ANTICHI LUOGHI

Un compendio di mirabili stranezze

Città della giungla costruite in base al calendario
Migrazioni di popoli come gite familiari?
Un dio manca all’appuntamento
Perché gli osservatori sono rotondi?
Macchine calcolatrici nell’antichità
Un compendio di mirabili stranezze
Pur affermando che non è nostra intenzione porre in dubbio la storia dell’umanità degli ultimi duemila anni, crediamo tuttavia che gli dei greci e romani, e anche la maggior parte delle figure che popolano i miti e le leggende, siano circondati dall’aura di un lontanissimo passato. Da quando esistono gli uomini, sopravvivono nei popoli antichissime tradizioni. Anche culture più moderne ci offrono indizi che si riferiscono a un passato remotissimo e ancora sconosciuto. Le rovine rinvenute nelle giungle del Guatemala e dello Yukatan sostengono il paragone con qualsiasi colosso egiziano. L’area di base della piramide di Chulula – cento chilometri a sud della capitale del Messico – è maggiore di quella della piramide di Cheope. La zona delle piramidi di Teotihuacan, 50 chilometri a nord di Città del Messico, si estende per un’area di quasi 20 chilometri quadrati, e tutti gli edifici riportati alla luce sono orientati secondo le stelle. Il più antico testo su Teotihuacan racconta che qui gli dei si riunivano e tenevano consiglio sulle sorti degli uomini, ancor prima che esistesse sulla Terra l’homo sapiens. Abbiamo già parlato del calendario dei maya, il più preciso del mondo, e abbiamo visto l’equazione di Venere. Oggi è dimostrato che tutti gli edifici di Chichén Itza, Tikal, Copan o Palenque sono costruiti secondo il favoloso calendario dei maya. Non si innalzava una piramide perché se ne aveva bisogno: non si costruiva un tempio perché servisse a qualcosa. Si costruivano piramidi e templi perché il calendario prescriveva di portare a termine ogni 52 anni un determinato numero di gradini di un edificio. Ogni pietra ha riferimento al calendario: ogni edificio compiuto è costruito con
esattezza astronomica. Ma ciò che accadde intorno al 600 dell’era volgare è assolutamente incomprensibile! Un intero popolo abbandonò improvvisamente e senza motivo le sue città faticosamente e solidamente costruite, coi ricchi templi, le artistiche piramidi, piazze circondate di statue e grandiosi stadi. La giungla divoratrice penetrò nelle strade e negli edifici, sgretolò i muri e produsse un immenso paesaggio di rovine. Nessuno degli abitanti tornò mai più in quei luoghi. Si confronti ora questa vicenda, quest’immensa migrazione di popoli, con la storia dell’antico Egitto. Per generazioni e generazioni si erano costruiti, secondo i dati di un calendario, templi, piramidi, città, serbatoi idrici, strade: mirabili sculture furono faticosamente modellate in pietra con strumenti primitivi e collocate a ornare splendidi edifici; e quando tutto questo lavoro fu portato a termine, dopo più di un millennio, gli uomini lasciarono le loro dimore e si trasferirono nell’inospitale nord. Una tale vicenda, ravvicinata ai tempi storici accessibili alla nostra conoscenza, pare inconcepibile, perché non ha senso. E quanto più una vicenda è incomprensibile, tanto più numerosi sono i tentativi d’interpretazione e le vaghe spiegazioni. Dapprima fu avanzata l’ipotesi che i maya fossero stati respinti da invasori stranieri. Ma chi sarebbe stato in grado di battere i maya, che erano all’apogeo della loro civiltà e della loro cultura? Non si trovò alcuna traccia che potesse rivelare uno scontro bellico. È stata presa in considerazione la possibilità che la migrazione fosse stata