BIBBIA, Redazione AG

UN APOCRIFO DALLA DISARMANTE CHIAREZZA

Nella III puntata del documentario “I Segreti della Bibbia” ,  andata in onda su Focus, intitolata “Le sacre scritture mancanti” abbiamo assistito alla citazione ed alla relativa spiegazione di alcuni scritti che non sono entrati a far parte del cosiddetto “canone”, andando di conseguenza a riempire la lunga lista dei testi considerati “apocrifi”. Tra quelli menzionati in questo episodio  spicca, per i motivi che andremo ad analizzare,

“L’Apocalisse di Mosè “.

Già dal nome, pressoché ingannevole, si iniziano a rilevare le prime stranezze visto che il significato della parola “Apocalisse” (rivelazione) collima con il tema del racconto, considerato che a parlare è Eva, ma  viene immotivatamente accostato a Mosè che in realtà  compare solo nel prologo probabilmente per dare al lettore la percezione che si tratti di un testo sacro perché ,testualmente: “rivelato da Dio al suo servo quando ricevette le tavole della legge”.

La nascita di questo scritto è da collocarsi nello spazio che va tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C. (come ci spiega il Prof. Piero CAPELLI,  Professore associato di lingua e letteratura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia nella sua dispensa intitolata “Il male negli apocrifi dell’Antico Testamento”) ma, considerati alcuni passaggi precursori di quello che in seguito diventerà il pensiero gnostico e i reiterati riferimenti al cardine teologico paolino (la resurrezione) che diede i natali al cristianesimo “moderno”  ma che all’epoca non era ancora stato concepito, risulta più realistico  farlo risalire al primo periodo post cristico;

tesi avvalorata da un ulteriore dato oggettivo fornitoci dalla lingua, infatti il testo arriva ai giorni nostri solo tramite alcuni manoscritti in lingua greca dai quali si evincono abbondanti rimaneggiamenti. Lo scritto si compone di 43 versetti e racconta la storia di Adamo ed Eva dal punto di vista dei protagonisti e ciò che accadde dopo la cacciata dal paradiso, incentrando il significato morale della storia su un’aspetto particolare, la causa della punizione inflitta alla coppia , che va ricercata in due precise ragioni:

1) la disobbedienza (per aver mangiato il frutto proibito)

2) la strumentalizzazione del giuramento , compiuto da Eva (che giurò al serpente di farne mangiare anche a suo marito , snaturando il significato “sacro” che aveva all’epoca il giuramento).

Ma nelle pieghe della storia si citano dei particolari , riportati in testi più antichi , che ci danno la conferma di come questi continuavano ad essere tramandati e per questo ritenuti veritieri, in aggiunta a concetti che di li a breve sarebbero stati  necessari per dar vita alla “nuova religione”. Ma andiamo per ordine ad analizzare i punti salienti …

Al versetto 19 viene descritto il momento del giuramento (a cui avevamo accennato in precedenza) che Eva fa al pseudo serpente a cui segue il preludio all’atto del “mangiare il frutto”. Ora, noi sappiamo che “mangiare il frutto” è un termine addolcito che in realtà si  riferisce al compiere l’atto sessuale; se a questo aggiungiamo il significato del serpente , che non è un animale scelto a caso ma rappresenta il culto cananeo della fertilità associato al dio Baal, il quadro diventa chiaro ed un’ulteriore conferma ce la da proprio Eva che segue con testuali parole:” iniettò il veleno della sua malvagità, cioè del suo DESIDERIO nel frutto che mi diede da mangiare, perché IL DESIDERIO È ALL’ORIGINE DI OGNI PECCATO“. Va da se che il chiaro riferimento al desiderio è da ricollegare alla matrice sessuale che in epoca protocristiana era visto come uno dei peccati più gravi , ma di questo troveremo ulteriori conferme più avanti.

