Redazione AG

Patterns of Evidence: Exodus

Uno dei periodi storici più dibattuti, dal punto di vista archeologico, è quello dell’Esodo, del quale non c’è notizia nelle cronache egiziane del tempo, malgrado l’eccezionalità degli eventi provocati dalle piaghe d’Egitto. Le vicende della conquista della Palestina da parte di Giosuè sarebbero invece completamente smentite dai reperti archeologici: gli scavi effettuati a Gerico non hanno trovato traccia della sua distruzione nell’epoca indicata. Le prove certe della storicità della Bibbia, almeno per adesso, sono davvero rare. Questo è quanto, in un riassunto di poche parole, la comunità internazionale afferma in modo prevalente riguardo ai fatti riportati nella Bibbia e che avrebbero portato alla creazione dello stato di Israele.
In realtà la comunità scientifica non è così compatta come potrebbe sembrare; gli archeologi biblici, infatti, si dividono tra massimalisti, per i quali la Bibbia è una vera e propria guida per la ricerca archeologica, e minimalisti, che la considerano come un testo religioso privo di alcuna oggettività. In mezzo ai due schieramenti esiste una fascia piuttosto ampia di moderati che escludono le interpretazioni letterali ma accettano una generica base storica del Libro sacro.

Uno dei più grandi esperti nella lettura di geroglifici del XX secolo fu sir Alan Gardiner, egli contribuì enormemente a scoprire ciò che siamo oggi. Dopo una vita dedicata alle ricerche, Gardiner scrisse una cosa riguardo alla civiltà egizia: “non dobbiamo dimenticare che si tratta di una civiltà risalente a millenni fa, della quale sopravvivono resti davvero  minimi.  Quella che viene definita con orgoglio la storia d’Egitto non è altro che una raccolta di stracci e frammenti.”

Se abbiamo solo tracce e frammenti quanto possiamo essere certi delle date?

L’egittologo Kent Weeks sostiene che Gardiner disse una cosa essenzialmente vera. La cosa più interessante di tutto il materiale dell’antico Egitto, però, è che gli stracci e i frammenti sono più numerosi e di tipologia più varia rispetto a quelli di ogni altra civiltà sulla faccia della terra. C’è ogni tipo di materiale giunto fino a noi e sono stracci e frammenti incompleti e avere tutto questo materiale è straordinario ma anche estremamente scoraggiante,  perché lascia molto più spazio al dubbio e alle discussioni. Alla fine dei conti la cronologia della storia d’Egitto sorregge tutto ciò che è stato fatto nel resto del mondo conosciuto. È una responsabilità enorme nonché una delle ragioni per cui è studiata attentamente, perché se si parla di ricostruire la storia antica, molto dipende dalle risposte.

L’unica epoca in cui c’era uno schema corrispondente alle fasi era il Medio Regno, non il Nuovo Regno. E se questa non è una coincidenza, allora si rende necessario un cambiamento radicale.

O l’esodo è avvenuto molto prima del 1450 a.C., oppure la cronologia dell’Egitto è sbagliata.

La discussione sulla cronologia della storia antica è accesa e se ne è discusso anche nella conferenza sulla nuova cronologia tenutasi in Germania sebbene le conclusioni di chi è a favore di modifiche importanti possono sbagliare, tutti concordano però sul fatto che si debba indagare ulteriormente e che la cronologia non è fissa né definitiva.

Nella cronologia della storia dell’Egitto sono stati inseriti dei buchi nella storia delle civiltà limitrofe affinché questa corrispondesse al terzo periodo buio d’Egitto. tuttavia, l’archeologia di queste civiltà non conferma questi  buchi. è  chiaro che qualcosa non quadra.  come sarebbe la storia se i periodi bui fossero modificati come lo rendono necessarie le prove, secondo alcuni esperti? Ciò che non cambia e il tempo della Bibbia, che non ne è influenzato. Cambiare la cronologia dell’Egitto significa spostarla rispetto a quella della Bibbia. Così, all’improvviso, eventi e non sono accaduti nel momento giusto, sembrano allinearsi diversamente. Questa è la parte interessante, perché improvvisamente iniziamo a trovare prove a sostegno della Bibbia. In tale caso lo schema della storia egiziana coinciderebbe con quello della storia biblica con le relative prove D’altra parte se per un attimo si mettono da parte le date lo schema dei fatti  provenienti dall’archeologia corrisponde alla Bibbia in maniera impressionante.

Tale coincidenza merita di essere presa sul serio, ma per ora i sostenitori delle teorie tradizionali non permettono di effettuare tali collegamenti.

Secondo molti studiosi l’Esodo non sarebbe avvenuto affatto tantomeno sotto il regno di Ramses II, il più grande faraone costruttore, basando tale convinzione sulla circostanza che non ci sarebbero prove. Allora ci si chiede perché ritengono sia lui il faraone dell’esodo? Nel corso di 2000 anni l’Egitto ha vissuto tre grandi periodi di potere: il primo è l’Antico Regno con le sue imponenti piramidi di pietra. Poi il Medio Regno l’apice dell’arte e della letteratura. Infine il Nuovo Regno con vasti imperi che dominavano terre straniere. Questi grandi periodi di potere furono seguiti da periodi bui di debolezza e disgregazione. Ramses II fu faraone durante il Nuovo Regno, egli comandò un impero grandioso e riempì l’Egitto di monumenti. L’associazione di Ramses alla storia dell’Esodo è legato al fatto che la Bibbia contiene un passaggio cruciale che porta molti a correlare l’esodo con il periodo del faraone Ramses in quella che è nota come la teoria dell’esodo di Ramses.

Un fondamento di questa teoria è l’edificio della città di Ramses [1], in esso si dice che gli ebrei realizzavano i mattoni per la città o il deposito di Ramses.

Analizziamo in modo rapido le evidenze archeologiche della città per comprendere meglio; questa città importante che sappiamo essere stata costruita da Ramses II è attualmente in fase di scavo e continua ad essere studiata. La storia di questa città è molto breve infatti intorno al 1100 a.C. la città non esiste più, la sua è una storia molto breve e dura meno di 200 anni perciò la domanda è che se l’edificio dimostra che gli Israeliti hanno contribuito a costruire la residenza di Ramses II sul delta del Nilo, dobbiamo considerarlo un punto di riferimento storico risalente a un momento delle XIII secolo a.C.[2].

Le date del periodo a.C. possono creare confusione perché vanno nella direzione opposta rispetto al periodo dopo Cristo più si va indietro nel tempo e maggiore è il numero a.C..

La teoria dell’esodo di Ramses  colloca l’evento dell’esodo circa 250 anni prima del 1000 a.C. ossia all’incirca nel 1250 a.C..  Il problema è che non vi sono evidenze archeologiche che indichino la presenza di semiti nella città fatta costruire da Ramses II.

Ma chi erano i semiti?

Quello dei semiti[3] era un unico gruppo linguistico del Vicino Oriente che in origine occupava la regione compresa fra i monti Tauro e Antitauro a nord, l’altopiano iranico a est, l’Oceano Indiano a sud, il Mar Rosso e il Mediterraneo a ovest; in epoca storica, in seguito a migrazioni, le lingue semitiche (siriaco, aramaico, arabo, ebraico e fenicio) si sono diffuse nella regione etiopica e in Africa settentrionale. Sulle origini origini dei popoli di lingua semitica si aprì una discussione dopo la metà del 19° sec., rispetto alla ricerca di una sede primitiva, nella quale due teorie incontrarono particolare favore: la prima collocava i Semiti fin dall’epoca preistorica in Arabia, da cui sarebbero successivamente emigrati; la seconda presupponeva un’originaria unità semitica in Mesopotamia.[4]

In merito alla presenza di popolazioni semitiche in Egitto non devono passare inosservate le notizie di ritrovamenti molto interessanti, nuove scoperte archeologiche di una città e di un popolo che, in modo sorprendente, sembrano corrispondere al racconto biblico e, cosa più sensazionale, il rinvenimento è avvenuto proprio nella città di Ramses dove la stessa Bibbia colloca gli Israeliti, più precisamente ad Avaris, nella delta del Nilo, dove Manfred Bietak – egittologo dell’università di Vienna – assieme al suo team scavano da oltre 30 anni. Avaris si trova al di sotto del settore meridionale della città di Ramses.

Lo stesso Bietak ammette di aver scoperto i resti di una città enorme, di 250 ettari con una popolazione di circa 25.000/30.000 abitanti provenienti dalla regione di Canaan in Palestina. Potrebbero essere giunti fin in Egitto, dove si stabilirono, come sudditi della monarchia egizia o con l’approvazione dei reggenti egizi anche perché la città di Avaris godeva di una specie di statuto speciale come se fosse una specie di zona franca.

Sono state rinvenute le prove della presenza di pastori, sono state scoperte in tutta l’area fosse con capre e pecore, perciò si comprende che c’erano dei pastori, forse beduini con greggi enormi, che pascolavano intorno. Bietak afferma che il collegamento tra questi abitanti e i proto-Israeliti è molto debole eppure già vi è una prima corrispondenza rispetto a ciò che dice la Bibbia.