provocata da un brusco e radicale cambiamento di clima: ma anche di questa versione non esiste alcun indizio, tanto più se si pensa che dalle antiche sedi dei maya fino ai confini del Nuovo Regno non intercorrono più di 350 chilometri in linea d’aria, distanza che non sarebbe stata sufficiente per sfuggire a un catastrofico mutamento di clima. Anche l’ipotesi che i maya si fossero messi in movimento in seguito a una disastrosa epidemia richiede una più attenta verifica: non ne esiste infatti la minima prova. Si trattò forse di un conflitto di generazioni? La giovane generazione si sarebbe ribellata agli anziani? Vi fu una guerra civile, una rivoluzione? Adottando una di queste ipotesi, è chiaro che solo una parte della popolazione, ossia la parte sconfitta, avrebbe lasciato il paese, e quella vittoriosa sarebbe rimasta nell’antica sede. E invece le ricerche fatte nelle zone di scavi non hanno dato alcun indizio che fosse rimasto in sede anche un solo maya. L’intero popolo emigrò improvvisamente, lasciandosi indietro i suoi santuari incustoditi nel cuore della giungla. Al coro delle molte versioni noi vorremmo aggiungere una nuova voce, una tesi che non è dimostrata, come non lo sono le altre interpretazioni, di cui finora nessun fatto concreto ha fornito la prova. E riteniamo audacemente, e con ferma convinzione, che la nostra proposta abbia almeno altrettanta verosimiglianza quanta ne hanno le altre. Gli antenati dei maya ebbero a un certo momento, in un tempo sicuramente molto antico, la visita di “dei” (in cui noi supponiamo degli astronauti). Tutta una serie di indizi sta a suffragare l’ipotesi che i portatori delle antiche culture precolombiane siano immigrati in America dall’antico Oriente. Ma nel mondo dei maya esistevano sacre tradizioni, rigorosamente custodite, di astronomia, di matematica e del calendario. Poiché gli “dei” avevano promesso di tornare un giorno, i sacerdoti, depositari delle conoscenze tramandate, crearono una nuova grandiosa religione: la religione di Cuculcan, il “serpente piumato”. Secondo la tradizione sacerdotale, gli “dei” sarebbero nuovamente discesi dal cielo sulla Terra nel momento in cui i grandi edifici fossero compiuti secondo le leggi del ciclo del calendario. Così i sacerdoti spronarono il popolo a portare a termine templi e piramidi secondo questo ritmo sacro, perché l’anno del compimento sarebbe stato un anno di giubilo. Il dio Cuculcan sarebbe disceso dalle stelle, avrebbe preso possesso degli edifici e da quel momento sarebbe vissuto fra gli uomini. L’opera era compiuta, l’anno del ritorno del dio era giunto: ma nulla avvenne. Il popolo pregò, cantò e attese per un lungo anno. Schiavi e gioielli, mais ed olio furono inutilmente sacrificati: il cielo rimase muto e senza segni. Nessun carro celeste comparve, non si udirono fragori né tuoni lontani. Nulla, assolutamente nulla. Se diamo una probabilità a quest’ipotesi possiamo ben immaginarci che la delusione dei sacerdoti e del popolo dovette essere spaventosa: il lavoro di secoli era stato fatto invano. E sorsero i primi dubbi: v’era forse un errore nei calcoli del calendario? Forse gli “dei” sarebbero scesi in un altro luogo? Si era vittime di un terribile errore?  