Il racconto segue , al versetto 20, con la descrizione di ciò che accadde subito dopo ; Eva prende atto di trovarsi nuda e per vergogna (di fronte al “peccato” commesso) cerca in tutte le maniere di coprirsi ma attorno a lei tutte le piante avevano perso le foglie… tutte tranne una… la stessa pianta dove si era compiuto il misfatto. La tradizione cristiana c’insegna che Eva mangiò una mela ma nel testo troviamo scritto:”tutti gli alberi che si trovavano dalla mia parte avevano perso le foglie, ad eccezione di uno solo, IL FICO. Presene delle foglie, me ne feci delle coperture, E SI TRATTAVA DEGLI STESSI ALBERI DEI QUALI AVEVO MANGIATO.” Questo passaggio conferma ulteriormente l’errore di Sofronio Eusebio Girolamo (San Girolamo) che all’atto della stesura della Vulgata, tradotta in latino dalla Bibbia Ebraica e dalla Septuaginta greca, diede alla parola “malum” il significato di “mela” piuttosto che di “male”.

È il momento dell’arrivo di Dio che, annunciato dallo squillare di tromba dell’arcangelo Michele, giunge in paradiso :” montato su di un CARRO TRAINATO DA CHERUBINI” (versetto 22) ; qui è evidente il richiamo alla “gloria” del Signore, quell’ormai famoso KAVOD che l’Amico Mauro Biglino ci ha spiegato in maniera più che esaustiva nel corso dei suoi lavori.

L’implacabile giudizio non tarda ad arrivare ed a seguito di questo, nel versetto 25, scorgiamo un implorante Adamo che rivolgendosi a Dio dice:” Signore, Signore,  salvami e NON MI DARÒ PIÙ AL PECCATO DELLA CARNE.” . Ed ecco che senza mezzi termini, né giri di parole , anche Adamo ci fa capire chiaramente il tipo di “peccato” a cui la coppia ha ceduto e di cui Eva fin dall’inizio ha parlato.

Dopo la punizione destinata alla coppia, “l’ira di Dio” viene puntata verso “l’animale tentatore” e nella sua descrizione , oltre ai noti passaggi, troviamo un particolare inedito e di non poco interesse. Il Dio biblico ammonisce il serpente dicendo tra le altre cose:”Striscerai sul petto e sul ventre e NON AVRAI PIÙ MANI E PIEDI, NON TI SARÀ LASCIATO NE ORECCHIO, NE ALA E NEPPUR UNA DI TUTTE LE MEMBRA, CON LE QUALI, NELLA TUA MALIZIA, LI ADESCASTI facendoli cacciare dal paradiso…” (versetto 26). L’affascinante passo , nell’esposizione della maledizione, menziona tutto ciò di cui il serpente verrà privato e qui notiamo per la prima ed unica volta richiami che portano alla descrizione di una figura antropomorfa  (le mani, i piedi, le orecchie) con l’aggiunta delle “ali”;

una figura umana ma con qualcosa in più, con tutta probabilità un “dio” di rango minore rispetto al Dio biblico (ma non dimentichiamo però che l’esegesi ebraica da cui deriva il testo tende a far primeggiare il proprio Elohim sugli altri, per cui la gerarchia riveste un aspetto relativo e l’attenzione deve rimanere puntata sulla descrizione fisica.). L’ultima privazione, che di rimando diventa un’aggiuntiva conferma ai dettagli forniti nei versetti precedenti, stabilisce ancora una volta l’aspetto sessuale della “tragedia” poiché a seguito della maledizione “l’animale” perderà le MEMBRA con le quali ha maliziosamente adescato Eva ovvero con tutta probabilità gli organi sessuali che evidentemente in precedenza erano esposti.

Il racconto procede con l’inevitabile cacciata dei due peccatori dal sicuro (Gan) Eden ed a questo punto Adamo, in preda ad una crisi di panico dovuta all’incertezza del come sarà la vita fuori dalla protezione del Signore, lo prega di poter usufruire dei frutti “dell’albero della vita” (versetto 28). Qui a destare meraviglia è la risposta del dio biblico che dice ad Adamo che non potrà nemmeno avvicinarsi a quell’albero poiché è piantonato da cherubini che HANNO AVUTO L’ORDINE DI DIFENDERLO DA LUI con la roteante spada di fuoco.

