

«I prìncipi prosternati gridano “Pietà!” Nessuno alza la testa fra i Nove Archi. Il paese di Tjeḥnu è distrutto, il Khatti è in pace, Canaan è stata saccheggiata con tutto il male, Ascalona è presa e Gezer catturata , Yeho῾am è ridotta come se fosse mai esistita. Israele è desolata e non ha più seme, Khor è rimasta vedova per To-Meri.»
Il dilemma dell’Esodo biblico
Questo testo, un particolare della cosiddetta Stele di Merenptaḥ o Stele di Israele (1’213-1’203 a.C.), è l’unico documento proveniente dall’antico Egitto che nomini Israele, nonché la prima testimonianza dell’esistenza di questo popolo. Imbarazzante per gli studiosi, che ritengono che proprio Merenptaḥ sia il faraone dell’Esodo. E’ importante notare che il cosiddetto popolo eletto su questa stele è indicato come nomade, in quanto a seguito del nome sono presenti sul testo geroglifico due determinativi, un uomo e una donna, tipici dei popoli nomadi. Che qualche popolo nomade, poi, sia passato effettivamente per la terra d’Egitto può essere provato dal rapporto di un funzionario che scrive: «Abbiamo finito per concedere alle tribù Shosu [Beduini] di Edom il permesso di passare oltre la fortezza di Merenptaḥ che è nel Tjeku per recarsi agli stagni di Pi-Tūm di Merenptaḥ che sono nel Tjeku onde mantenerle in vita e mantenere vivo il loro bestiame grazie alla generosità del faraone, lo splendido sole di ogni paese. Anno 8, terzo giorno epagomeno, anniversario di Seth». Ora, la Pi-Tūm di questo documento può essere identificata con la “città-magazzino” Pitom nominata in Esodo 1.11, secondo cui al popolo di Israele furono imposti «sovraintendenti ai lavori forzati per opprimerlo con i loro pesi», ma ciò non sarebbe in linea con il resto del rapporto che continua parlando di “generosità del faraone”. Inoltre resta impossibile determinare se questi Shosu di Edom siano o no gli Ebrei. Solo il papiro di Ipuwer (XIII secolo a.C.) nomina cataclismi che si sarebbero verificati in concomitanza di disordini politici e sociali, associabili forse con le piaghe e la fuga degli Ebrei, forse invece con l’esplosione del vulcano di Santorini (XVII secolo a.C.); bisogna inoltre tenere presente che il libro biblico dell’Esodo è stato messo a punto dagli Ebrei durante l’esilio a Babilonia nel V secolo a.C., circa 700 anni dopo i fatti narrati.
La tradizione Greca: Ecateo e Manetone
Ecateo di Abdera, che scrive attorno al 300 a.C., racconta che «Nell’antichità era scoppiata una pestilenza in Egitto», la cui soluzione sarebbe stata quella di espellere «gli uomini che appartenevano ad un’altra popolazione» a causa dei quali si allentava il sacro rispetto per gli dei. La maggior parte di questi espulsi sarebbe andata «nella regione che adesso è chiamata Giudea, che si trova non molto lontano dall’Egitto, e che in quei tempi era completamente disabitata. I coloni erano guidati da un uomo chiamato Mosè, che su tutti eccelleva per saggezza e coraggio». Si riprende il tema dell’Esodo, ma con un particolare diverso: non sono gli Ebrei a fuggire dall’Egitto, ma sono scacciati per questioni di ordine religioso. Un’altra tradizione ancora la si ritrova negli scritti di Manetone, il sacerdote di Eliopoli che sarebbe vissuto nel III secolo a.C., tramandati da Giuseppe Flavio nel Contra Apionem. Innanzitutto si parla del dominio di alcuni re-Pastori sull’Egitto che, scacciati, sarebbero andati a fondare «una città nella terra di Giudea» cui diedero il nome di Gerusalemme. Continua la narrazione dicendo che un tal re Amenofis per «contemplare gli dei» liberò il paese da tutti i lebbrosi e gli impuri: ne raccolse 80’000 e li mando nelle cave di pietra. In seguito questi si radunarono nella città di Avaris, che usarono come base per una rivolta sotto il comando del sacerdote eliopolitano Osarseph che, dopo aver convinto anche il popolo dei Pastori (di cui Avaris fu capitale quando presero il controllo dell’Egitto) ad unirsi a lui, «prescrisse loro, come prima legge, di non adorare gli dei, di non astenersi da alcuno degli animali considerati sacri in Egitto ma di sacrificarli e consumarli tutti, e di non unirsi ad alcuno tranne che a uomini legati dallo stesso giuramento». Diede ordine inoltre di «saccheggiare templi e mutilare statue». È inoltre specificato che il sacerdote Osarseph sia da identificarsi con Mosè.