ne hanno le prove nei loro antichi testi. Se si accetta questa data come provata, fra essa e l’inizio della cultura egiziana intercorre soltanto un breve intervallo di poche centinaia di anni. Questa leggendaria antichità sembra essere autentica, perché il calendario maya, così preciso, la conferma più volte. Se così stanno le cose, allora non soltanto il calendario, e non soltanto la migrazione del popolo ci rendono scettici: c’è un fatto nuovo che viene ad alimentare il tarlo del dubbio. Solo nel 1935 fu rinvenuto a Palenque (regno antico) un disegno su pietra che con grande probabilità rappresenta il dio Kukumatz (nello Yukatan: Kukulkan). Non c’è bisogno di molta fantasia per indurre anche il più scettico a riflettere, solo che si osservi il disegno senza preconcetti, e direi con candore. Un essere umano, col busto inclinato in avanti, è seduto davanti a noi nella posa di un corridore automobilistico: oggi il suo veicolo potrebbe essere identificato come un razzo interplanetario anche da un bambino. È appuntito in avanti, presenta strane sporgenze a gomito scanalate, somiglianti a bocche d’aspirazione, indi il fusto si allarga e termina in una fiamma lingueggiante. Il pilota, piegato in avanti, manovra con le mani una serie di indefinibili strumenti di controllo e poggia il tallone del piede destro su una specie di pedale. Il suo abbigliamento è adatto allo scopo: porta corti calzoni quadrettati con una larga cintura, una giacca con moderna scollatura alla militare e strette fasciature alle braccia e alle gambe. Conoscendo altre raffigurazioni consimili, ci stupirebbe se mancasse il complicato cappello: c’è infatti, completo di tubi e prese d’aria, un altro copricapo ad antenne. Il nostro astronauta, così chiaramente raffigurato, non ci appare in azione solo per la sua posa: davanti al suo volto pende uno strumento che egli osserva con estrema attenzione. L’abitacolo anteriore dell’astronauta è separato dallo spazio posteriore del veicolo – in cui si vedono disposti
simmetricamente cassette, cerchi, punti e spirali – mediante un divisorio. Che ci dice questo disegno? Proprio nulla? Anche qui ogni riferimento al volo spaziale sarebbe soltanto stupida fantasia? Se anche il rilievo litico di Palenque viene respinto dalla serie degl’indizi, si deve proprio dubitare che nell’esame e nella verifica dei reperti più evidenti manchi l’onesta volontà di essere obiettivi. Non siamo dei visionari, quando analizziamo oggetti concreti, che si possono a richiesta esibire. Perché – continuiamo dunque la serie delle domande senza risposta – perché i maya costruirono le loro antichissime città nella giungla, perché non sulle rive di un fiume, perché non sulla costa del mare? Tikal per esempio è a 150 chilometri in linea d’aria dal golfo dell’Honduras, 260 chilometri a nord-ovest della Baia di Campeche e 380 chilometri in linea d’aria a nord dell’Oceano Pacifico. I maya avevano senza dubbio confidenza col mare: lo dimostra una quantità di oggetti fatti di coralli, conchiglie e crostacei. Perché dunque questa “fuga” nella giungla? Perché costruire serbatoi idrici, quand’era così facile stabilirsi nelle vicinanze dell’acqua? Nella sola Tikal si contano 13 bacini idrici, con una capacità di circa 154.310 metri cubi. Perché si doveva assolutamente vivere, costruire, lavorare qui, e non in una località che avesse una posizione più “logica”? Nel nord, i delusi maya, dopo il loro lungo cammino, fondarono un nuovo regno: risorsero città, templi, piramidi, secondo le date prestabilite dal calendario. Per dare un’idea della precisione del calendario maya, riportiamo qui i periodi cronologici:

20 kin = 1 uinal, o 20 giorni
18 uinal = 1 tun, o 360 giorni
20 tun = 1 katun, o 7.200 giorni
20 katun = 1 baktun, o 144.000 giorni
20 baktun = 1 pictun, o 2.880.000 giorni
20 pictun = 1 calabtun, o 57.600.000 giorni
20 calabtun = 1 kinchiltun, o 1.152.000.000 giorni
20 kinchiltun = 1 alautun, o 23.040.000.000 giorni.

Non solo le imponenti scalinate, che traducono in pietra le date del calendario, s’innalzano al di sopra del verde tetto della giungla: furono costruiti anche degli osservatori. L’osservatorio di Chichén è il primo e il più antico edificio rotondo dei maya, e ancor oggi, restaurato, ha l’aspetto di un osservatorio moderno. Si eleva su tre terrazze molto al di sopra della giungla; nell’interno una scala a chiocciola porta alla specola più alta; nella cupola sono praticate finestre e aperture che guardano le stelle, sicché di notte vi si offre una magnifica visione del cielo stellato. Le pareti esterne portano maschere del dio della pioggia… e la rappresentazione di una figura umana alata. Certo l’interesse dei maya per l’astronomia non è una prova sufficiente per la nostra ipotesi di una corrispondenza con esseri intelligenti di altri pianeti. La folla delle domande senza risposta è tale da dare le vertigini: come facevano i maya a conoscere Urano e Nettuno?… perché le specole dell’osservatorio di Chichén non sono rivolte verso le stelle più luminose?… che significa il disegno litico del dio di Palenque a bordo di un razzo interplanetario?… che senso aveva il calendario dei maya coi suoi calcoli di 400 milioni di anni?… di dove trassero le cognizioni necessarie per calcolare l’anno del Sole e di Venere fino a quattro decimali?… chi trasmise loro le vaste cognizioni astronomiche? Ognuno di questi fatti è dunque un prodotto fortuito dell’intelligenza dei maya, o dietro ogni fatto – o piuttosto dietro tutto il complesso dei fatti – si cela qualche cosa di più, forse uno sconvolgente messaggio destinato a quello che, agli uomini di allora, appariva un lontanissimo futuro? Passiamo allora tutti questi fatti al setaccio, e sceveriamo grosso modo il grano dalla paglia: ne resta un numero così spaventoso di discordanze, di “impossibilità”, che la ricerca dovrebbe trarne rapidamente la scintilla iniziale per nuovi grandiosi sforzi, intesi a risolvere almeno parzialmente l’enorme quantità degli enigmi. Perché nel nostro tempo la ricerca non dovrebbe più rassegnarsi alle cosiddette “impossibilità”. Dobbiamo ancora raccontare una storia raccapricciante, una storia della sacra sorgente di Chichén Itza. Dalla fetida fanghiglia di questa pozza d’acqua Edward Herbert Thompson non estrasse solo monili e oggetti d’arte, ma anche gli scheletri di giovani e fanciulle. Attingendo ad antiche tradizioni, Diego de Landa affermò che in un periodo di siccità i sacerdoti si erano recati in pellegrinaggio alla sacra sorgente per placare la collera del dio della pioggia gettando nelle sue acque, con una solenne cerimonia, fanciulle e giovinetti. I rinvenimenti di Thompson vengono a comprovare le affermazioni del de Landa; Un’orribile storia, che dalle profondità della pozza fa emergere altri problemi: come si è formato quello stagno?… perché è stato dichiarato fonte sacro?… e perché proprio questo stagno, dato che ne esistono altri simili? A circa 70 metri dall’osservatorio dei maya, nascosto nella giungla, esiste il gemello del sacro fonte di Chichén Itza. Vegliato da serpenti, millepiedi velenosi e insetti maligni, lo stagno ha le stesse dimensioni del fonte “autentico”, le ripide pareti sono egualmente corrose dal tempo e deformate e ricoperte dalla vegetazione della giungla. Ma questi due stagni si assomigliano in modo impressionante, fin nell’altezza dello specchio d’acqua, e in entrambi l’acqua ha un colore cangiante dal verde al marrone e al rosso sangue. Senza dubbio hanno la stessa età, e probabilmente devono entrambi la loro esistenza alla caduta di meteoriti. Tuttavia la ricerca odierna parla soltanto del fonte sacro di Chichén Itza; il secondo fonte, così simile al primo, non rientra nei programmi, benché entrambi gli stagni distino 900 metri dalla vetta della piramide maggiore, il Castillo. Questa piramide è dedicata al dio Cuculcan, il “serpente piumato”. Il simbolo del serpente si ritrova in quasi tutti gli edifici maya. La cosa è assai singolare, perché un popolo circondato da una rigogliosa flora tropicale avrebbe dovuto lasciarci nei suoi disegni litici anche motivi floreali. Ma finora non si è trovato nemmeno un fiore, mentre lo schifoso serpente si incontra ovunque. Da tempi immemorabili il serpente si attorce nella polvere e nel fango: come si poté attribuirgli la capacità di volare? Prototipo del male, il serpente è condannato a strisciare. Come