modello mesopotamico della ziqqurrath, ancorché consti di un solo terrazzamento nella fase I e due soli nella fase II. L’altare è orientato astronomicamente verso Nord; potrebbe quindi essere stato adibito a funzioni religiose collegate con la stella polare. Tale orientamento non si riscontra in ambito europeo. Non è possibile peraltro fare supposizioni sulla funzione dei megaliti presenti al suo esterno in quanto spostati nei secoli: un lastrone trapezoidale sorretto su tre appoggi, a mò di piccolo dolmen, con ai bordi sette piccole cavità risalente al 2900 a.C.; un lastrone più piccolo del 3200 a.C.; una grossa pietra di forma perfettamente sferica, sulla cui superficie sono scolpite numerose coppelline, raffiguranti – forse – le costellazioni; un menhir alto m. 4,44, attribuibile alla fase I.

Due altari a Pispisu/Abbasanta e Riu/Aidomaggiore
Carlo Maxia e Lello Fadda hanno effettuato misurazioni geometriche su altri tre altari in provincia di Oristano, e ne hanno ipotizzato l’orientamento solstiziale. In particolare, gli altari di Pispisu/Abbasanta e di Riu/Aidomaggiore sembrano rivolti verso l’alba al solstizio invernale, con un errore di circa 3°, mentre l’altare in località Costaleri/Ghilarza sembra essere orientato verso l’alba al solstizio estivo, anch’esso con un errore di circa 3°. La direzione dell’alba al solstizio d’inverno potrebbe essere ricollegato al culto religioso della resurrezione; più incerto è il significato dell’orientamento all’alba del solstizio estivo, forse collegato al culto della nascita o della fecondazione.

L’ENEOLITICO

Circoli tombali
Nei pressi di Arzachena (SS) sono stati rinvenuti una cinquantina di circoli tombali, composti da pietre erette verticalmente, con all’interno urne a forma di parallelepipedo formate da lastre di pietra rettangolari, con funzioni sepolcrali. Il complesso più importante, in loc. Li Muri, consta di circoli che hanno un diametro che va da 5 a 8,7 m; il 75% di essi sono orientati a Sud. Al di fuori del complesso esso è presente un menhir isolato con tre concavità. Nel luglio 2000 chi scrive ha individuato altri tre menhir all’interno del complesso; due sono entrambi allineati con una lastra laterale di una delle tombe in direzione sud; l’altra lastra laterale della medesima tomba è allineata con un terzo menhir, sempre in direzione sud. Il menhir più esterno dei primi due è anche allineato con le lastre laterali di altre due tombe in direzione ovest, con azimut 280-285°. Pur nella ristrettezza delle loro proporzioni, i “circoli” di Arzachena trovano riscontri nei tumuli circolari anglosassoni di età neolitica (vedi Windmill Hill, Inghilterra) e potrebbero presentare analoghi orientamenti stellari.

Menhir isolati, row e cromlech
In epoca eneolitica, anche in Sardegna, come in Europa continentale e nella vicina Corsica, vengono eretti i cosiddetti “menhir”: singole pietre, di notevole altezza, spesso gigantesche. Sino al 1981 erano stati censiti 250 esempi di menhirs, di cui almeno un terzo in prov. di Nuoro. Alti da m. 1 a 6,50 (media m. 3), gran parte dei menhir sardi sono scolpiti con simulazioni antropomorfi femminili, tipologia riscontrabile anche in ambito europeo. È fortemente ipotizzabile un orientamento astronomico. Presso Goni (NU), circa sessanta menhir compongono una “row” (fila di pietre, anche di grandi dimensioni, allineate in un’unica direzione); non abbiamo ancora dati per esprimerci con certezza circa il loro eventuale allineamento verso direzioni astronomiche.

Ad Oliena/NU, presso un villaggio del 2000 a.C. è stato rimesso in luce un santuario in tecnica ciclopica di m. 53×56, per una altezza residua di m. 6. All’esterno di tale santuario sono stati rinvenuti quattro menhir disposti in semicerchio distanti tra loro m. 2,70. In base a tali dati è stato possibile ipotizzare l’esistenza di un circolo complessivo costituito da 36 menhir equidistanti, tale da formare un “cromlech” (espressione bretone indicante un cerchio formato da blocchi di pietre che circondano un tumulo dalla forma a peristilio) calendariale di 36 settimane decaniche, calcolato per conciliare i computi lunari (13 lunazioni/anno) con i computi solari (360 gg./anno). Un quinto menhir ancora in situ, di pietra differente rispetto agli altri quattro, sembra orientato verso il solstizio d’inverno. Un altro circolo megalitico (“Is Cirquittus”) costituito da sette grandi pietre distribuite su un anello di circa 50 metri di diametro è stato rinvenuto presso Laconi (NU). Tenuto conto dei valori riferiti al 2500 a.C., Pino Calledda e Giorgio Murru hanno riscontrato una disposizione delle pietre verso l’alba al solstizio estivo e verso il tramonto al solstizio invernale.

Dolmen
Contemporaneamente appare un altro tipo di sepoltura, classica del megalitismo europeo: il “dolmen”, formato da pietre verticali, non squadrate, che sorreggono una lastra verticale, larga e relativamente piatta; il tutto solitamente ricoperto di terra o pietrame. Caratteristica esclusiva della Sardegna settentrionale, a tutt’oggi (2009) sono stati identificati 76 esempi di dolmen. La loro struttura trova riscontri in esempi in parte leggermente più antichi della vicina Corsica meridionale e, con la originaria copertura di materiale terroso, sembra simile a quella dei tumuli sepolcrali lineari o a galleria delle Isole Britanniche.
Nell’esaminare le strutture dolmeniche della Corsica meridionale, gli studiosi Edoardo Proverbio e Pino Calledda hanno fornito alcune ipotesi circa il loro orientamento, e, prendendo in considerazione, oltre all’azimut, anche la declinazione associata alla direzione del dolmen, hanno attribuito loro un “target” in gran parte stellare. Chi scrive si è permesso di elaborare una tabella relativa a tali rilevazioni, desumendole da quanto gli autori riportano in “Rivista Italiana di archeoastronomia”, Roma 2004.

Dall’esame delle soluzioni indicate emergono, peraltro, alcune perplessità, circa gli scostamenti di 5-6° rispetto agli azimut esatti del solstizio e del lunistizio. Per quanto riguarda il target collegato alla stella Alfa della costellazione della Mosca, che, anche in epoca neo-eneolitica, non sembra aver avuto una particolare visibilità nel cielo stellato, si potrebbe supporre un orientamento unico verso il gruppo stellare Centauro/Croce/Mosca, puntato però su quest’ultima, che ne rappresenta la propaggine meridionale.Il tentativo dei due studiosi di applicare gli stessi target ai dolmen sardi appare meno convincente, anche se ormai non si può più negare che la Corsica meridionale e la Sardegna settentrionale, in età prenuragica, facevano parte di un’unica medesima cultura megalitica.Proverbio e Calledda, nel 1995, infatti, hanno osservato il dolmen Sa Coveccada (ca 2500 a.C.) di Mores, e ne hanno misurato l’azimut in 123,8°, sostanzialmente, cioè, l’azimut dell’alba al solstizio invernale. Le altre misurazioni effettuate dai due studiosi sui dolmen sardi, non hanno dato risposte altrettanto sicure, salva la considerazione generica che l’85% circa dei dolmen esaminati sono orientati in direzione sud e sud-est.Anche in questo caso ci siamo permessi di elaborare una tabella relativa a gli orientamenti dei dolmen sardi, rilevazioni, desumendole anche qui da quanto gli autori riportano in “Rivista Italiana di archeoastronomia”, Roma 2004.

Corrispondenze astrali degli allineamenti dei dolmen della Sardegna settentrionale

Come si nota, il target solstiziale, identificato da Proverbio e Calledda, per il dolmen Sa Coveccada, appare isolato, in un contesto ove i target stellari sembrano maggiormente applicabili agli allineamenti delle strutture prese in considerazione. Come nel caso della Corsica, gli orientamenti verso il sistema Centauro/Croce/Mosca sembrano prevalenti, anche se sono emersi anche un paio di orientamenti verso la costellazione di Orione e uno verso quella di Andromeda.

Tombe dei Giganti

Se si escludono la stele d’ingresso e le esedre circolari, le Tombe di Giganti hanno una conformazione analoga ai tumuli lineari delle Isole Britanniche (sepolcri a corridoio). E’ stato accertato, in alcuni casi, il loro orientamento astronomico, ma è ancora difficile darne una valutazione complessiva. La tabella presenta un’elaborazione effettuata dei dati desumibili in: Lilliu, La civiltà nuragica, Sassari 1982.