Come è possibile che il divino creatore, pur volendo mostrare clemenza nei confronti del condannato, non può perché l’oggetto del desiderio è piantonato da cherubini armati che non gli permetterebbero mai di avvicinarsi? Chi ha dato loro quest’ordine? La domanda, davvero sfiziosa, purtroppo non trova risposta ma ci suggerisce una coerente ipotesi che fornisce un’ulteriore evidenza su ciò che troviamo scritto nel Salmo 82 ovvero che esisteva una pluralità di dei ed era gerarchicamente regolata, per cui c’era qualcuno di superiore che aveva dato quest’ordine e lui, di rango inferiore, non aveva possibilità d’intercedere, salvo poi sbilanciarsi nella promessa di una “resurrezione futura”.

Da questo momento è fino alla fine il racconto prosegue evidenziando quella chiara matrice gnostica di cui avevamo accennato all’inizio. Diversi particolari ne danno conferma ma in questo contesto ne sottolineeremo solo due:

1) La più volte riperuta promessa di resurrezione del corpo fatta in questa circostanza ad Adamo, ma sappiamo che questa idea non apparteneva ai protocristiani , se non a quelli di radice gnostica appunto e fu poi il particolare che segnò la fortuna del credo paolino.

2) L’uso del nome “Giaele” da parte degli angeli che, nel chiedere perdono per Adamo, si rivolgono a Dio appellandolo con questo nome. È risaputo che Giaele è un nome femminile e nella Bibbia lo ritroviamo nel libro dei Giudici dove questa donna,  la moglie di Eber il Kenita, accoglie nella sua tenda per riposare il generale Sisara oppressore, insieme a Iabin di Canan, dei figli di Israele ed una volta fattolo addormentare gli traffigge la tempia con un paletto (Gdc 4,18-21).

Nel nostro caso però gli angeli si rivolgono a Dio usando questo nome femminile e ciò potrebbe indurre il lettore in confusione ma ci viene in aiuto un altro scritto, “il Vangelo gnostico di Filippo” che ci fornisce la giusta spiegazione. Nel versetto 19 di questo testo si evince che il nome Giaele è la derivazione del ebraico “Yah’El” ovvero   “Re dei Re”, l’epiteto riservato a Gesù e qui si chiude il cerchio significando che gli gnostici ritenevano Gesù un’emanazione di Dio e nello specifico il “Logos”, la parola, il verbo che , come Dio, è sempre esistito. Quindi  gli angeli non si rivolgono direttamente a Dio ma chiedono, per il perdono di Adamo, l’intercessione di Gesù.

Chiudiamo l’analisi di questo affascinante testo con un paio di cusiosità. Nell’ultimo versetto, il 43, osserviamo come vengono affidate a Seth alcune prescrizioni da osservare nei confronti del defunto padre Adamo. Dapprima questi dovrà seppellirne il corpo nella nuda terra  e dovrà tramandare questa usanza, testualmente :”onorando così chiunque muore fino al giorno della resurrezione”, cosa protrattasi ed in voga ancora ai giorni nostri. Inoltre gli viene imposto di limitare il suo dolore perché, testualmente :””Non osservate il lutto per più di sei giorni. Nel settimo giorno sospendetelo e gioite, perché in esso gioisce Dio e gioiamo noi angeli insieme con l’anima  giusta che ha lasciato la terra.” ; questo passaggio in questo particolare periodo storico balza subito all’occhio perché oggi, chi non riesce a metabolizzare un lutto nell’arco di una settimana viene ritenuto patologico e curato con farmaci antidepressivi e la coincidenza è alquanto singolare.

L’Apocalisse di Mosè, questo straordinario testo che racchiude verità storiche, riprese e tramandate da testi più antichi e relegato tra i libri non idonei al canone perché proprio in virtù delle verità in esso contenute era da  considerare apocrifio ovvero “segreto”.

Articolo di Ch Achean

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