Alessandro Demontis, MITI, ORIGINI DELL'UOMO

Origine della civiltà sarda autoctona

I lavori degli studiosi Sergio Frau,Leonardo Melis e di Monsignor Giovanni Dejana, sacerdote di Jerzu ed emerito docente della Pontificia  Università Urbaniana di Roma, hanno contribuito nel corso degli ultimi anni a ridare splendore a un popolo, quello dei sardi, che per troppo tempo è stato ignorato nonostante ricco di peculiarità storiche provenienti da ogni ambito, con particolare rilievo in quello archeologico e linguistico.

Sergio Frau per esempio, pur secondo me sbagliando nella sua identificazione della Sardegna con Atlantide, svolge un ottimo lavoro di ricerca sulle popolazioni autoctone in relazione ai famosi ‘popoli del mare’, lavoro che porta a conclusioni non del tutto  esatte ma che restituisce dignità ai sardi presentandoli per quel che effettivamente erano: un popolo molto avanzato dalla grande esperienza marittima.

Leonardo Melis dal canto suo è stato il primo, assieme a me, a divulgare l’ipotesi di una origine mediorientale (lui sostiene sumera, io accadica) del popolo sardo, o di una sua parte. Lui identifica questa origine negli Shardana, o, come traduce lui, ‘I principi di Dan’ ove Dan / Danu è una delle regioni mediorientali di maggior rilievo nella Mesopotamia del II millennio.

Prima di lui, l’unico  autore che da oltre 30 anni sostiene questa origine mediorientale (portando a sostegno una mole di materiale documentale e analitico che ha dell’impressionante, la più dettagliata e più convincente) è il mio  vecchio professore di Glottologia, il linguista Massimo Pittau, secondo il quale i ‘sardi’ come popolo sono nati dall’unione di due correnti entrambe provenienti, in tempi diversi, dalla Lidia: un primo flusso identificabile nei Thyrrenoi (Tursceni), e un secondo flusso identificabile negli Shardianoi (Shardana). Entrambi questi gruppi lidici erano ‘popoli del mare’, gli Shardana anche guerrieri al servizio di faraoni egiziani nel XV secolo a.C. Monsignor Dejana, che per anni  ha condotto studi emeriti riguardo l’origine del popolo sardo e i suoi  rapporti con l’Egitto e il medioriente, conclude (erroneamente secondo  me) che gli Shardana fossero proprio i ‘sardi nuragici’.

Tutti questi studiosi hanno trascurato una considerazione importante: le testimonianze di contatto di popolazioni lidiche con la regione Sardegna non vanno oltre il XV secolo a.C. La più antica datazione accettata per Sardis, la capitale della Lidia, non va oltre la fine del XIV secolo  a.C. (alcuni sostengono 1320 a.C. circa), e i Thyrrenoi possono essere fatti risalire, nella loro migrazione in Sardegna, al massimo a 200 anni prima. Ma è ovvio che la Sardegna era abitata già prima da qualcuno; la civiltà  prenuragica  Abealzu – Filigosa  è  fatta risalire al IV millennio  a.C., e a una data simile se non precedente è attribuita la civiltà di  Ozieri.

Inoltre è bene ricordare che alcuni dei più  antichi  nuraghi vengono fatti risalire a un periodo vicino al 1750 a.C., non compatibile con l’avvento dei Thyrrenoi (nome che significa  in effetti: costruttori di torri), che arrivarono in Sardegna nel XV  secolo a.C.I Thyrrenoi devono dunque aver trovato almeno alcune di  queste strutture già nell’isola, al limite possono successivamente  averne costruite di simili.

Altresì bisogna supporre che né i Thyrrenoi, né gli Shardana conoscessero questo tipo di costruzione, e ciò si evince  dal fatto che in Lidia, come in tutto il medioriente e il resto del globo, non ci sono costruzioni simili. Le uniche torri circolari  paragonabili si trovano una a Cuzco (ove in effetti si tratta di una torre semicircolare) e una in Sudafrica.