Come si nota, abbiamo un orientamento delle costruzioni compreso tra le direzioni est e sud (il 100% delle strutture considerate è rivolta in un arco di 93° sui 360 dell’orizzonte), con preferenza verso la direzione sud-est. Tale direzione è quella dell’alba durante il solstizio d’inverno e ciò potrebbe essere ricollegato anche in questo caso al culto religioso della resurrezione. Tuttavia nei primi due millenni a.C. l’azimut dell’alba al solstizio invernale si è mantenuta costante sui 122° SE; pertanto, solo una delle strutture esaminate (su 11), e precisamente la Tomba Làssie di Birori (NU), sembra rivolta quasi esattamente verso tale direzione. Altre due (Li Lolghi di Arzachena e Muraguada di Baudadu) presentano un azimut quasi coincidente intorno ai 112-113° SE, di cui non è stato ancora ipotizzato il target.

In direzione est il sole sorge nel periodo degli equinozi, ed esattamente con un azimut di 95°. E’ il caso delle due Tombe di Li Mezzani (Palau) e di Coddu Vecchiu (Arzachena), entrambe in Gallura. Ivi gli appassionati delle culture megalitiche hanno scoperto da tempo la proprietà delle due strutture, che permettono alla luce dell’alba, nel giorno degli equinozi, di entrare perfettamente nel ristretto portello della stele d’ingresso, andando ad illuminare il corridoio tombale. Da approfondire i casi delle tre tombe rivolte in direzione sud (mezzogiorno agli equinozi). L. Marchisio, A. Manara e A. Gaspani, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica dell’Osservatorio Astronomico di Brera, hanno ipotizzato un target stellare, e precisamente la stella Aldebaran, per la più famosa di tutte le Tombe di Giganti: la S’Ena e Tomes di Dorgali (NU). L’azimut astronomico di orientamento dell’asse della S’Ena e Tomes (87,5°) è identico a quello della Tomba Goronna di Paulilatino (OR) e della Baddu Pirastu di Thiesi (SS); anche per queste ultime pertanto, è ipotizzabile un orientamento verso la stella Aldebaran della costellazione del Toro. Il collegamento di alcune Tombe di Giganti con la costellazione del Toro potrebbe essere una conferma per chi sostiene che l’arco dell’esedra delle Tombe stesse rappresenti le corna taurine. I tre studiosi dell’Osservatorio di Brera hanno inoltre scoperto che, ponendosi al centro della curvatura dell’esedra della S’Ena e Tomes, nell’eta del bronzo, era possibile osservare il tramonto al solstizio d’estate all’estremo settentrionale dell’arco dell’esedra stessa e il tramonto al solstizio invernale, all’estremo meridionale di esso.

L’orientamento astronomico dei nuraghi

Torri o torrione centrale Base di partenza per la formulazione di ipotesi credibili, un’altra tabella elaborata da chi scrive con i dati desumibili da: Lilliu, La civiltà nuragica, Sassari 1982. Corrispondenze astrali degli allineamenti delle aperture delle torri nuragiche o dei torrioni centrali dei nuraghi complessi:


Come si nota dalla tabella, l’87 % degli ingressi delle torri, o dei torrioni centrali dei 60 nuraghi considerati è compreso in un arco di 75° sui 360 dell’orizzonte; il 73% in un arco di soli 50°. È l’arco di cielo maggiormente esposto al sole tra l’ora dell’alba e poco dopo il mezzogiorno. Gli allineamenti più probabili (Alba solstizio invernale, Alba lunistizio maggiore meridionale, Mezzogiorno agli equinozi etc.) tuttavia, sono applicabile solo ad una minoranza delle strutture prese in esame, pur ritenendo opportuno approfondire le corrispondenze possibili intorno ai 173° di azimut, anche in questo caso abbastanza frequente. Indipendentemente da motivazioni astronomico-religiose, gli ingressi potrebbero essere orientati verso Sud-Sud Est per motivi di illuminazione; ma tale circostanza smentirebbe comunque l’ipotesi classica della funzione difensiva dei nuraghi, in quanto gli eventuali invasori avrebbero avuto la visione migliore dell’interno della costruzione, mentre i supposti difensori si sarebbero trovati abbagliati dalla luce solare.
Mauro Peppino Zedda, in “I nuraghi tre archeologia e astronomia”, Cagliari 2004, smentisce clamorosamente l’ipotesi difensiva classica, dimostrando che nessuna costruzione nuragica era provvista di dispositivo di chiusura; di conseguenza, in caso di assalto, i supposti difensori sarebbero stati totalmente esposti. Alla luce dei riscontri evidenziati dagli studiosi, osiamo proporre un’ipotesi nuova sulla funzione delle costruzioni nuragiche, nell’ambito della tesi astronomico-religiosa. Come sostiene il Lilliu, in epoca compresa tra il neolitico e l’età del bronzo, non solo sull’Isola, ma in tutto il Mediterraneo, erano due le Entità religiose predominanti per l’uomo preistorico: l’elemento terrestre della dea madre femminile, e l’elemento solare fecondante maschile. Nessun’altra struttura, se non l’interno della cupola nuragica, buio e insondabile, compresso da pareti titaniche che proteggono, ma al tempo stesso dominano con la loro forza il suo eventuale ospite; comunicante con la luce dell’esterno, apparentemente ignoto, tramite un’unica misteriosa apertura, dà l’idea dell’utero materno e riporta ad oscure sensazioni pre-natali. L’orientamento di una costruzione simile verso l’elemento maschile del raggio solare, e la penetrazione di quest’ultimo, in particolari date astronomiche, nella cavità oscura del grande utero materno della cupola nuragica – a parere di chi scrive – non poteva che rappresentare la fecondazione della natura e il rinnovo del mito della creazione, mediante l’unione delle due Entità divine maschile e femminile. I nuraghi erano le grandi cattedrali preistoriche dove, periodicamente, si celebrava ciò che agli occhi dell’antico uomo sardo, rappresentava il più grande e il più religioso di tutti i misteri.