Il faraone, infatti, autorizzò i primi Israeliti a trasferirsi liberamente nella zona migliore e lì le loro greggi prosperarono e si moltiplicarono. Questa potrebbe considerarsi una prima prova, o meglio, un primo indizio; ma perché non potevano essere i proto-israeliti di cui parla la Bibbia? Secondo Bietak gli insediamenti dei proto-israeliti a Canaan iniziarono nel XII secolo a.C. e proseguirono successivamente; pertanto le prove rinvenute nel sito archeologico di Avaris e relative alla presenza di una popolazione semitica nella città risalendo a molti secoli prima rispetto agli eventi dell’Esodo e all’epoca in cui lo stesso viene collocato non possono riferirsi alla stessa popolazione dell’Esodo.

Un importante egittologo americano, il professor Kent Weeks,  che aveva nuovamente scoperto la tomba dei figli di Ramses II situata nella Valle dei Re, ha evidenziato un aspetto fondamentale connesso alle problematiche di questi eventi ponendo delle domande, degli interrogativi che non trovano risposte immediate. Ramses II[5] è il faraone dell’Esodo? Come possiamo dimostrarlo? La cronologia non ci aiuta poiché la cronologia dell’Egitto è ancora piuttosto ambigua e i collegamenti tra la cronologia dell’Egitto e quella di altre culture del Vicino Oriente antico, da prendere come punto di riferimento, è ancora più confusa. In realtà non si sa esattamente quando sia accaduto l’esodo. Alcuni sostengono sia avvenuto sotto Ramses II e questo è un contesto affascinante, poiché era un sovrano molto potente, tutti ne conoscono il nome, costruì monumenti straordinari e scegliere lui renderebbe tutto più affascinante. Soprattutto perché sarebbe stato un avversario molto importante. Perciò alcuni hanno scelto Ramses II come sovrano dell’esodo; tuttavia non tutti gli egittologi sono d’accordo poiché qualunque altro faraone avrebbe potuto esserlo sempre che si riesca a dimostrare che ci sia stato un esodo.

Ma se non è stato Ramses il faraone dell’Esodo allora chi fu? Forse la soluzione è cercare l’esodo in un periodo o regno diversi. Innanzitutto bisogna partire da un’attenta analisi dei dettagli del racconto biblico per poi rinvenire sul terreno le prove che ci permettono di collegare i fatti della Bibbia a fatti concreti; le testimonianze più antiche dell’esodo furono scritte in antico ebraico nei primi 5 libri della Bibbia, conosciuti come Torah[6]. In realtà la storia dell’esodo inizia prima che gli Israeliti lascino l’Egitto. Inizia con Abramo, quando Dio lo conduce nella terra di Canaan e stringe un’alleanza con lui. Nelle parole di quella alleanza viene descritto l’intero esodo. “Il Signore disse ad Abramo: tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre. Alzati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te.”

Quel giorno il Signore strinse un’alleanza fece una promessa formale ad Abramo. Disse: “io do questa terra alla tua discendenza. Dio condusse Abramo all’esterno e gli disse:guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza. Poi Dio aggiunse: I tuoi discendenti saranno forestieri in un paese non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi. Dopo essi usciranno con grandi richieste e torneranno qui.”

In realtà se si considerano gli eventi raccontati dalla Bibbia si può individuare una sequenza che può guidare l’intera indagine. Si possono identificare 6 fasi nella sequenza biblica che individuano gli eventi e i momenti principali dell’esodo: l’arrivo dei proto-israeliti, la moltiplicazione degli stessi, la loro riduzione in schiavitù, il giudizio (verso il paese che li ha resi schiavi), l’esodo, la conquista(della terra promessa).

Partendo dalla ipotesi che l’esodo sia realmente avvenuto, nel racconto Biblico vi sono elementi così importanti da essere impossibile che non abbiano lasciato qualche residuo di testimonianza nella storia d’Egitto. La scienza, quella chimica, quella storico-archeologica, quella forense, ecc. risolvono i problemi osservando gli schemi delle prove perciò un approccio scientifico cerca tali prove, indipendentemente da dove si trovino, pertanto una ricerca metodica inizia con il cercare uno schema di prove corrispondente alla sequenza biblica enunciata iniziando dalla prima fase cioè l’arrivo degli Israeliti, o meglio, dei proto-israeliti in Egitto.

L’Arrivo

Il libro della Genesi ci dice che il primo discendente di Abramo arrivato in Egitto fu il suo pronipote Giuseppe, figlio di Giacobbe. Il racconto biblico ci dice che fu venduto dai suoi fratelli come schiavo a una carovana di mercanti che lo portarono in Egitto. Là in uno straordinario svolgersi degli eventi sale di grado fino a diventare il primo ufficiale d’Egitto, salva il paese da una terribile carestia e consente al padre Giacobbe e a tutta la tua famiglia di stanziarsi nella zona migliore del paese chiamata Goshen.

Sulla identificazione precisa di Goshen ci sono fortissime difficoltà; è il nome ebraico, che i Settanta[7] rendono Γεσευ, Vulgata Gessen, della località dove avrebbero dimorato Giacobbe e i suoi discendenti nell’emigrazione in Egitto[8]. Parrebbe identica alla terra di Ramses; i Settanta scrivono “Gesem di Arabia” ma è dubbia anche quest’ultima identificazione. Per essi però la terra di Ramses sarebbe Heroonpoli, ossia Pithom, per molti e quasi certamente Avaris, che da un lato è il luogo d’incontro di Giuseppe con il padre e i fratelli[9] dall’altro sarebbe stata anch’essa edificata dagli Ebrei[10] nonostante sia negato dal prevalente orientamento scientifico. Si è anche proposto d’identificare Ramses con l’egiziana Per-ramessêse, residenza di Ramessêse II nel Delta, di cui abbiamo tracce sino al sec. IV a.C. In ogni caso ci si pone una domanda: Esistono prove dell’arrivo di questa famiglia in Egitto, così come dice la Bibbia? In realtà si trovano soltanto prove della presenza di pastori nel sito di Avaris.

Secondo David Rohl, scrittore, storico ed egittologo sono rinvenibili prove dell’esistenza di Giuseppe, Giacobbe e dei primi Israeliti biblici nella regione del delta del Nilo in Egitto. Lui ritiene che molti egittologi non trovino prove dell’esodo perché le cercano nell’epoca sbagliata. Mentre gran parte degli studiosi ritiene che sia avvenuto nel Nuovo Regno (dal 1552 a.C. fino al 1069 a.C.), la sua teoria colloca l’esodo in una epoca differente, cioè nei primi anni del Medio Regno (tra il 2055 a.C. ed il 1790 a.C.), nei quali si troverebbero le prove dell’esodo.

Sempre Rohl sostiene che secondo molti esperti, se si osserva la città di Ramses, nessun asiatico o medio orientale viveva in quella città. Ma scavando più in profondità si trova una città piena di asiatici, di semiti. In tutto ciò il particolare della città di Ramses, dell’edificio di Ramses rappresenta un anacronismo; infatti è un elemento aggiunto successivamente nel testo come modifica. Chi ha aggiunto la modifica dice che lì gli Israeliti costruirono la città deposito, conosciuta oggi come Ramses. Ma nell’antichità si chiamava Avaris e chi ha scritto quel brano della Bibbia sapeva dove si trovava Ramses e quindi dove i loro antenati la avevano edificata.

La Bibbia nel libro della Genesi usa la parola Ramses centinaia di anni prima dell’esistenza della città o persino del faraone Ramses per descrivere la zona in cui si stanziò la famiglia di Giuseppe perciò se la parola Ramses nella Genesi non si riferisce all’epoca del faraone Ramses II, perché dovrebbe essere diverso nel e per il libro dell’esodo?

La città di Avaris che si trova sotto la Ramses biblica è quella del Medio Regno dell’epoca della XIII dinastia, perciò negli scavi sono stati rinvenuti resti di un popolo di lingua semita e di cultura semita che vive ad Avaris da centinaia di anni. Al termine del periodo tutti i semiti se ne vanno abbandonano la città portando via i loro averi.

Dagli scavi di Avaris emerge che al termine della XII dinastia comprare una casa siriana. Gli archeologi austriaci chiamano questo tipo di case Mittelsaal. Identico tipo di edificio si trova nel nord della Siria, che è la zona dalla quale proviene Abramo. È proprio lo stile di casa che ci si aspetta Giacobbe avrebbe costruito in Egitto. Sappiamo che gli Israeliti cercavano moglie ad Harran in Siria, tutti tornavano laggiù per trovare moglie, perciò la cultura che troviamo in Egitto al termine della XII dinastia sembra provenire in origine dal nord della Siria. Secondo Rohl questo si può collegare alla presenza di Giuseppe in Egitto, infatti, dopo la costruzione della casa di Giacobbe questa viene appiattita, cambia completamente stile, su di essa viene costruito un palazzo egizio con lo stile egiziano con cortili, colonnati e sale per incontri. C’era persino una sala di vestizione e chiaramente apparteneva ad un alto ufficiale del paese, ritenuto molto importante poiché il proprietario di un palazzo simile è chiaro viene onorato per il suo operato. Nei giardini dietro il palazzo gli archeologi hanno trovato 12 tombe sormontate da cappelle commemorative e tale particolare può rivestire importanza se si pensa al numero di figli di Giacobbe che erano 12, al numero di tribù di Israele che erano 12 e altro particolare che lascia molto sorpresi è che il palazzo aveva un portico con 12 colonne.

Bisogna tener presente, ad ulteriore riprova che Avaris è molto verosimile fosse abitata da Israeliti, che il numero 12 ha senza dubbio una grande importanza nei testi delle Sacre Scritture e anche per Israele. Il 12 contiene un grande valore simbolico, non solo perché sottende una sua origine spazio-temporale, probabilmente derivata da altre culture come quella babilonese,[11] ma anche e soprattutto perché rappresenta il numero dell’elezione, quello del popolo di Dio.

I dodici figli d’Israele-Giacobbe sono gli antenati eponimi delle dodici tribù d’Israele (Gen 35,23s.; si veda anche la benedizione di Giacobbe al capitolo 49 del libro della Genesi): Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar, Zabulon, Giuseppe, Beniamino, Dan, Nèftali, Gad e Aser (Nm 26-5-51). Inoltre, nel libro dei Numeri (7,10s.), si legge che furono presentate le offerte per la dedicazione all’altare, a partire dal giorno in cui esso fu unto: ogni giorno che seguì, fino al dodicesimo, fu presentata un’offerta da parte di un rappresentante di ciascuna delle tribù d’Israele.

Il dodici rimane fondamentale anche in senso escatologico: in modo prospettico, Ezechiele immagina nella nuova Gerusalemme una grande cinta muraria con dodici porte (Ez 48,31-35), lo stesso numero quindi delle tribù d’Israele, adesso disperse a causa dell’esilio e della distruzione del tempio per mano dei babilonesi. Ogni porta avrà infatti il nome di ognuna delle tribù d’Israele.

Una delle 12 tombe rinvenute era molto speciale perché era a piramide; questo particolare è già di per sè straordinario perché solo i faraoni e le regine avevano tombe a piramide, però il cadavere sepolto in questa tomba non era un re; ciononostante ha ricevuto gli stessi onori, infatti all’interno della cappella mortuaria c’era una statua dalla cui analisi si è scoperto che l’uomo aveva i capelli rossi e la pelle pallida come veniva raffigurata la gente del nord. Aveva un bastone da lancio dietro la schiena, segno distintivo del lavoro realizzato per l’ufficiale asiatico, e viveva nella terra di Goshen.  Un altro particolare che emerge dall’analisi della statua è dato dai residui del colore delle righe colorate di un cappotto dai molti colori e questo elemento corrisponde esattamente al racconto biblico di Giuseppe. Dal racconto biblico emerge che il cappotto colorato è un dono che dimostra che egli era il preferito del padre e questo rapporto diventa quasi il suo emblema. In Egitto non sono state rinvenute altre statue di semiti dello stesso tipo.

Nel mondo scientifico, tuttavia, David Rohl non è l’unico a vedere un collegamento tra Giuseppe e la città di Avaris; il professor Charles Aling, infatti, egittologo che ha studiato gli eventi dell’Esodo e la loro correlazione con l’Egitto, sostiene non essere insolito che una tomba contenga una statua ma la cosa insolita è la presenza di una statua così grande. È probabilmente il doppio di un normale essere umano e ciò significa che si trattava di una persona molto importante. Non è la tomba di un faraone ma la nazionalità di quest’uomo può essere individuata osservando i frammenti della statua. In particolare tre cose: l’acconciatura, l’arma dietro la schiena chiamata bastone da lancio, e la colorazione chiara della pelle. Tutti questi elementi indicano che fosse un siro-palestinese; pertanto  o si tratta di Giuseppe oppure è una persona con una carriera enormemente simile a quella di Giuseppe, cosa incredibile da trovare in questo periodo storico.

Il racconto biblico ci dice che con l’aiuto di Dio Giuseppe ha potuto salvare l’Egitto avvertendo il faraone di una calamita incombente: 7 anni di abbondanza e successivamente 7 anni di terribile carestia. Dalla visione che Giuseppe ha avuto in sogno emerge la grande importanza rivestita dal Nilo che è causa dell’abbondanza e della carestia. Infatti la regolazione delle acque del Nilo sarebbe stata cruciale nei preparativi per affrontare la carestia. C’è  infatti un canale d’acqua che collega il Nilo al bacino di Fayyum, una grande area lacustre; tale canale, denominato Bahr Yussef  cioè il canale di Giuseppe, risale a migliaia di anni fa. È molto probabile che il luogo prenda questo nome perché realizzato sotto il comando di Giuseppe come visir di Egitto e realizzato per deviare buona parte delle acque del Nilo nel bacino di Fayyum in modo da avere acqua a livelli adeguati per la coltivazione. Il canale, ancora oggi usato, risale allo stesso periodo dei primi insediamenti ad Avaris.

Sempre dalla lettura della Bibbia sappiamo che durante la carestia l’Egitto è l’unico paese ad avere il pane. La popolazione inizia a chiedere a Giuseppe i mezzi per sopravvivere prima pagando con i soldi, poi vendendo gli animali, e infine vendendo le proprie terre o sè stessi; così che al termine dei 7 anni di carestia il faraone possiede tutto ciò che c’è in Egitto.

Ma quanto raccontato dalla Bibbia è realmente accaduto? È avvenuta qualcosa del genere in Egitto o Siria, un ribaltamento delle condizioni tra il popolo egiziano e il faraone?

Al riguardo soccorrono le teorie e le convinzioni di Bryant Wood – professore di ricerca biblica – secondo il quale studiando la storia dell’Egitto scopriamo che in un certo momento accade qualcosa di molto importante. L’Egitto era suddiviso in zone chiamate “hesep“, dai Greci definiti “nomi“, una specie di distretti che coprivano tutto il paese i cui governanti avevano una ricchezza enorme e un grande potere. In un certo momento nella storia d’Egitto, tutto ciò cambia improvvisamente e la ricchezza si concentra interamente nelle mani del faraone. Cosa è successo? Nei libri sulla storia egizia non c’è alcuna spiegazione. Non si sa cosa sia successo e come sia successo ma si tratta di un cambiamento sociale ed economico enorme. La risposta può essere rinvenuta, ancora una volta, nella Bibbia; la strategia di Giuseppe adottata per la carestia, infatti, porta tutte le ricchezze al faraone e questo si inserisce perfettamente nella storia d’Egitto. Sembra che ciò sia accaduto durante i regni di due importanti faraoni del Medio Regno; questo periodo risale, infatti, alla co-reggenza di Sesostri III e del figlio Amenemhat III. È molto probabile che questo sia il periodo della carestia e che Amenemhat fosse il faraone di Giuseppe. A riprova di ciò è la raffigurazione di una statua del faraone con una espressione preoccupata, le orecchie sono in fuori perché ascolti e non ha l’espressione piatta che si nota generalmente nella rappresentazione e nelle statue dei faraoni precedenti e successivi  ciò indicherebbe che nella sua epoca l’Egitto stava affrontando grandi difficoltà. Il faraone, inoltre, fece costruire la sua piramide proprio accanto al canale di Giuseppe.

La prima fase della sequenza biblica, quella dell’arrivo, sembra presentare pertanto delle prove che corrispondono al racconto biblico sembrano essere evidenti:  la casa in stile siriano comparsa nella zona del delta, il palazzo di maestosità regale abitato da un alto ufficiale semita proveniente dalla regione di Canaan che indossava un cappotto colorato, il canale che devia parte delle acque del Nilo fino al bacino di Fayum, che porta il nome di Giuseppe e la cui realizzazione appare contemporaneo all’ascesa di Avaris,  la fine del potere e della ricchezza dei governatori regionali e le nuove vette raggiunte dal potere del faraone con il trasferimento di poteri. Tutti questi elementi convergono in una delle statue che raffigura il faraone con una originale espressione preoccupata indizio rivelatore di un regno in difficoltà.

A questo punto ci si pone una domanda, perché non abbiamo sentito parlare di queste prove?

La risposta, sempre identica, risiede nello schema usato dagli studiosi per datare gli eventi, questi accadono troppo presto perché ci siano Israeliti. Dopo la tomba piramidale di Avaris gli scavi hanno portato alla luce un’altra prova molto importante; un indizio fondamentale che potrebbe rivelare che l’uomo con il cappotto colorato sia Giuseppe è indicato nel racconto dell’Esodo, infatti la Bibbia ci dice che in punto di morte Giuseppe chiede ai fratelli di portare il suo corpo nella terra promessa quando andranno via dall’Egitto. E tale circostanza è incredibile se si pensa che la tomba piramidale sia stata trovata vuota; dentro infatti non c’era nulla tranne i frammenti di una statua distrutta, non c’erano ossa, collane per mummie, né il legno del sarcofago e non si può pensare ad un tombarolo poiché non ruberebbe le ossa in quanto non hanno alcun valore sul mercato degli oggetti antichi e trafugati.  Il corpo infatti verrebbe preso solo da coloro per i quali avrebbe un grande valore ed è stato tirato fuori assieme a tutti i beni; è verosimile ipotizzare che quando Mosè porta via il popolo dall’Egitto vuole mantenere la promessa fatta a Giuseppe di riportare il suo corpo a Sichem  e seppellirlo nella terra promessa; non a caso nella antica città di Sichem a Canaan, Nablus in Cisgiordania c’è una tomba che l’antica tradizione vuole essere quella dove furono tumulate le ossa di Giuseppe portate dall’Egitto.

La moltiplicazione

Giuseppe muore così come i fratelli e tutta la loro generazione, gli Israeliti si moltiplicano fino a riempire la terra di Avaris, prima c’era una terra vergine disabitata dove all’improvviso si insedia un piccolo gruppo di Israeliti, circa 12 case per 70/100 persone in totale. Successivamente in un periodo di tre o quattro generazioni questa città divenne enorme una delle più grandi città del mondo antico. È una città abitata da stranieri nel delta del Nilo la cui esistenza è approvata dallo Stato Egizio. In questa epoca non ci sono chiavi, stiamo parlando semplicemente dell’arrivo di Israeliti/semiti che si insediano qui con i loro greggi e prosperano fino a diventare piuttosto ricchi.

Come confermato anche dall’egittologo James Hoffmeier, sappiamo che c’era una popolazione di lingua semita, venuta probabilmente dalla Siria, dalla terra di Canaan,  nella prima parte del secondo millennio a.C.. I resti della civiltà sono stati trovati in molti siti, sono state trovate tombe chiaramente straniere, di semiti e lo si evince dalle ceramiche e dal tipo di armi; in alcuni casi sono stati sepolti anche gli asini e questa non era una pratica egizia. Non possiamo affermare con certezza che si tratti di ebrei ma all’epoca non avremmo distinto un ebreo da uno di Canaan, almeno dal punto di vista culturale.

John Bimson, professore di antico testamento presso il Trinity college di Bristol e specialista di storia e archeologia biblica, vede una chiara correlazione tra la crescita degli Israeliti nel delta e il racconto biblico. Secondo lui erano almeno 20 gli insediamenti nel territorio di Goshen, dove vivevano gli ebrei secondo la Bibbia e molti di questi siti non sono ancora stati scavati né se ne conosce la grandezza finché non si inizierà a scavarli.

L’archeologia dimostra la presenza di un numero enorme di semiti stanziati in Egitto solo nel primo periodo del Medio Regno. C’è una differenza enorme con il Nuovo Regno e l’epoca di Ramses, per le quali non ci sono prove di abitanti semiti.

Il Medio Regno presenta prove della fase successiva della sequenza biblica, la schiavitù?

La Schiavitù

Un nuovo faraone sale al potere, non ricorda più Giuseppe e riduce in schiavitù il suo popolo che sta diventando troppo numeroso, quindi una minaccia; così li costringe con la forza a lavorare per lui per costruire le città deposito di Pitom[12] e Ramses e li costringe a fabbricare mattoni di fango e paglia.

Ma esistono prove archeologiche della riduzione degli Israeliti in schiavitù? Secondo il professor Rohl nell’ambito della popolazione rinvenuta nella città di Avaris c’era una situazione di ricchezza seguita da una perdita di ricchezza accompagnata  dalla riduzione della popolazione. Nelle ossa di queste persone iniziamo a vedere le linee di Harris[13],  che indicano la penuria di cibo e sostanze nutritive. Questo popolo si è improvvisamente impoverito e generalmente raggiunge una età massima di 32/34 anni. Come possiamo spiegare tutto questo? Quale meccanismo ci fa capire perché vivessero così poco? La risposta ovvia è la schiavitù.

La Bibbia poi ci dice che più gli ebrei erano oppressi più si moltiplicavano e si diffondevano nei territori dell’Egitto. Così il faraone ordina agli egiziani di prendere tutti i neonati maschi e gettarli nel fiume; è durante questo periodo che nasce Mosè il cui nome significa salvato dalle acque e la cui storia conosciamo bene.

Anche in questo caso ci si pone una domanda: nell’archeologia egizia esistono prove corrispondenti all’informazione biblica della uccisione dei neonati Israeliti?

Da un certo momento si inizia a vedere un aumento del numero di tombe infantili nel sito. Generalmente, in un tipico cimitero della media età del bronzo troviamo il 25% di sepolture di bambini. In questo caso, la cifra è straordinariamente alta. Nella relazione di scavo della città di Avaris del professor Bietak si parla di un tasso estremamente alto di mortalità dei neonati. Dopo aver individuato tutte le tombe di bambini sotto i 10 anni di età, si è osservato che circa il 50% era morto nei primi tre mesi di vita. Potrebbe esserci stata una epidemia che ha colpito soprattutto i neonati. Ma le analisi delle tombe di chi ha raggiunto l’età adulta ha rivelato che il 60% erano donne e il 40% uomini; pertanto la mortalità sembra aver colpito in modo maggiore la porzione maschile della popolazione infante. L’enorme aumento di sepolture di bambini ad Avaris, tra l’altro di neonati maschi,  può essere una prova della uccisione dei neonati Israeliti maschi riportata nella Bibbia?

Esiste un documento straordinario, il cosiddetto papiro di Brooklyn, che contiene l’elenco degli schiavi domestici di una tenuta. Sono state ritrovate 100 persone elencate come schiavi in Egitto e, osservando i loro nomi, ci si accorge che il 70% è di origine semita. I nomi Israeliti saltano subito all’occhio : Menahem, Issachar, Asher, i nomi di due delle tribù di Israele. Anche Sifra, il nome di una levatrice ebraica nella storia dell’esodo, compare in questo documento. Sono tutti schiavi ebrei, Israeliti e sono riportati in un papiro della XIII dinastia, non della XIX dinastia non dell’epoca di Ramses II durante il Nuovo Regno ma della XIII dinastia durante il Medio Regno. Come anche sostenuto dal prof. Rohl, tutte queste sono prove concrete dell’epoca in cui gli Israeliti si trovavano in schiavitù in Egitto. Quando trovi un testo, hai trovato la storia. Nella archeologia devi interpretare, ma un testo è una cosa completamente diversa.

Con Età del Bronzo si intende una espressione per indicare[14], nel quadro della storia dell’umanità, la fase intermedia tra l’Età della Pietra e quella del Ferro.

Il concetto di età dei metalli è oggi ritenuto puramente convenzionale, in quanto riunisce in un’unica definizione:

  • le età del Rame o eneolitica o calcolitica –> tra il 3500-2300 a.C. per la maggior parte dell’Europa),
  • l’età del Bronzo –> 2300-700 a.C.
  • l’età del Ferro –> dal 700 a.C.,

considerando in maniera esclusiva la diffusione della metallurgia quale elemento caratterizzante, a livello tecnologico e socio-economico, di realtà effettivamente ben più complesse.

Un altro particolare che si può desumere dall’analisi del papiro di Brooklyn è che l’elenco di schiavi contenuto nello stesso contiene soprattutto donne il che trova corrispondenza con l’evidenza archeologica delle prove tombali rinvenute ad Avaris.

Perché molti archeologi ignorano il papiro di Brooklyn?

Il motivo è sempre identico: sebbene tutti accettino che sia un elenco di schiavi semitii e che i nomi in esso contenuti siano nomi Israeliti, gli schiavi non possono essere Israeliti perché non è l’epoca giusta; gli Israeliti secondo la concezione temporale arrivarono molto dopo.

Il Giudizio

La Bibbia racconta che Mosè scappò nella terra di Madian dove visse 40 anni come pastore prima di incontrare Dio. Mosè vede un roveto che brucia ma non si consuma e preso dalla curiosità si avvicina per vedere cosa sta succedendo e Dio gli dice: non avvicinarti togliti i sandali perché il luogo sul quale stai è una Terra Santa. Dio aggiunse ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto, ho udito il suo grido. Come un pastore che recupera le sue pecore Dio ordina a Mosè  di tornare in Egitto e di dire al faraone lascia partire il mio popolo perché mi possa servire.  Mosè si reca dal faraone e il faraone non lo ascolta, si rifiuta di liberare il popolo ebraico e Dio scatena una serie di piaghe impressionanti contro le terre d’Egitto.

Come affermato dall’egittologo James Hoffmeier, molti storici, archeologi, religiosi credono che l’esodo non sia realmente avvenuto o quantomeno non con le modalità riportate nella Bibbia, essi pensano che sia più importante comprendere il significato dell’esodo, la morale dell’Esodo; credono che il concetto dell’Esodo e della rivelazione sia fondamentale nella tradizione ebraica. Tuttavia pensano che ciò non significa che sia necessario credere che la Torah ne fornisce un resoconto storico;  non credono che la Torah sia un libro di fatti bensì di significati.

Una opinione differente viene espressa dal prof. John Bimson secondo il quale la storia e la teologia  sono fortemente correlate nella Bibbia; togliere il fondamento storico significa eliminare considerevolmente la verità teologica. Molto di ciò che racconta il Nuovo Testamento su Dio e sul suo scopo nella chiamata di Israele si intreccia con la storia di questo popolo che fugge dall’Egitto e arriva alla terra promessa così come è realmente accaduto nella storia.<

Se il giudizio fosse avvenuto come descritto nella Bibbia la società egiziana sarebbe collassata, avrebbe perso le coltivazioni, i primogeniti, la forza lavoro degli schiavi e buona parte dell’esercito.

In effetti Mosè ci dice che l’Egitto soffriva per gli effetti della sconfitta ancora 40 anni dopo l’esodo. Una prova del caos nel quale sarebbe precipitata la società egizia potrebbe essere rappresentata da un papiro custodito nel Museo di Leida in Olanda[15].

Le descrizioni contenute in tale papiro presentano, secondo alcuni studiosi, una notevole somiglianza con le piaghe della Bibbia vissute, questa volta, dal punto di vista degli egiziani. Redatto da uno scriba di nome Ipuwer  il papiro è noto come le “ammonizioni di un saggio egizio” e descrive in forma poetica una serie di calamità e il conseguente caos che ne scaturisce. Non si sa chi fosse Ipuwer  ma era certamente una persona in grado di rivolgersi al faraone. Il papiro contiene un resoconto molto vivido e preciso di ciò che accadde in Egitto quando il potere centrale crollò. Molti ritengono che il crollo del potere in Egitto sia esattamente la conseguenza delle piaghe legate all‘esodo, tuttavia le somiglianze tra il racconto del papiro e quello biblico sono notevoli.

Osserviamo le similitudini tra la Bibbia e il papiro:

Bibbia: Per convincere il faraone Dio dice prenderai l’acqua del Nilo e la verserai sulla terra asciutta, l’acqua che avrai preso diventerà sangue sulla terra asciutta.
Papiro: Guardate, l’Egitto è caduto per l’acqua versata e colui che ha versato l’acqua sul terreno ha portato il potente alla miseria.
Bibbia: Tutte le acque che erano nel Nilo si mutarono in sangue. I pesci che erano nel Nilo morivano e il Nilo ne divenne fetido, così che gli egiziani non poterono più berne le acque.
Papiro: Nel fiume scorre sangue. Se lo berrai, perderai la tua umanità e la tua sete d’acqua.
Bibbia: Tutto il bestiame degli egiziani morì. Un fuoco guizzò sul paese e il Signore fece piovere grandine su tutto il paese d’Egitto. Ora il lino e l’orzo erano stati colpiti.
Papiro: l’Orzo dell’abbondanza  non c’è più, le scorte di cibo scarseggiano. I nobili soffrono e sono affamati. Chi prima aveva riparo ora è nelle tenebre della tempesta.
Bibbia: A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono, fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo.
Papiro: Guardate, le piaghe si diffondono per tutto il paese, il sangue scorre copioso, i cadaveri abbondano. L’uomo che seppellisce il fratello nella terra è ovunque. Che dispiacere per il dolore di questa epoca.
Bibbia: un grande grido scoppiò in Egitto perché non c’era casa dove non ci fosse un morto.
Papiro: il pianto e il lamento si alzano da tutto il paese.

La famosa egittologa Miriam Lichtheim, ormai scomparsa, ha smentito la possibilità che il papiro si riferisca ad una vera calamita nazionale; secondo lei la descrizione del caos contenuta nel papiro è intrinsecamente contraddittoria e pertanto storicamente impossibile. Da un lato si dice che la terra soffra di una penuria completa, dall’altro lato si dice che i poveri diventano ricchi, indossano abiti eleganti ed entrano in possesso di tutto ciò che era nelle mani dei loro padroni.

Se tuttavia leggiamo il racconto biblico diventa chiaro come questa contraddizione apparente possa essersi realizzata.

Bibbia: Mosè disse agli Israeliti di chiedere agli egiziani gioielli d’oro e d’argento e vestiti.
Papiro: Le persone sono spogliate dei loro vestiti. Lo Schiavo prende tutto ciò che trova. Oro, lapislazzuli, argento e turchese ornano il collo delle schiave.

L’elemento che l’archeologa Miriam Lichtheim riteneva contraddittorio, e quindi teoricamente impossibile, è in realtà lo stesso elemento che corrisponde più nello specifico al testo biblico.

Se si osserva la grammatica del papiro e le figure letterarie è fuori da ogni dubbio che sia stato composto durante il Medio Regno ossia circa 600, 700, 800 anni prima di quanto in modo convenzionale venga posto il discorso e l’episodio dell’Esodo.

Pertanto diventa evidente che se si cercano le prove dell’esodo nel periodo storico sbagliato non se ne trovano. Per decenni la maggior parte degli appartenenti al mondo scientifico erano convinti a lasciar perdere la Bibbia sulla base di un unico elemento, la cronologia storica, le date presunte dell’Esodo e la mancanza di prove risalenti al periodo di Ramses II; ma se l’esodo fosse avvenuto molto prima significherebbe che tutti si sbagliano. Sbagliando sul faraone e forse anche sulla negazione del fatto che l’esodo non sia mai avvenuto.

A Luxor esiste un monumento fatto erigere pochi anni dopo la morte di Ramses dal figlio Merenptah. Tale monumento e le iscrizioni ivi riprodotte sono importanti perché dimostrano che Ramses non poteva essere il faraone dell’Esodo, perché nell’epoca in cui egli visse Israele era già una nazione fondata nella terra di Canaan. Tale stele è conosciuta anche con il nome di stele d’Israele e prova, per bocca dello stesso faraone, che in quel periodo Israele fosse già uno Stato. Nella stele il faraone dapprima elenca i paesi sottomessi e i paesi in situazione di pace. Nella parte inferiore si trovano tre righe, fondamentali perché rappresentano un collegamento con la Bibbia, nelle quali viene fatta menzione di Is-ra-el ed è l’unica volta che questo nome compare su un monumento egizio. Dopo la parola Israele vi sono due figure sedute di un uomo e una donna con tre barre che rappresentano il plurale e ciò ha il significato di popolo o stato, quindi, di Israele. Poi un’altra parte altrettanto interessante dice: Israele ha portato la distruzione, il suo seme non c’è più. Questo è un modo poetico, generalmente usato dai faraoni, per dire che sono stati sconfitti. Tale documento è importante perché se pensiamo che Ramses e il figlio vissero all’epoca dell’esodo di Mosè e Giosuè questa scritta non corrisponde perché non parla di tribù che vagano attorno al Sinai disperse nel deserto come durante le peregrinazioni di Mosè e Giosuè; l’iscrizione infatti parla di un ente politico ben definito e individuato.

Oltre alla stele di Merenptah c’è il riferimento a Israele in un altro reperto che è stato denominato “rilievo di Berlino” in quanto si trova nei musei statali di Berlino. In questo  reperto vi sono  raffigurati degli anelli  con un nome, ognuno di questi nomi rappresenta un nemico teoricamente sconfitto dal faraone, tutti nella regione di Canaan.  In uno di questi anelli si rinviene anche il nome di Israele.  Ora poiché il reperto risale a circa il 1360 a.C. questo rende impossibile una data più recente dell’esodo poichè questo risale a 100 anni prima. Anche quest’altro reperto, pertanto, può essere considerato una prova davvero fondamentale perché dimostra che gli Israeliti erano già andati via e si trovavano a Canaan ed erano nemici dell’Egitto prima di quello che tradizionalmente viene definito l’esodo di Ramses, perciò Ramses non può essere stato il faraone dell’Esodo.

L’egittologo Kent Weeks sostiene che non vi è alcuna prova che nel regno di Ramses II ci sia stato un calo importante nella potenza dell’esercito o nel benessere economico del Paese. Mancano prove di ciò anche relativamente al regno di Merenptah; questo periodo, infatti, presenta una grande stabilità che nega il fatto che siano avvenute gli avvenimenti riportati dalla Bibbia. Tuttavia c’è un altro particolare che appare essere di grande importanza e che viene sottovalutato o, comunque,  trascurato dalla maggior parte di coloro si apprestano allo studio dell’esodo, infatti la stessa Bibbia contiene un passaggio ignorato che data l’esodo centinaia di anni prima del regno del faraone Ramses. La Bibbia, infatti, dice che erano passati 480 anni tra la costruzione del Tempio di Salomone e l’esodo; secondo molti esperti, il regno di Re Salomone inizio nel 970 a.C. perciò 480 anni prima corrisponderebbero al 1450 a.C. come data dell’Esodo cioè almeno 200 anni prima del regno di Ramses e dell’esodo che la comunità archeologica vorrebbe in tale periodo.

Il professor John Bimson sostiene che, in realtà, il collocare l’esodo all’epoca del faraone Ramses si basa su indicazioni inconsistenti ma è quella alla quale guarda la maggior parte degli studiosi soprattutto per convenzione o abitudine. I periodi precedenti non vengono presi in considerazione e questo è il motivo principale per cui non si rinvengono prove del racconto dell’Esodo nel periodo di Ramses.

Se si vogliono rinvenire prove più convincenti, infatti, bisogna cercare oltre la teoria dell’esodo di Ramses. Ciò significa che gli eventi dell’esodo raccontati dalla Bibbia possono essere collocati almeno 200 anni prima. La nuova data biblica del 1450 a.C. separa comunque di 200 anni gli eventi dallo schema egiziano tradizionale.

Se cerchiamo nel Medio Regno si rinvengono prove o indizi che dimostrino un avvenimento come quello dell’esodo?

L’esodo

Gli archeologi che scavano nella zona della città di Avaris hanno trovato un sacco di fosse nelle quali ci sono corpi che sono stati buttati lì. Non hanno ricevuto sepolture formali, non ci sono oggetti o corredi funerari o cose simili, i corpi sono stati gettati uno sull’altro, sono disordinati con mani e braccia incrociate. Così come fa il professor Rohl, la domanda che viene da porsi è: cosa è successo lì? Il professor Bietak ritiene che si trattasse di una specie di piaga, di una epidemia, un evento gravissimo per cui si dovesse procedere a sepolture rapide per evitare la contaminazione della popolazione, si tratta di sepolture di emergenza. Poi, all’improvviso, tutti i semiti che vivevano lì se ne vanno, abbandonando il monticello. Non conosciamo i tempi precisi ma il sito cade in rovina.

Sembra proprio la storia dell’esodo?

Ma c’è di più; 190 km a sud di Avaris, un’altra struttura simile abbandonata è stata scoperta nella città di Kahun[16].  Infatti è stato trovato un insediamento protetto da mura che ospitava un grande numero di semiti. Sono stati trovati dei documenti sulla schiavitù. Gli abitanti sembrano essere scomparsi misteriosamente da un giorno all’altro. Secondo la professoressa Rosalie David egittologa dell’università di Manchester l’abbandono della città fu improvviso e imprevisto. I beni furono trovati nelle strade e le case vennero lasciate così come erano prima di essere ricoperte dalle sabbie del deserto per secoli.

Uno dei momenti fondamentali della storia d’Egitto è la caduta della civiltà egizia. Quando i sovrani Hyksos[17],  invasori venuti dall’estero, arrivano per distruggere il paese, annientando completamente il potere egiziano, l’Egitto è in ginocchio. Le prove archeologiche del periodo ci raccontano questo e avviene solo una volta in 1000 anni di storia d’Egitto. Come sostenuto dal professor Bimson possiamo collegare questo episodio a una tradizione celebre raccontata dal sacerdote egiziano Manetho, il quale scrisse una Storia d’Egitto nel III secolo a.C.; egli dice che durante il regno del re Dudimose, uno degli ultimi re della tredicesima dinastia, Dio distrusse gli egiziani. Il fatto che dica Dio è particolare, perché ci aspetteremmo di leggere gli Dei distrussero gli egiziani, ma non è così. Poi, a causa di questa distruzione, qualsiasi essa fosse,  degli stranieri,  un popolo dalla razza ignota, invadono l’Egitto da nord e conquistano il paese senza infierire un colpo, come dice il sacerdote. Perché mai? Perché Dio aveva distrutto gli egiziani. E come mai senza infierire colpo? Era successo qualcosa che aveva devastato l’Egitto e lo aveva reso incapace di difendersi, permettendo alle orde di conquistarlo interamente. Questo è detto il periodo degli Hyksos che schiavizzarono gli egiziani  i quali avrebbero potuto difendersi con il loro esercito potente. Però, come vuole il racconto biblico, Dio aveva distrutto gli egiziani.

La Conquista

Ma cosa succede nell’ultima frase della sequenza biblica, la conquista di Canaan, la terra promessa ad Abramo e ai suoi discendenti? Lo schema di prove precedente può essere applicato anche qui?

Gli israeliti lasciano l’Egitto e si recano verso il monte Sinai dove ricevono la legge divina e stringono l’alleanza diventando il popolo di Dio. Poi, dopo 40 anni di peregrinazioni, Mosè trasferisce la sua autorità a Giosuè, si reca sul monte Nebo dove va a morire.
Gli Israeliti avevano atteso per secoli il compimento della promessa e ora sarebbe stato Giosuè a guidarli nella conquista di Canaan.

La terra di Canaan era molto diversa dall’Egitto, era governata da molte città stato indipendenti chiamate Hazor, Gerico, Hebron, Arad.

La storia di questa città è stata suddivisa in due periodi principali: la media età del bronzo, corrispondente al Medio Regno d’Egitto, nella quale prosperarono e costruirono altre fortificazioni. Poi la terra fu colpita da incendi e devastazioni improvvise, che ridussero le città in rovina e aprirono il periodo conosciuto come tarda età del bronzo che corrisponde al Nuovo regno d’Egitto.

L’archeologa Norma Franklin dell’università di Haifa e l’archeologo Israel Finkelstein dell’università di Tel Aviv negano l’esistenza di un esodo di massa collegato a prove, che affermano essere inesistenti, riguardanti città della tarda età del bronzo.

Questo è un problema importante per la fase della conquista se la stessa fosse avvenuta durante la tarda età del bronzo. E se invece avesse avuto luogo durante la media età del bronzo?

È sembrato logico partire dall’importante sito di Gerico, la prima città che gli Israeliti avrebbero distrutto. Sappiamo esattamente dove si trovava. Gli scavi archeologici estensivi di Gerico iniziarono nei primi anni del ‘900 con un team tedesco guidato da Ernst Sellin al quale seguì un team britannico guidato da John Garstang  negli anni ‘30. All’epoca degli scavi entrambi credettero di aver scoperto uno strato di distruzione corrispondente alla Bibbia; le cose però presero una piega inaspettata con gli scavi di Kathleen Kenyon negli anni ‘50. Lei dimostrò che non esistevano prove di una distruzione di Gerico corrispondente a quella della Bibbia perché la caduta della città sarebbe risalita a molti anni prima. Ancora una volta, quindi, l’esclusione sulla base di un posizionamento dell’esodo all’epoca di Ramses durante la quale, però, non sono state rinvenute prove di scavo che ne potessero confermare l’esistenza; al contrario, come visto precedentemente, le uniche prove rinvenute vanno nel senso opposto di confermare che all’epoca di Ramses già esisteva lo Stato di Israele.

Lei si aspettava che eventuali prove risalissero alla tarda età del bronzo, ma non ce n’erano. Secondo la teoria di Bimson, infatti, se gli Israeliti fossero arrivati nel XIII secolo non avrebbero trovato nessuno nemmeno muri da abbattere. Non sarebbe stato fedele al racconto biblico.

La distruzione di Gerico, il suo incendio o l’abbattimento delle Mura accaddero davvero?

Se si assume che Gerico non esisteva nell’epoca in cui Giosuè conquistò la terra promessa e quindi Giosuè è un personaggio inventato e la conquista una storia inventata e di conseguenza anche l’esodo perché non ci poniamo una semplice domanda: in quale epoca esisteva Gerico?  Quando è stata distrutta? È da qui che bisogna partire seguendo le teorie del professor Davis Rohl.

Secondo la Bibbia la conquista inizia quando gli Israeliti attraversano il fiume Giordano. Giosuè invia degli uomini a perlustrare l’enorme città fortificata di Gerico e lì incontrano una prostituta di nome Rahab che dice loro che tutti avevano saputo ciò che Dio aveva fatto per gli Israeliti ed erano tutti terrorizzati. Lei nasconde le spie e le aiuta a fuggire verso i monti.

Quali prove corrispondono alla distruzione di Gerico?

Secondo Bryant Wood archeologo – membro dell’associazione per la ricerca biblica – prima di tutto la Bibbia ci dice che Gerico era fortificata e quando gli archeologi scavarono la città scoprirono che il basamento su cui era stata costruita era circondato da un enorme terrapieno.

Quanto detto da Wood corrisponde ai fatti; gli archeologi, infatti, scoprono che Gerico era protetta da un sistema difensivo geniale. Alla base c’era un muro di contenimento in pietra alto più di 4,5 metri con mura di prolungamento ancora più alte realizzate in mattoni di fango. Oltre queste mura c’era il terrapieno, un ripido pendio ricoperto di una superficie scivolosa di intonaco nel quale gli invasori sarebbero stati colpiti da frecce e pietre. Al di sopra del terrapieno si trovavano le mura principali della città, realizzate anche queste in mattoni di fango alte più di 7,5 metri e spesse 3 metri.

La Bibbia ci dice che giorno dopo giorno, per 6 giorni, il popolo d’Israele cammina attorno alla loro città trasportando l’Arca dell’Alleanza e suonando corna di ariete. Poi, il settimo giorno, gli israeliti fanno 7 giri attorno alla città e i sacerdoti emettono un lungo suono con i loro corni. La gente si scatena con un grido possente, le mura iniziano a crollare permettendo agli Israeliti di arrampicarsi nella città, per occuparla e dare il via alla conquista della Terra d’Israele.

È sempre Wood a sostenere che, una volta soggiogata la città, le spesse mura di mattoni crollarono e caddero alla base del muro di contenimento di pietra. La stessa Kenyon lo descrive nel dettaglio nelle sue relazioni di scavo; poi, secondo i racconti, incendiarono la città ed è esattamente ciò che è stato riscontrato. Gerico è stata distrutta da un enorme incendio; secondo la Kenyon era chiaro che all’interno della città anche i muri dei palazzi erano caduti e afferma che fossero caduti prima dell’incendio. Perciò le prove archeologiche raccolte, relative alla distruzione di Gerico, corrispondono alla sequenza che leggiamo nella Bibbia: prima il crollo delle mura, poi l’incendio della città appiccato dagli Israeliti.

Gli scavi del sito hanno portato alla luce prove evidenti di una enorme devastazione dovuta al fuoco, grazie a uno strato molto spesso carbonizzato a temperature altissime. Ciò ha portato la Kenyon ad attribuire l’incendio ad un attacco nemico e non ad incendi conseguenti ad un terremoto.

La Kenyon ha affermato che la città sia stata distrutta dagli egiziani intorno al 1550 a.C. ma, come lo stesso Wood conferma, non esiste alcuna prova che gli egiziani si trovassero nella valle del Giordano in quella epoca.

Dal momento che la Kenyon ha datato la distruzione di Gerico 150 anni prima del presunto arrivo degli Israeliti, lei non vede collegamenti tra la costruzione e il racconto biblico. Ma, ancora una volta, questa data corrisponde allo schema precedente.

Vi è un altro elemento da considerare; all’interno della città è stata fatta una scoperta incredibile. Sia Garstang che la Kenyon trovarono nelle case scavate molte giare piene di cereali di scorta.