In base a queste considerazioni  bisogna ammettere che nessuno degli studiosi sopra citati ‘copre’ la reale storia del popolo sardo se non a partire dalla metà del II millennio. Particolarmente nel caso dell’ipotesi avanzata da Leonardo  Melis a riguardo di una discendenza sumera, c’è un grosso gap temporale che egli non giustifica: la lingua sumera non veniva parlata dai lidi del XV secolo a.C., che avevano un alfabeto non cuneiforme e una lingua derivata da un miscuglio di accadico tardo e protocanaanita (simile all’ugaritico). Sostenere quindi, come fa lui, che gli Shardana abbiano portato radici linguistiche sumere in Sardegna è per lo meno azzardato, se non inverosimile.

Attenzione, i popoli mediorientali quali assiri e babilonesi anche nel I millennio utilizzavano sporadicamente termini sumeri, ma NON la lingua sumera. Usavano una lingua accadica (sotto forma di dialetto babilonese o assiro a seconda della zona) CONTENENTE termini sumeri di attinenza religiosa o scientifica (nomi di metalli, di  pianeti, di divinità etc).

Con questo articolo dunque mi propongo di  tracciare una ‘timeline’ della popolazione sarda, pregiandomi di fornire alcune indicazioni che finora non ho mai letto da studiosi sardi miei conterranei, né da ‘eminenti’ studiosi o docenti di storia. Tempo fa ne scrissi nel forum di Melis, ma purtroppo la discussione non ebbe seguito. Ebbene iniziamo. Le prime tracce di insediamenti Homo Sapiens in Sardegna risalgono a circa il 13.000 a.C., periodo al quale sono attribuiti ritrovamenti avvenuti in grotte nei pressi di Oliena.

Un salto temporale ci porta a numerosissime testimonianze di insediamenti  stabili nel neolitico a partire dal 6000 a.C. circa, specialmente nelle regioni centrali pianeggianti. A questo periodo vengono fatte risalire numerose ceramiche intagliate, si suppone utilizzando conchiglie affilate. Questo tipo di lavorazione era molto diffusa nel bacino del mediterraneo, ma anche nella zona iberica e nel Libano. A partire dal  4500 a.C. circa gli insediamenti si moltiplicano e prende inizio quella  che viene chiamata civiltà Bonu-Ighinu, della quale perdiamo le tracce intorno al 3.000 a.C. circa. Nel mentre sono già attive, a partire dal 3.600 a.C. circa, le già citate civiltà di Ozieri e Filigosa, le quali  hanno lasciato tutta una serie di reperti lavorati e ‘costruzioni  elementari’ di notevole interesse.

Erroneamente a questa civiltà viene fatto risalire l’altare preistorico di Monte d’Accoddi nei pressi di Sassari. È invece verosimile che, nello stesso sito, a questa cultura  appartenga la ‘prima fase’ del complesso abitativo / religioso,composta  da abitazioni basse e da un monolito lavorato.Nel III millennio le  civiltà sarde erano già notevolmente sviluppate: conoscevano la  tessitura, avevano una forma di culto basata sulla Dea Madre e su divinità associate ai fenomeni naturali, lavoravano la selce, l’ossidiana, ed erano esperti intagliatori ed estrattori.

È dunque evidente che già prima della fine del III millennio a.C. in Sardegna c’era un certo numero di abitanti organizzati in più civiltà, ma è a partire dai primi secoli del II millennio che abbiamo un ‘boom’ di  ultura e di ‘abilità’ in Sardegna. E alcuni particolari, in questo  periodo, riconducono al medioriente. Non però alla Lidia, ma a una regione ben più famosa: Babilonia.

Nei miei studi di sumerologia e civiltà mesopotamiche mi sono imbattuto in un testo babilonese molto  controverso, chiamato dagli studiosi ‘Enuma Nabo Shamatu’ che narra la  fuga del dio Nabo dopo una sconfitta subita in una non meglio  identificata guerra in territorio a est di Sumer. Il testo riporta che:Nabo i sacri recinti abbandonò – nel deserto con gli uomini camminava, fino al mare, alle isole del grande mare a nord trovò rifugio e vi costruì un tempio, una casa  per Amar-UdAmar-Ud è uno dei modi di  scrivere il nome del dio babilonese Marduk, di cui Nabo era figlio Se il  territorio di guerra a est di Sumer viene identificato con la regione  del Mar Morto, le uniche isole in un mare a nord di tale zona possono essere le isole greche, Malta, la Sicilia e la Sardegna.

Ma in nessuno di questi luoghi troviamo templi dedicati a Marduk…. Ad eccezione forse di uno: Monte d’Accoddi. È un fatto innegabile che questo sito, una volta  ricostruito a modellino, abbia lasciato sgomenti gli studiosi di storia e  archeologia sarda: si sono trovati davanti una versione ridotta di una zigguratt mesopotamica. Quella che viene definita dagli studiosi una ‘curiosa coincidenza’ è in realtà la chiave per capire come, a partire  da circa il 1.900 a.C., in Sardegna entrano prepotentemente radici e  segni di cultura accadica e sumera. Ma la ricostruzione di Monte  d’Accoddi non rivela somiglianze con ‘UNA’ qualsiasi ziggurat  mesopotamica, bensì con una in particolare: l’Esagila di Babilonia, la  ‘sacra casa di Marduk’.

La mia ipotesi è che la guerra che si menziona  nel testo sopra citato sia la stessa di cui si parla del poema Epica di Erra, una guerra che fu causa della distruzione di Sumer a cavallo del 2000 a.C., mossa da Ishum ed Erra ai danni, appunto, di Marduk e suo figlio Nabu con i loro seguaci.A seguito di ciò, come si legge nell’Enuma Nabo Shamatu, Nabu si ‘esiliò’ (evidentemente con i suoi seguaci) in Sardegna e vi si stanziò portando quel grado di civilizzazione che la Mesopotamia aveva ormai da più di 1500 anni.

Questi migranti arrivati in Sardegna si stanziarono in varie zone dell’isola, e interagirono con le culture locali non sottomettendole ma mischiandovisi. È un dato di  fatto che in Sardegna l’età del bronzo antico si sviluppa proprio a cavallo del XIX secolo a.C., appena 100 anni dopo il periodo a cui attribuisco l’esilio di Nabu in Sardegna, ed è in questo periodo che si hanno le prime testimonianze di uso del bronzo (civiltà di Bonnannaro), mentre in Mesopotamia l’età del bronzo inizia all’incirca nel 2800  a.C. e giunge in Babilonia a cavallo del 2500 a.C.

Non è corretto invece asserire, come fanno molti, che in Sardegna l’ età del bronzo arrivò dalla cultura italica / appenninica, in quanto anche li il bronzo antico  inizia a cavallo del 1800 a.C. ed è quindi contemporanea, e non  precedente, a quello sardo. Tra i contributi che questo ceppo mesopotamico diede alla cultura dell’isola c’è proprio Monte d’Accoddi, il cui nome secondo me deriva da ‘Akkad’. Infatti la struttura a tronco di cono con rampa è sicuramente successiva al 2000 a.C.

Giungiamo  dunque al XVI secolo, periodo nel quale la popolazione autoctona ha integrato le colonie di origine babilonese accadica,e un secolo dopo si  trova ad affrontare una invasione dinavigatori provenenti dalla Lidia, quel popolo che i greci chiamavano Tyrsenói o Tyrrhenói. Erano, come detto, un popolo di navigatori, ma anche esperti lavoratori di metalli dato che tutte le popolazioni  anatoliche lo erano (particolarmente quelle di discendenza ittita).

Questo gruppo lidico si stabilisce in Sardegna intorno al 1500/1450 a.C. e trova nell’isola una popolazione mista, pacifica, dedita prevalentemente all’agricoltura e molto ferrata nelle costruzioni, con un vivo culto dei morti e una notevole arte edilizia e funeraria.