La cornice storica delle tradizioni
Gli studiosi sono concordi nel ritenere che la storia dell’espulsione di stranieri “empi” o “impuri” dall’Egitto non sia un’invenzione né di Ecateo né di Manetone, ma appartenga a nuclei narrativi più antichi, tuttavia resta ancora da appurare perché questi stranieri siano stati identificati con gli Ebrei, da dove saltino fuori questi re-Pastori e questo sacerdote Osarseph. Si potrebbe ritenere una manipolazione partendo dalle basi proprio del testo biblico dell’Esodo. Questo potrebbe essere vero per Manetone che visse nell’epoca della traduzione dei Settanta, ma di sicuro non lo è per Ecateo, precedente di Manetone, che non ebbe mai questa possibilità, e comunque non spiegherebbe la questione dei re-Pastori e del sacerdote Osarseph. Iniziamo dalla questione più semplice, quella dei re-Pastori. Il riferimento è abbastanza chiaro: popoli provenienti dall’esterno stanziatisi ad Avaris non possono essere che gli Hyksos, la cui storia della conquista era ancora viva nelle storie popolari, seppur abbastanza lontana da potersi confondere con altri nuclei narrativi; è a loro che si fa allusione quindi. La seconda questione, è un po’ più complicata. Innanzitutto questo Osarseph prescrisse di non adorare gli dei e ordinò di saccheggiare i templi e mutilare le statue. Quale episodio della storia egizia riflette meglio una tale descrizione se non la riforma religiosa di Akhenaton? Sarebbe azzardato tuttavia affidarsi ad una così lieve somiglianza di fatti senza approfondire il discorso. Innanzitutto il sacerdote proviene da Eliopoli, sede di culto principale di Aton-Ra nell’Antico Regno; nella versione di questi fatti riportata da un altro greco, Cheremone, uno dei capi dei lebbrosi porta il nome di Tisithen, allusione abbastanza palese a Iten, coi quali gli Egizi indicavano il disco solare, unica divinità del culto di Akhenaton. Anche questo nome poi, Akhenaton, altro nome di Amenofis IV, presenta una coincidenza quasi totale col Amenofis, il re che volle “contemplare gli dei” espellendo tutti i lebbrosi. Sicuramente un minestrone di fatti passati che hanno finito per convergere in un’unica tradizione.
Perché proprio gli Ebrei?
Resta da chiarire un solo punto. Perché il popolo di empi o lebbrosi cacciato dall’Egitto è stato successivamente identificato proprio con gli Ebrei? Innanzitutto avevano un solo dio e compivano regolarmente sacrifici di agnello o ariete, e questo soddisfa la questione «di non adorare gli dei, di non astenersi da alcuno degli animali considerati sacri in Egitto ma di sacrificarli e consumarli tutti». Potrebbe essere insoddisfacente come spiegazione, e lo è. Cerchiamo allora fatti più contingenti: che motivo avevano gli Egizi per provare avversione verso gli Ebrei? Presto detto: al tempo della conquista dell’Egitto da parte dell’imperatore persiano Cambise nel 525 a.C., fu stanziata una guarnigione di Ebrei ad Elefantina, per sorvegliare il confine meridionale. Che non corresse buon sangue fra gli Ebrei qui stanziati e gli Egizi è provato da molte cose, come la distruzione del tempio del dio egizio Khnum da parte degli Ebrei, e la distruzione del tempio ebraico da parte degli Egizi. Inoltre, mente gli Egizi provavano una totale avversione per i dominatori Persiani, questi ultimi avevano stretto rapporti amichevoli con gli Ebrei. Il Papiro Pasquale, rivolto da un funzionario persiano alla comunità ebraica di Elefantina contiene un testo col quale si concede loro la celebrazione della Pasqua. E’ risaputo che tale rito contemplava, fra le altre cose, il sacrificio di un agnello o di un ariete, animale sacro al dio egizio Amon. Non c’è nulla di strano allora nel fatto che gli stranieri che la tradizione vuole espulsi per purificare il paese siano stati identificati proprio con gli Ebrei.
ysrỉr fk.t bn pr.t =f [ysrir (è) desolato non (c’è) seme suo]
Particolare della stele di Merenptaḥ che si riferisce a Israele
(Flavio Burni da Canaleletterario.com )