Secondo il professor Bimson le giare piene stanno ad indicare che il racconto era stato appena fatto. I dettagli del racconto biblico indicano che l’evento è accaduto in primavera e lungo la valle del Giordano questa è la stagione del raccolto, del racconto di cereali ed è per tale motivo che le giare erano ancora piene di cereali e non, al contrario, quasi vuote o vuote del tutto.

Dopo aver attraversato il Giordano, la prima cosa che fanno gli Israeliti è festeggiare la Pasqua ebraica. E quando cade la Pasqua? Proprio in primavera.

Le Giare piene indicano un altro particolare; che se ci fu un assedio, fu molto breve, cosa insolita per una città con fortificazioni come quelle di Gerico.

Ciò corrisponde ai sette giorni del racconto biblico altrimenti il popolo della città avrebbe consumato molti più cereali se l’assedio fosse durato mesi. I cereali erano in ogni casa scavata.

Un altro elemento affascinante relativo a Gerico che corrisponde quasi perfettamente al racconto biblico riguarda la promessa fatta alla prostituta che aiutò gli Israeliti. Lei viveva nelle mura della città e dopo averle nascoste le spie le promisero che lei e la famiglia sarebbero stati protetti quando avrebbero attaccato la città e così mantennero la loro promessa. La Bibbia ci dice che lei calò una cordicella rossa fuori dalla finestra per segnalare casa tua. Ma se la sua dimora si trovava nelle mura della città, come ha fatto a sopravvivere in considerazione della completa devastazione della città? La relazione archeologica del 1913 dell’archeologo tedesco che fece gli scavi a Gerico, Sellin, contiene planimetrie e fotografie dettagliate anche di una zona che corrispondeva alla storia della prostituta in modo inaspettato.

I tedeschi scoprirono che in un piccolo tratto di muro nella parte settentrionale la città c’erano case costruite sul terrapieno tra le mura inferiori e quelle superiori e alcune di queste case erano costruite proprio a ridosso delle mura inferiori. Scoprirono che questo tratto di mura non era crollato. Questo ci fornisce una spiegazione di come le spie salvarono la prostituta e la sua famiglia. Dio fece crollare tutte le mura tranne nel tratto in cui si trovava casa sua.

La conquista riguarda anche altre città della zona di Canaan e Giosuè successivamente va verso nord e verso la città di Hazor[18] il cui re unisce tutti i re della Regione contro Israele ma Giosuè conquista la città e colpisce il suo re con la spada e distrugge la città con il fuoco. Ad Hazor è stato rinvenuto uno strato carbonizzato contemporaneo alla distruzione di Gerico. Ma nella città gli archeologi trovarono anche altro. Sono state rinvenute, infatti, delle tavolette nel palazzo della media età del bronzo del re che porta lo stesso nome del re che Giosuè ha colpito con la spada nel racconto biblico. La tavoletta con scritta cuneiforme rinvenuta contiene il nome di Iabin trovata tra i resti del palazzo dell’antica città di Hazor.

A questo punto ci si chiede se esiste un collegamento tra il contenuto della tavoletta e il racconto biblico.

Secondo Rohl c’è un nome identico, c’è una tavoletta trovata nel terreno che riporta il nome di Iabin, nella storia biblica di Giosuè egli uccide il re Iabin di Hazor.

Conclusioni

Ora, dopo una analisi di quello che è il racconto biblico insieme alle risultanze archeologiche e di scavo nei diversi siti teatro del racconto dell’Esodo è possibile giungere ad una conclusione, del tutto personale ma per questo non priva di fondamento fattuale. Per deformazione professionale vorrei applicare il criterio di valutazione delle prove usato in ambito giuridico e di indagini forensi senza che questo si discosti dal criterio generale di valutazione delle prove archeologiche.

In generale la prova indiziaria o indizio si contrappone alla prova rappresentativa e vuole che l’esistenza del fatto da provare si ricavi attraverso una relazione costituita o da leggi scientifiche o da una massima di esperienza.

L’esistenza di un fatto non può essere dedotta, infatti, da indizi a meno che questi non siano gravi precisi e concordanti. Un indizio è grave quando è dotato di un grado di persuasività elevato e riesce a resistere ad eventuali obiezioni; è preciso quando non è suscettibile di diverse interpretazioni; è concordante quando ciascun indizio confluisce nella stessa direzione di tutti gli altri.

Nel caso dell’Esodo molteplici indizi, che si possono considerare gravi precisi e concordanti, assieme a prove incontrovertibili, contribuiscono a rendere oltremodo plausibile non solo l’ipotesi dell’avvenuto Esodo del popolo ebraico ma anche e soprattutto a raccontarci tempi e modalità, oltre che riflessi storici ed economici, che nella Bibbia sono riportati in maniera pressoché identica e precisa.

Le prove corrispondenti al primo momento della storia biblica, quello dell’arrivo, sembrano essere notevoli: la casa in stile siriano nella zona del delta del Nilo, l’importante palazzo di stile egizio abitato da un semita, la tomba a piramide con una statua dai caratteri semiti e il cappotto colorato come nel racconto biblico, il canale di Giuseppe dello stesso periodo della città di Avaris, la fine del potere e della enorme ricchezza dei governatori regionali, la contemporanea crescita del potere e ricchezza del faraone, la raffigurazione delle statue del faraone con una espressione preoccupata indizio rivelatore di un periodo di gravi difficoltà per il Paese. Così anche il successivo periodo del racconto biblico, quello della crescita del popolo ebraico, è provato dal rinvenimento di tombe chiaramente straniere, di semiti come si evince dalle ceramiche, dai pugnali non di tipo egizio; in alcune sepolture sono stati ritrovati anche degli asini e questa non era una pratica egizia bensì semita; sono venute alla luce prove di un numero enorme di semiti tanto che la città di Avaris raggiunse i 250 ettari di estensione per circa 30.000 abitanti. A quanto pare tali prove solide sono indicazione della rapida espansione della popolazione semita della città di Avaris che è da considerarsi l’unico momento, nella storia d’Egitto, per il quale si hanno prove di un simile dominio semita sul delta del Nilo. Dai reperti rinvenuti nella città di Avaris emerge che all’inizio i semiti sono liberi, potenti e ricchi, successivamente cadono nella povertà e nella malnutrizione. Il numero di sepolture di bambini aumenta improvvisamente. Un papiro elenca una serie di nominativi di schiavi della fine di questa epoca, molti dei quali hanno nomi ebraici. Tutto questo avviene 400 anni prima di quanto ci si aspetterebbe con l’esodo di Ramses che è l’epoca tradizionalmente stabilita da buona parte della comunità di archeologi ma che viene riconosciuto, da altra parte della comunità, come il motivo principale per cui in quel periodo non si rinvengono prove dell’esodo.

Quanto, poi, utilizzabile relativamente alle fasi bibliche del giudizio e dell’esodo, ovvero un papiro del Medio Regno che descrive degli eventi incredibilmente simili alle piaghe bibliche; fosse piene di cadaveri sepolti in fretta rinvenute nella antica città di Avaris, l’abbandono in massa dei centri semiti in Egitto, una fonte egizia, esterna alla Bibbia, che afferma che un Dio potente ha cambiato la storia d’Egitto infliggendo un colpo mortale seguito dalla invasione di un popolo straniero; tutto questo coincide con l’unico declino della società egiziana in 1000 anni. Secondo quanto sostenuto dal professor Bimson, pertanto, se si cerca un declino della civiltà egizia è lì che si trova Mosè e l’esodo.

Infine anche gli indizi relativi alla fase storica della conquista della Terra Promessa appaiono sostenuti dalle prove di una città con mura di cinta crollate, un incendio appiccato deliberatamente subito dopo il crollo delle mura, giare con cereali carbonizzati che provano un assedio breve e avvenuto in primavera, alcune case all’interno delle mura rimaste intatte come riporta la Bibbia; inoltre la Bibbia ci dice che Giosuè scagliò una maledizione contro chiunque avesse ricostruito la città e l’archeologia ci dice che la stessa restò abbandonata per secoli; tutto quanto, insomma, coincidente con il racconto biblico.

Alla luce di tutto ciò ci si pone una domanda legittima: e se tutte le prove del Medio Regno non fossero una coincidenza e l’esodo fosse davvero avvenuto e molto prima del regno di Ramses?  Per confermare questa ipotesi bisogna esaminare attentamente i dettagli del racconto biblico unitamente alle prove e agli indizi che emergono dalla ricerca storica e archeologica e, alla fine, sarà il pubblico, la gente a giudicare se si tratta di una teoria logica oppure no; in fondo nessuno conosce i segreti nascosti nelle sabbie dell’Egitto ed in attesa di nuove scoperte bisogna aprire la mente ad ogni nuova teoria, opinione, interpretandola autonomamente e scevra da influenze.