Le torri periferiche dei nuraghi complessi
Non tutti i nuraghi sono costituiti da una sola torre. Nei casi più imponenti, attorno al torrione centrale, sono state realizzate due o più torri minori, denominate torri periferiche, apparentemente a scopo difensivo. Dopo una serie di misurazioni, effettuate a partire dal 1995, Peppino Zedda ha clamorosamente smentito anche la funzione difensiva delle torri periferiche dei nuraghi complessi, scoprendo l’orientamento astronomico delle linee tangenti le torri stesse. Secondo Zedda i muri di collegamento tra le torri periferiche dei nuraghi complessi furono appositamente realizzati con un sviluppo convesso, per favorire l’osservazione astronomica di tali linee tangenti, da osservatori posizionati con le spalle ai muraglioni.


Zedda ha inoltre scoperto che un osservatore collocato sulla Torre Nord del Nuraghe Santu Antine può vedere il sorgere del sole al solstizio invernale da dietro la Torre Est, mentre disponendosi sulla Torre Sud, può individuare il sorgere del sole al solstizio estivo dietro la Torre Est. Inoltre dalla Torre Est si può vedere il tramonto del sole dietro la Torre Nord al solstizio d’estate e dietro la Torre Sud a quello invernale. Tali caratteristiche, secondo Peppino Zedda, fanno del Santu Antine “l’apparecchio costruttivo realizzato a secco tecnicamente più sofisticato, di tutta la superficie terrestre”.

L’età del bronzo finale: i templi a pozzo

Non può considerarsi concluso un discorso sull’orientamento astronomico delle costruzioni preistoriche sarde, senza prendere in esame l’orientamento dei templi a pozzo, di cui, a tutt’oggi se ne conoscono 35 esempi. In particolare, nel caso del pozzo sacro di Santa Cristina di Paulilatino/OR (databile circa al 1000 a.C.), è stato accertato che la sua apertura permette il riflesso della luna alla sua massima declinazione, che avviene solo ogni 18,6 anni (c.d. numero d’oro lunare). La scalinata di accesso permette invece il riflesso del sole agli equinozi autunnali e di primavera.

Altri due pozzi sacri, il Fontana Coperta di Ballao e Su Puzzu di Orroli, posseggono anch’essi la caratteristica del riflesso della luna alla massima declinazione, ma la loro scalinata di accesso permette il riflesso del sole al solstizio estivo; circostanza, quest’ultima, riscontrata anche per il Santa Vittoria di Serri. Anche tali corrispondenze astronomiche sembrano collegati al culto della fecondazione. I templi a pozzo, d’altronde, non sono altri che nuraghi sotterranei, con una piccola apertura in alto e una scalinata d’accesso; la presenza dell’acqua – il liquido amniotico terrestre – rende la loro assimilazione con l’utero della madre terra, ancor più convincente di quella delle torri nuragiche. E allora perché un orientamento verso i raggi lunari, cioè in direzione di un astro comunemente ritenuto anch’esso femminile? Forse già allora l’uomo preistorico si era reso conto che l’unione dei due elementi, quello maschile e quello femminile era condizione necessaria ma non sufficiente perché avvenga la fecondazione. E l’astro lunare, il cui ciclo era così simile al ciclo mestruale femminile, sembrava predisporre particolarmente alla fertilità ogni essere vivente di sesso femminile. Forse nei templi a pozzo venivano celebrate periodicamente (ogni 18 anni e mezzo!) riti collegati alla fertilità della Dea madre terrestre, esaltata particolarmente per intercessione della Luna, Dea madre celeste.

(Fonte: prehistory.it / di Federico Bardanzellu)

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