MITI, Redazione AG

L’uomo di creta: il Golem

Secondo la teofisica ebraica, che deve qualcosa a quella egiziana e sarebbe stata elaborata via via da tutta la cabalistica successiva, tre princìpi contribuivano a definire la natura umana. La ḥayyût era la vitalità interna posseduta da tutte le creature, dunque la stessa energia vitale che sosteneva allo stesso modo le piante e gli animali. A un livello superiore vi era la nepeš, la coscienza intellettiva, posseduta in gradi diversi dagli animali e dall’uomo. Ma il rûaḥ, lo spirito che Yǝhwāh Elōhîm aveva insufflato nell’uomo, era qualcosa che distaccava l’uomo da tutte le altre creature e lo rendeva a «immagine e somiglianza» di Dio. Cosa sarebbe stato mai l’uomo senza lo spirito divino? Nella tradizione ebraica esistono, a spiegare questo mistero, una parola e una serie di strane leggende. La parola è gōlẹm, già comparsa nello straordinario passo dei «Salmi» che avevamo già citato, e che riportiamo ancora una volta:

È una scena di grande suggestione: l’uomo pre-creato, «intessuto nelle profondità della terra». L’enunciazione dell’appartenenza di un oggetto informe che in realtà è invisibile persino per chi parla. La radice GLM, che forma lo scheletro etimologico di questa straordinaria parola, ha in sé l’idea di «avvolgere un tessuto». Presenta dunque delle forme potenziali, annunciate ma non dichiarate, non ancora dispiegate nella loro natura completa. Giulio Busi dà riscontro a questa radice col latino glomus «gomitolo», da cui il verbo glomerare, che esprime l’azione di addensare qualcosa in una massa confusa e informe. Questa strana espressione nei Tǝhillîm, che la traduzione corrente rende con «embrione», viene resa nella traduzione greca dei Settanta con la parola akatérgastón, «non lavorato», parola a cui fa eco l’amorfōton, «informe», usato da Symmachus. Si ha l’impressione che quando i testi mesopotamici parlino di «prototipo d’uomo» [lullû], intendino qualcosa di simile al concetto ebraico di gōlẹm. I racconti rabbinici sulla creazione degli āḏāmîm ribadiscono un momento intermedio nella genesi dell’uomo. Il primo impiego ebraico di questa parola con una forte connotazione simbolica, si ha in un detto risalente probabilmente al IV secolo, che così enuncia:

Come fa notare Busi, «il termine gōlẹm rappresentava una rara occasione di semantizzare lo spazio confuso che sta prima di ciò che non è ancora, o dopo quanto non è più, dominio solitamente taciuto dal linguaggio, eppure d’importanza fondamentale per i dotti ebrei di età talmudica». Sebbene nella letteratura ebraica di epoca tardo-antica la parola non venga ancora direttamente associata al concetto di individuo creato con l’impiego della magia, come avverrà a partire dal medioevo, furono queste premesse culturali a sostenere l’idea che fosse possibile, all’uomo esperto di arti occulte, creare un corpo inerte dall’argilla o dalla creta e farlo muovere utilizzando il Nome Divino. Secondo una leggenda riferita dal Talmûḏ babilonese, rabbî Rabbāh (±270-±350), sapiente attivo in Babilonia, creò un uomo e lo mandò da rabbî Zẹyrāʾ. Questi cercò di parlare con lui ma non ne ebbe risposta. Allora disse: «Tu vieni senz’altro dai miei colleghi, ritorna alla tua polvere». E il gōlẹm si disfece.
(Sanhedrin[65b]). Al poeta e filosofo andaluso Šǝlōmōh bẹn Yĕhûḏāh bẹn Gaḇîrôl (±1021-1058) fu attribuita la creazione di un gōlẹm femmina da pezzi di legno; denunciato alle autorità, Šǝlōmōh poté dimostrare che la sua creatura non era perfetta, facendola tornare al suo stato originario (Taʿălûmôṯ ḥoḵmāh). Ma la storia più nota è quella sul gōlẹm che rabbî Yĕhûḏāh Löw bẹn Bezalʾēl (1525-1609) creò nel ghetto di Praga, modellando una statua di creta e facendola vivere inserendo sotto la sua lingua un rotolo col Nome Divino. Secondo un’altra versione, sulla sua fronte erano incise le tre lettere che in ebraico compongono la parola Emẹṯ [אםת] «verità»; per far tornare la creatura al suo stadio originario bastava raschiare la alep e lasciar affiorare la parola mēṯ [םת] «morto». Questo tipo di operazioni erano divenute così popolari nel mondo dell’esoterismo ebraico, che Elǝʿāzār bẹn Yĕhûḏāh di Worms (1165-1230), il principale esponente del misticismo aškenazita nel medioevo, arriverò al punto di istruire i suoi adepti nella costruzione dei gōlẹmîm, nei commentari del Sēper yǝṣîrāh. L’argomento golemico è affascinante e il lettore ci scuserà se abbiamo divagato.

(Fonte: Bifrost.it)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *