Grecia, MITI, Redazione AG

Poseidone Nettuno

Poseidone (Nettuno per i Romani) era, nella mitologia ellenica, il dio del mare, della navigazione, delle tempeste e dei terremoti.

Con Zeus e Ade s’era diviso il regno di Crono, Poseidone fu uno degli dei più potenti dell’Olimpo. Abitava negli abissi del mare Egeo, presso la Tracia, in una casa rilucente d’oro.

Andava per mare ritto su di un cocchio d’oro e con un tridente nella mano destra come simbolo di comando, trainato da cavalli marini che galoppavano sul pelo dell’acqua, mentre tutte le creature marine accorrevano gioiose, tributando un caldo saluto al loro signore.

Aveva per attributi il tridente, regalo dei ciclopi, il toro, il delfino ed il cavallo che avrebbe addomesticato. Nelle sue vaste stalle vi erano cavalli bianchi dalla criniera d’oro e dagli zoccoli di bronzo; vi era pure un carro d’oro con cui comandava ai mostri marini ed alle tempeste.

Il culto di Poseidone era molto importante nell’antica Grecia perché i greci erano per lo più pescatori e marinai. Era inoltre considerato anche il dio dei terremoti che provocava sbattendo il suo formidabile tridente. A Poseidone/Nettuno era sacro anche il delfino, sempre apprezzato dai marinai in quanto il suo apparire era segno di mare calmo e, quando nuotava vicino alle imbarcazioni, si riteneva che contribuisse a mantenerle in rotta.

I Greci, grandi navigatori, ovviamente avevano un particolare culto per la massima divinità marina. Non vi fu luogo o città della Grecia dove non venissero innalzate statue o templi per il dio che squassava le onde col tridente. Gli fu costruito un tempio sull’istmo di Corinto e là si svolgevano i giochi Istmici, ai quali accorrevano tutti i Greci. Gli si intitolavano anche città, come Paestum, nell’Italia meridionale, che nacque come Posidonia, ossia città di Poseidone. I marinai rivolgevano preghiere a Poseidone perché concedesse loro un viaggio sicuro e talvolta come sacrificio annegavano dei cavalli in suo onore.

Quando mostrava il lato benigno della sua natura Poseidone creava nuove isole come approdo per i naviganti ed offriva un mare calmo e senza tempeste. Quando invece veniva offeso e si sentiva ignorato allora colpiva la terra con il suo tridente provocando mari tempestosi e terremoti, annegando chi si trovasse in navigazione ed affondando le imbarcazioni.

E al dio delle acque era stata consacrata anche una pianta: il pino. Le navi erano infatti quasi interamente costruite con tavole di legno di pino (o di cedro del Libano), considerato il migliore per la loro realizzazione. Veniva onorato il 23 luglio, con le festività dei Neptunalia, a cui furono poi uniti i ludi Neptunialicii (dal III secolo a.C.) Il suo tempio si trovava al Circo Flaminio all’interno del Campo Marzio a Roma. Nella mitologia Romana aveva una divinità associata (paredra) detta a volte Salacia a volte Venilia.

In onore al Dio Nettuno, vi è anche la città di Nettuno, nella provincia di Roma nel Lazio. Avendo cospirato con Era e Apollo contro Zeus, venne punito ed esiliato nella Troade al servizio di Laomedonte. Questi gli negò il compenso pattuito per la costruzione delle mura della città. Poseidone, irato, fece scaturire dal mare un mostruoso drago.

Per placarlo, il re dovette esporre la figlia Esione per essere divorata dal mostro. La giovane fu salvata e liberata da Eracle che uccise il mostro. Per punizione per aver offeso Zeus, Poseidone ed Apollo furono mandati a servire il re di Troia Laomedonte: questi disse loro di costruire un’enorme cinta muraria che corresse tutt’attorno alla città, promettendo di ricompensarli per questo servizio, ma poi non mantenne la parola data. Per vendicarsi, Poseidone mandò ad attaccare la città un mostro marino che però venne ucciso da Eracle. Dall’umore instabile come il mare era ora sorridente e benevolo ora burrascoso e violento, con il suo tridente aveva il potere di rendere il mare calmo o agitato. Poteva cambiare forma a suo piacimento: simbolo dell’incostanza del mare. Le sue contese con altre divinità si spiegano col fatto che egli era anche dio delle acque terrestri, prima che il suo regno fosse ridotto al solo mare. Atena era in competizione con Poseidone per diventare la divinità protettrice della città di Atene che, all’epoca in cui si svolge questa leggenda, ancora non aveva un nome. Si accordarono in questo modo: ciascuno dei due avrebbe fatto un dono agli Ateniesi e questi avrebbero scelto quale fosse il migliore, decidendo così la disputa. Poseidone piantò al suolo il suo tridente e dal foro ne scaturì una sorgente. Questa avrebbe dato loro sia nuove opportunità nel commercio che una fonte d’acqua, ma l’acqua era salmastra e non molto buona da bere. Secondo altre versioni Poseidone offrì invece il primo cavallo Atena invece offrì il primo albero di ulivo adatto ad essere coltivato. Gli Ateniesi scelsero l’ulivo e quindi Atena come patrona della città, perché l’ulivo avrebbe procurato loro legname, olio e cibo. Si pensa che questa leggenda sia sorta nel ricordo di contrasti sorti nel periodo Miceneo tra gli abitanti originari della città e dei nuovi immigrati. Poseidone, avido di regni terrestri, un giorno rivendicò l’Attica piantando il suo tridente nell’acropoli di Atene facendo scaturire, immediatamente, un pozzo d’acqua salata che vi si trova ancora. Più tardi, durante il regno di Cecrops, arrivò Atena venne e si installò in modo più piacevole piantando il primo ulivo vicino al pozzo. Poseidone, furioso, la sfidò in combattimento ed Atena era pronta ad accettare se Zeus non si fosse interposto e non avesse ordinato loro di sottoporsi ad un arbitrato. Zeus non emise un verdetto, ma tutti gli altri dei sostennero Poseidone e tutte le dee sostennero Atena. E così, a maggioranza di una voce, il tribunale decretò che Atena aveva più diritti sul territorio perché lo aveva dotato di un regalo più utile. Poseidone contese ad Atena anche Trézène, una città del Peloponneso; in quest’occasione Zeus diede l’ordine che la città fosse divisa tra i due e ciò che fu sgradevole all’uno ed all’altro.

Contese Corinto a Elios, ma ricevette soltanto l’istmo, mentre l’acropoli restò ad Elios. Furioso, provò a prendere a Era l’Argolide ed era pronto a combattere ancora, rifiutando di apparire dinanzi ai suoi pari olimpici, che, diceva, erano prevenuti contro lui. Di conseguenza, Zeus sottopose l’affare ai dio-fiumi Inachos, Céphise ed Asterione, e il giudizio che scaturì fu a favore di Era. Rivendica anche l’invenzione della briglia, benché Atena l’abbia inventata prima di lui; ma non gli contestano di avere istituito le corse dei cavalli.

Poseidone fu allevato dai Telchini di Rodi e si unì alla loro sorella Alia, che gli dette sei maschi e, secondo alcune tradizioni, anche la figlia Rodo, da cui il nome dell’isola di Rodi. Afrodite fece impazzire i figli, inducendoli ad attentare alla propria madre, per cui Poseidone li precipitò nei visceri della terra con un colpo di tridente. Glauco è una figura della mitologia greca, figlio di Poseidone e di una Naiade.

Come il padre fu una divinità del mare. La sua figura appare ne Le Argonautiche di Apollonio Rodio e nelle Metamorfosi (libro XIII) di Ovidio. Secondo la leggenda, nacque umano, praticò l’attività di pescatore, la sua immortalità e la sua natura di divinità marina derivarono da un’erba magica. Il suo corpo mutò sembianze, assumendo una forma di coda di pesce nella parte inferiore. Si ricordano i suoi amori, da quello per Scilla fino al tentativo di circuire Arianna.

Glauco cercò di sedurre Scilla senza successo, impedito da Circe che lo coprì di ridicolo.

Poseidone, innamoratosi di Anfitrite, una delle Nereidi figlie di Nereo e di Doride, la chiese in sposa ma la fanciulla intimorita, per timidezza fuggì via nascondendosi nelle acque dell’Oceano, oltre le colonne d’Ercole. Il dio inviò, allora, un delfino alla sua ricerca e ritrovatala la convinse alle nozze. La novella sposa, gelosa di Scilla la mutò in un mostro dai dodici piedi e dalle sei bocche che divoravano i marinai che attraversano lo Stretto di Messina.

Da Anfitrite ebbe figli Tritone, Bentesecime e una figlia di nome Roda (spesso confusa con Rodo), poi moglie di Elio, dio del Sole. Da Eurite Poseidone ebbe il figlio Alirrozio, protagonista di due diverse versioni del mito: secondo la prima, tentò di usare violenza ad Alcippe figlia del dio Ares, che quindi lo uccise; secondo l’altra, Alirrozio si adirò perché l’Attica era stata destinata ad Atena anziché al padre Poseidone e, per rappresaglia, cercò di recidere l’ulivo che la dea aveva donato a quella regione; ma l’ascia gli cadde dalle mani e gli tagliò la testa.

Da Ifimedia, figlia di Triope, ebbe i giganti Oto ed Efialte, detti Aloadi, che crescevano in modo smisurato: quando raggiunsero l’altezza di quasi venti metri decisero di assaltare l’Olimpo e dare battaglia agli dei, manifestando l’intenzione di prosciugare il mare, riempiendolo di massi, e di allagare la terra. Suscitarono quindi le ire divine e, secondo una versione, furono fulminati da Zeus; secondo un’altra, furono uccisi con l’inganno da Artemide, che assunse le forme di una cerbiatta e si slanciò tra i due, che si trafissero a vicenda nella fretta di colpirla. Amò anche Alope figlia di Cercione, contro il volere del padre di lei, ed ebbe un figlio che fu abbandonato dalla nutrice nella foresta.

Poseidone mandò una giumenta, animale a lui sacro, per allattare il bambino che, dopo diverse disavventure, fu allevato da un pastore e chiamato Ippotoo, poi capostipite della tribù degli Ippotoontidi. Alope fu invece messa a morte da Cercione e fu trasformata in fonte da Poseidone.

Secondo una diversa versione del mito, Poseidone era padre dello stesso Cercione re di Eleusi e possedeva forza e crudeltà smisurate: costringeva alla lotta i viandanti e poi squartava i vinti, legandoli alle cime ravvicinate di alberi opposti, che poi rilasciava, provocando così lo smembramento delle sue vittime. Fu ucciso da Teseo. Eufemo, nato da Poseidone e da Europa, eccelleva nella corsa al punto da poter scivolare sulle acque senza bagnarsi i piedi.

Secondo alcuni mitografi, succedette a Tifi come pilota della nave Argo e prese parte alla caccia contro il Cinghiale Calidonio, figlio della scrofa Fea. Era questi grande come un toro, con setole acuminate come dardi, zanne lunghe come falci e alito che uccideva chiunque lo respirasse. Fu mandato da Artemide a devastare il paese di Oeneo, re di Calidone. Una delle figlie di Poseidone, Lamia, fu amata da Zeus e mise al mondo la Sibilla Libica.

Le Sibille erano profetesse rivelatrici degli oracoli di Apollo, e molte sono le sacerdotesse con questo nome e le leggende che le riguardano. Secondo una delle tante storie, la prima profetessa fu appunto la figlia di Lamia, chiamata Sibilla dai Libici.

Una donna mortale di nome Tiro, discendente di Eolo, era sposata con Creteo (dal quale aveva avuto un figlio, Esone), ma era innamorata di Enipeo, una divinità fluviale: la donna si offrì ad Enipeo che però la rifiutò. Un giorno Poseidone, incapricciatosi di Tiro, assunse le sembianze di Enipeo e dalla loro unione nacquero i due gemelli Pelia e Neleo. Abbandonati alla nascita dalla madre, furono nutriti dalla giumenta inviata da Poseidone, cui l’animale era consacrato.

Secondo una leggenda, Pelia fu colpito da un calcio della giumenta che gli deturpò il volto, da cui il suo nome, derivato dal greco pelion, cioè “livido”. Diventati adulti, i due gemelli ritrovarono la madre, soggetta alle angherie della propria matrigna Sidero; Pelia uccise quest’ultima, nonostante ella si fosse rifugiata nel tempio di Era, e tale sacrilegio fu la causa della sua morte, dopo una vita lunga e densa di fatti e misfatti.

Dalla ninfa Satiria – considerata figlia di Minosse, re di Creta – Poseidone ebbe Taranto, eponimo della città omonima, mentre il nome di lei fu dato al locale Capo Satirione. Così si giustifica la tradizione che attribuisce origini cretesi alla città di Taranto.

Amico – il Gigante nato anch’egli dal dio del mare, che aveva inventato il pugilato e il cesto, e regnava sui Bebrici in Bitinia – metteva a morte, prendendoli a pugni, gli stranieri che approdavano nella sua terra. Quando vi sbarcarono gli Argonauti egli li sfidò in combattimento; Polluce accettò la sfida e, con la sua prontezza e abilità, riuscì vincitore sulla violenza del gigante. La posta della lotta era che il vincitore avrebbe ucciso l’avversario, ma Polluce si contentò di far promettere ad Amico, vincolandolo con un solenne giuramento, di rispettare in futuro gli stranieri.I poemi omerici ci narrano di Poseidone che insieme ad Apollo costruì le mura inespugnabili di Troia, per ricompensare il re Laomedonte della sua ospitalità.

Nell’Odissea Poseidone svolge un ruolo importante a causa del suo odio e irriducibile ira nei confronti di Ulisse, che gli aveva accecato il figlio Polifemo. L’inimicizia di Poseidone nei suoi confronti impedisce per molti anni ad Odisseo di fare ritorno ad Itaca nel lungo viaggio di ritorno in patria, malgrado gli interventi a favore del suo protetto di Atena e dello stesso Zeus.

Demetra era alla ricerca di sua figlia Persefone, stancata e scoraggiata dalla sua ricerca era poco pronta trattare innamoramenti con nessun dio o Titano, allora si trasformò in giumenta ed andò nutrirsi con il gregge di un certo Oncos, figlio di Apollo che regnava a Oncéion in Arcadia. Ma non riuscì ad ingannare Poseidone, che si trasformò anch’egli e venne a congiungersi ad essa; da quest’unione nacquero la ninfa Despoena ed il cavallo selvaggio Aerione. Argolide fu essiccata da Poseidone, furioso che questo territorio che ambiva gli era stato rifiutato.

Fu allora che Amymoné ricevette da suo padre Danaos l’ordine di scoprire una fonte per dissetare la popolazione e soprattutto, con la sua condotta, di non dispiacere a Poseidone. Ma, in cammino, incontrò un satiro che tentò di violentarla e chiamò Poseidone che cacciò l’imprudente lanciandogli il suo tridente; l’arma si piantò in una roccia da cui scaturì, immediatamente, una fonte limpida e fresca che Amymoné supplicò di lasciare scorrere. Poseidone, che si era innamorato, acconsentì a condizione che la giovane donna si fosse data a lui; Amymoné non esitò un solo momento e da quest’unione nacque Nauplios.

Figlio di Poseidone e della Pleiade Alcione è Irieo, padre di Orione e re di Iria, città della Beozia. Secondo altre leggende, Irieo era invece un umile contadino che, per aver accolto nella sua capanna Zeus, Poseidone ed Ermes, fu premiato con l’esaudimento di un desiderio. Chiese pertanto un figlio, che gli dei fecero nascere fecondando la pelle del bue sacrificato in loro onore. Quel figlio fu Orione. Secondo altre versioni, il gigantesco cacciatore Orione era invece figlio dello stesso Poseidone e di Euriale. Accolto nei cieli in forma di costellazione, era apportatore di pioggia.

Dice Virgilio (Eneide, I, 873-877, nella trad. di A. Caro):

“… quando / Orion tempestoso i venti e ‘l mare / Sì repente commosse, e mar sì fero / Venti sì pertinaci, e nembi e turbi / Così rabbiosi …”

Così pure Parini (La caduta, 1-4):

“Quando Orion dal cielo / Declinando imperversa, / E pioggia e nevi e gelo / Sopra la terra ottenebrata versa, / …”

Poseidone ebbe un rapporto sessuale con Medusa sul pavimento del tempio di Atena che, per vendicarsi dell’affronto, trasformò la Gorgone in un mostro. Quando, tempo dopo, fu decapitata dall’eroe Perseo dal suo collo emersero il cavallo alato Pegaso ed il gigante Crisaore. Con Melanto si unì sotto forma di delfino, da cui il nome Delfo del figlio; e suoi figli sembrano essere anche i Lestrigoni, giganti antropofagi che attaccarono le navi di Ulisse, quindi collocati tra il Lazio e la Campania.Figlio suo è anche l’aggressivo gigante Anteo figlio di Gea (o Gaia, la Madre Terra) che costringeva tutti coloro che attraversavano la sua terra – la Libia o il Marocco – a lottare con lui.

Dopo averli vinti e uccisi, con i loro crani ornava il tempio dedicato a Poseidone. Era invulnerabile finché toccava con i piedi la madre Terra che gli infondeva rinnovato vigore, ma Eracle, durante il suo passaggio in Libia, riuscì ad averne la meglio, sollevandolo sulle spalle.

Da Lisianassa Poseidone ebbe Busiride che figura nella leggenda come re d’Egitto, posto sul trono da Osiride quando questi intraprese il viaggio intorno alla terra. Tuttavia il suo nome non compare nelle dinastie faraoniche e potrebbe essere una deformazione di “Osiride”.

Era un tiranno crudele, colpevole di molti misfatti, al quale l’indovino cipriota Frasio aveva vaticinato che solo il sacrificio di un forestiero, una volta l’anno, avrebbe allontanato la carestia che si era abbattuta sull’Egitto. Il vate fu quindi la prima vittima e lo stesso Eracle, transitando per il Paese, fu catturato e destinato al sacrificio, ma riuscì a sciogliersi dai vincoli e a riacquistare la libertà, dopo aver ucciso Busiride e tutti i sacerdoti.

Secondo una leggenda era figlio di Poseidone – e non di Oceano, come tutti i fiumi – anche Acheloo, dio del fiume omonimo, oggi Aspropotamo. Come dio-fiume aveva il potere di assumere qualunque forma e quindi si trasformò in serpente e poi in toro per combattere Eracle quando questi chiese in moglie Deianira, già sposata con Acheloo. Nella lotta che ne seguì, Eracle gli strappò un corno e Acheloo si dichiarò vinto; rinunciò a Deianira e donò al rivale il proprio corno che, consacrato a Copia, dea dell’abbondanza (cornu copiae), acquistò il potere di elargire fiori e frutti in quantità.

Mutilato e sconfitto, Acheloo si gettò nel fiume, che prese il suo nome.Legato al ciclo di Eracle è un altro figlio di Poseidone, chiamato Sileo, che aveva per fratello Diceo, ossia “il Giusto”, cioè di nome e di fatto l’opposto del fratello. Questi era infatti il crudele padrone di una vigna, in Tessaglia, e costringeva i passanti a lavorare per lui, prima di metterli a morte. Eracle, ricevuto l’ordine di punire Sileo, si mise al suo servizio ma, invece di accudire le viti, devastò la vigna e uccise lo stesso Sileo con un colpo di zappa.

Poi si innamorò della figlia di lui e la sposò ma, di lì a poco, dovette assentarsi e la giovane morì per il dolore del distacco. Lo stesso Eracle fu trattenuto a forza dal gettarsi sulla pira funebre dell’amata moglie.Con Afrodite ebbe figli: Rodo, Erice, Erofilo.

Articolo di Redazione AG

Fonte (terralab.it)

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