[1] citato in esodo 1:11
[2] James K. Hoffmeier – egittologo autore del libro “Israele in Egitto”
[3] Il termine semitico fu usato per la prima volta nel 1781 da A.L. Schlözer per designare le lingue parlate dalle popolazioni che un passo biblico (Genesi 10, 21-31) fa discendere da Sem, figlio di Noè, da cui il nome.
[4] La sostanziale unità linguistica semitica, che non presuppone l’esistenza del mitico protosemitico, si è formata nell’arco che va dalla Palestina alla Mesopotamia durante l’età neolitica e questa è la fase culturale riflessa dal più antico lessico semitico comune. Il periodo protostorico, con la creazione della civiltà urbana, vede manifestarsi profonde differenze culturali tra i diversi gruppi di semiti, peraltro sempre in contatto tra loro: le popolazioni urbanizzate di Palestina, Siria e Mesopotamia si distinguono da quelle seminomadi ai margini della cultura sedentaria ed entrambe si differenziano da quelle periferiche rimaste a lungo sia nella zona del Sinai (Nordarabici) sia a sud della Mesopotamia (Sudarabici).
[5] Ramses II fu il terzo faraone della XIX dinastia egiziana (regno 1279-1213 a.C.). Nel suo lungo regno (67 anni) dovette combattere per difendere le conquiste egiziane nella Siria-Palestina, minacciate dal re ittita Muwatalli. Lo scontro diretto tra i due sovrani si ebbe con la battaglia di Qadesh che, pur non essendo risolutiva, fu celebrata da Ramses come un trionfo personale. L’emergere della giovane e aggressiva potenza dell’Assiria spinse Ramses e il re ittita Shuppiluliuma alla pace. Il trattato, redatto in egiziano e in ittita, fu conservato nelle due capitali e la pace fu sancita dal matrimonio di Ramses con una principessa ittita. Nel lungo periodo che seguì Ramses si dedicò alle opere di pace. Fece costruire templi e sviluppò gli insediamenti in Nubia. In Egitto ampliò i templi preesistenti e ne costruì di nuovi con soluzioni architettoniche innovative e una netta preferenza per la statuaria monumentale. Trasferì la capitale da Tebe a Piramesse, nel Delta orientale, luogo di origine della sua famiglia e la aprì agli stranieri, mercanti, artigiani e diplomatici. Dei suoi quasi cento figli pochi gli sopravvissero e solo il tredicesimo (Merenptah) gli succedette.
[6] La parola “Torah” significa “insegnamento” in ebraico e disegna il Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Secondo la tradizione, la Torah è stata data al popolo d’Israele sul Monte Sinai. Contiene le leggi e i comandamenti insieme con la storia d’Israele dalla creazione del mondo fino alla morte di Mosè, prima dell’ingresso del popolo d’Israele in Terra Promessa.
Il primo libro, la Genesi (Bereshit: “In principio…”), racconta la storia dell’Uomo, dalla creazione alla vita di Giuseppe e il suo soggiorno in Egitto. Il secondo libro, l’Esodo (Shemot: “Nomi”), racconta la schiavitù del popolo d’Israele e la sua uscita d’Egitto. Il terzo libro, il Levitico (Vayikra: “Ed egli chiamò…”), tratta del culto. Il quarto libro, i Numeri (Bamidbar: “Nel deserto”), racconta la storia delle prove e delle rivolte degli Ebrei nel deserto. Il quinto libro, il Deuteronomio (devarim: “Parole”), riassume le leggi ebraiche e presente le ultime raccomandazioni di Mosè che muore prima dell’ingresso degli Ebrei in Terra promessa.<
[7] Si chiamano così i primi traduttori della Bibbia (Antico Testamento) in greco, dal numero propriamente di 72. Infatti secondo la Lettera di Aristea, a richiesta del re Tolomeo Filadelfo (285-247 a.C.) sarebbero venuti da Gerusalemme ad Alessandria d’Egitto settantadue uomini, sei per ognuna delle dodici tribù d’Israele, allo scopo di tradurre dalla lingua originale ebraica nella lingua greca la legge giudaica, la Torah, cioè non più che i cinque libri del Pentateuco.
[8] (Gen., XLVII, 27)
[9] (Gen., XLVI, 28-29)
[10] (Ex., I, 11)
[11] in cui, per esempio, il numero rappresentava l’universo nella sua complessità interna: il duodenario che caratterizza l’anno, e lo zodiaco; il dodici indica la pienezza dell’anno, composto di dodici mesi.
[12] è un’antica città egiziana situata nella parte orientale del delta del Nilo, presso la zona dei Laghi Amari. Il nome egiziano significa “casa di Atum” (Pi-Atum). Secondo il biblico Libro dell’Esodo (Es1,11) la città fu costruita dagli Ebrei ridotti in schiavitù, assieme alla città di Ramses. Più precisamente, mentre la città di Ramses fu fatta costruire dal faraone Ramses II, la città di Pitom era già stata costruita durante il regno del faraone Horemheb, predecessore di Ramses I (nonno di Ramses II), non ebbe modifiche sotto Ramses I e Seti I (padre di Ramses II) ed ebbe pochi ampliamenti sotto il regno di Ramses II.
[13] Sono le linee di densità trasversali alle estremità delle ossa, esse riflettono episodi pregressi di malattie febbrili o di malnutrizione di gravità sufficiente ad arrestare la crescita. Poiché le malattie acute raramente lasciano modificazioni visibili nelle ossa e l’esattezza dei metodi morfologici a occhio nudo è limitata anche dal piccolo numero di forme in cui l’osso può reagire a un’ampia gamma di stimoli, negli ultimi decenni sono stati introdotti metodi di laboratorio alternativi o integrativi rispetto a esplorazioni tomografiche computerizzate.
[14] introdotta nella letteratura paletnologica nel 19° sec.
[15] Il papiro di Ipuwer è un papiro egizio scritto in ieratico durante la XIX dinastia, esposto oggi al National Museum of Antiquities a Leida, nei Paesi Bassi. Esso contiene le Lamentazioni di Ipuwer, un’opera letteraria incompleta la cui composizione originale risale a non prima della tarda XII dinastia. Nel poema, Ipuwer si lamenta che il mondo è stato completamente rigirato su sé stesso: una donna che prima non aveva nemmeno una scatola ora possiede molti mobili, una ragazza che per specchiarsi doveva andare al fiume ora ha uno specchio, mentre l’uomo un tempo ricco ora è coperto di stracci. Ipuwer pretende che il “Signore di ogni cosa” – un titolo che può riferirsi tanto al faraone quanto al dio-sole creatore – distrugga i suoi nemici e si ricordi dei suoi doveri religiosi. A ciò segue una descrizione dei violenti disordini a cui è sottoposto l’Egitto: non c’è più alcun rispetto per le leggi e persino la tomba del faraone all’interno della piramide è stata violata. La storia continua con una descrizione di tempi migliori ormai passati, finché non si interrompe improvvisamente a causa dell’incompletezza del papiro. È plausibile che il poema terminasse con una risposta del “Signore di ogni cosa”, o con la profetizzazione dell’arrivo di un valente faraone che potesse ristabilire lo status qu.
[16] è una località situata nella regione del Fayyum, in Egitto, conosciuta anche come Illahun oppure Kahun. Il sito conserva resti archeologici risalenti al Medio Regno tra cui il complesso piramidale di Sesostri II. Il complesso piramidale di Sesostri II venne per la prima volta esplorato da Flinders Petrie nel 1887-1889. Egli vi compì successivamente altre campagne di scavo, nel 1913 e nel 1920. L’intero complesso era circondato da due ordini di mura di recinzione e, ancora più all’esterno, da un filare di alberi piantati appositamente.
Le strutture accessorie facenti parte del complesso funerario (tempio funerario, rampa processionale, tempio a valle) sono praticamente scomparse. Sul lato sud, tra le due cinte murarie, sono state ritrovate delle tombe regali a pozzo, tra cui la più nota è quella della principessa Sithathoriunet, figlia di Sesostri II, i cui gioielli sfuggirono al saccheggio e giunsero così sino a noi. A 2 kilometri a nordest del complesso, il faraone ordinò la realizzazione di un villaggio operaio temporaneo chiamato Hetep-Sesostri, pensato unicamente per dare alloggio agli addetti alla costruzione del complesso ed alle loro famiglie. In un tempio del villaggio, Petrie rinvenne svariati rotoli di papiri recanti testimonianze di vita quotidiana di quel periodo di storia egizia.
[17] Dal greco ῾Υκσώς o ῾Υκουσσώς Indica gli stranieri, in parte semiti, che occuparono l’Egitto e vi dominarono durante le dinastie 15ª-17ª. Sull’origine degli Hyksos sono state avanzate molte congetture: popolazioni semite dalla Palestina, Hurriti, addirittura Indoeuropei e naturalmente una confederazione di queste tre popolazioni. Gli Hyksos furono un’etnia che governò l’Egitto in un periodo in cui la società egizia stava vivendo un periodo di crisi; in un lasso di tempo di duecento anni governò un numero elevatissimo di faraoni e in tale confusione gli Hyksos riuscirono ad imporsi al potere diffondendo nuove tradizioni ed usanze in Egitto. Trascorsi due secoli gli egiziani riacquisirono stabilità politica riorganizzandosi e riuscendo a scacciare questa dinastia “non-ereditaria” proveniente dall’Asia minore ed Anatolia centrale.
[18] Secondo l’archeologo Yigael Yadin, che diresse gli scavi compiutivi dal 1955 al 1958, e dal 1968 al 1969, all’epoca di Giosuè Hazor aveva un’estensione di circa 60 ettari e poteva avere dai 25.000 ai 30.000 abitanti. I reperti archeologici sono i più grandi e preziosi della moderna Israele. Hazor fu un’antica città situata nella Galilea settentrionale, a nord del Mar di Galilea, tra Ramah e Kadesh, sull’altopiano che sovrasta il lago Merom. In tempi moderni il sito è stato oggetto di molti scavi, a partire dal 1955.


Patterns of Evidence: The Exodus – Full Trailer :

https://www.youtube.com/2assFIyLInE

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