I Thyrrenoi vi si integrano dando inizio a una tradizione costiera e marittima, ma non limitandosi solo alle zone costiere, anzi  spingendosi anche all’interno. La loro influenza linguistica però non è  marcata nelle zone interne, dove vive ancora una spiccata componente accadica e sumera portata dai primi ‘coloni’. Circa due secoli e mezzo  dopo, un altro gruppo di navigatori,stavolta guerrieri e sempre provenienti dalla Lidia (precisamente da Sardis), si spinge fino alla Sardegna.

Sono un popolo nominato anche negli annali faraonici egiziani,  che ha prestato servizio per faraoni nella battaglia di Qadesh; un popolo chiamato Sardianói dai Greci, e Shrd dagli egiziani (che  evidentemente li chiamavano con un nome derivante dall’appellativo  greco). Questi furono l’ ultimo gruppo di navigatori provenienti dal  medioriente che si stanziò nell’isola, e fu questo popolo a dare alla regione il nome di “Sardò”.

A cavallo del X secolo a.C. gli abitanti autoctoni, il ceppo di origine babilonese, e i due ceppi lidici, si erano amalgamati definitivamente costituendo quel gruppo di abitanti che ora siamo abituati a chiamare ‘sardi nuragici’, e che secoli più tardi  si trovò a dover affrontare la minaccia fenicia e successivamente cartaginese. Fu proprio la componente Shardana a fermare i Fenici nel loro avanzare nel Mediterraneo.

L’ultimo insediamento degno di nota fu quello degli Etruschi, popolazione di origine lidica del primo ceppo dei  Thyrrenoi stanziatisi nell’Italia centrale appenninica e successivamente, da lì, nell’isola. Veniamo ora al ‘mistero’ della scrittura sarda. Intanto è bene sfatare il mito, nel caso ancora  qualcuno ci credesse, secondo il quale i ‘nuragici’ inventarono una loro  lingua e un loro alfabeto. In terra sarda sono stati trovati reperti contenenti almeno 5 tipi di scrittura precedente a quella latina: geroglifici egiziani, scrittura minoica, scrittura fenicia, scrittura protocanaanita e scrittura etrusca.

Dal punto di vista dei lessemi, molto del sardo deriva dall’etrusco, come ha abbondantemente dimostrato Massimo Pittau; ma vi si trovano anche innumerevoli radici accadiche e  addirittura sumere, come evidenziato da Leonardo Melis.

Radici di evidente origine sumera sono DAM, DUMU, ITU, IKU, SER/SAR, -MU.

Radici di origine accadica sono ETU, SUM/SAM, MERE/MARA, ATU.

Ma a parte le radici di parole sarde riconducibili ad altrettante di origine sumera e accadica, esistono intere parole, nella lingua sarda, che hanno mantenuto oltre a una omofonia anche un significato similare. Non però con il sumero, come sostiene Melis,ma appunto dall’accadico, compatibilmente con la cronologia di eventi vista più su.

È il caso di termini come il sardo ABBA (acqua) e l’accadico ABUBU (diluvio, pioggia  copiosa), il sardo ACCALAMAU (che ha perso vigore, esaurito, appassito)  e l’accadico AKALU (consumare, irritare, far consumare), il sardo BABBU (padre) e l’accadico ABU (padre, avo), il cagliaritano CALLONI  (testicoli) e l’accadico QALLU (genitali – sia maschili che  femminili), il sardo MACCU (matto, stupido) e l’accadico MAKU/MEKU  (negligente, stupido, non attento), e varie altre.

Un lavoro dettagliato  in merito è stato condotto dallo studioso Salvatore Dedola, al cui lavoro rimando. La dominazione romana poi ha portato all’adozione dell’alfabeto latino, cancellando ogni traccia dei precedenti alfabeti mediorientali, e ‘latinizzando’ completamente i termini (nonostante molte  delle radici di cui sopra ancora sopravvivono).

La successiva dominazione spagnola tra il 1300 e il 1500 ha prodotto quella lingua, o meglio, quel gruppo di lingue, attualmente parlate in Sardegna.

Articolo di Alessandro Demontis

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