si può adorare questa ripugnante creatura come un dio, e come mai può anche volare? Presso i maya lo poteva. Il dio Cuculcan (Kukumatz) corrisponde probabilmente alla figura del successivo iddio Quetzalcoatl. Che dice la leggenda maya di questo Quetzalcoatl? Era venuto da un paese straniero, dal paese del Sole nascente, in una veste bianca e aveva la barba. Insegnò al popolo tutte le scienze, il diritto, le arti, gli” usi e costumi e lasciò leggi di grande saggezza. Si dice che sotto la sua guida le pannocchie di mais crescessero alte come un uomo e il cotone maturasse naturalmente colorato. Quando Quetzalcoatl ebbe compiuto la sua missione, si rimise in cammino verso il mare, continuando tuttavia a predicare la sua dottrina, e qui giunto salì su una nave che lo condusse verso la Stella del mattino. Diventa quasi una pedanteria ripetere che anche il barbuto Quetzalcoatl promise di ritornare. Naturalmente non mancano indizi della comparsa del saggio vecchio. Gli si attribuisce una funzione messianica: un uomo con la barba, a queste latitudini, non è cosa di tutti i giorni. Vi è persino un’audace versione che nel vecchio Quetzalcoatl suppone un apostolo di Gesù. Ma questo non ci convince. Chiunque fosse giunto ai maya dal vecchio mondo doveva conoscere la ruota, che trasporta uomini e cose. Per un saggio, per un dio come Quetzalcoatl, che veniva come missionario, legislatore, medico e consigliere in tante cose della vita, la prima cosa da farsi non sarebbe stata quella di insegnare ai poveri maya l’uso della ruota e del carro? Effettivamente i maya non usarono mai carri e non impiegarono mai la ruota. Termineremo ora di conturbare gli spiriti con un compendio di stranezze del lontano passato. All’altezza di Anticitera alcuni pescatori di spugne greci trovarono nel 1900 una vecchia carcassa naufragata, che era carica di statue di marmo e di bronzo. I tesori d’arte furono posti al sicuro, e da
ricerche successive risultò che la nave doveva essere affondata pressappoco all’inizio del i secolo dell’era volgare. Fra tutto il ciarpame di bordo, si trovò un mucchio di materiale informe che doveva poi risultare più interessante di tutte le statue messe insieme. Dopo averlo ripulito e opportunamente trattato, si scoprì una piastra di bronzo con cerchi, iscrizioni e ruote dentate e ben presto si poté accertare che le iscrizioni erano in rapporto con l’astronomia. Quando tutte le singole parti furono opportunamente ripulite, ci si trovò davanti a una strana costruzione, una vera e propria macchina con lancette mobili, complicate scale e piastrine di metallo con iscrizioni. La macchina ricostruita presenta più di venti rotelle, una specie di differenziale, e un ingranaggio a corona. Da una parte si trova un albero che, appena comincia a ruotare, mette in movimento tutte le scale a diverse velocità. I quadranti sono protetti da coperchi a cerniera, su cui si leggono lunghe iscrizioni. Di fronte a questa “macchina di Anticitera”, si può ancora nutrire qualche dubbio che nell’antichità fossero all’opera degli eccellenti meccanici di precisione? Inoltre la macchina è così complicata che probabilmente non è stata il primo modello del tipo. Il professore americano Solla Price la interpreta come una specie di macchina calcolatrice, che serviva per calcolare i movimenti della Luna, del Sole e probabilmente anche di altri pianeti. L’interessante non è che la macchina indichi come anno di fabbricazione l’82 a.C. Sarebbe più interessante scoprire chi costruì il primo modello di questa macchina, di questo planetario in formato ridotto. L’imperatore Federico II di Hohenstaufen, a quanto si racconta, tornando dalla quinta crociata nell’anno 1229 portò con sé dall’Oriente una tenda assolutamente fuori dell’usuale: nell’interno della tenda vi era un congegno ad orologeria e sul suo tetto a cupola si vedevano passare le costellazioni in
movimento. Un altro planetario dell’antichità! Noi ne accettiamo l’esistenza in quel tempo, perché è noto che esistevano le premesse tecniche per la sua fabbricazione. Invece, nel caso della “macchina di Anticitera” ci sconcerta l’idea di un planetario, perché nel i secolo dell’era volgare non esisteva ancora la concezione del firmamento di stelle fisse in rapporto alla rotazione della Terra. Persino gli astronomi cinesi ed arabi dell’antichità, che erano così eruditi, non ci offrono nessuno spunto per spiegare questo fatto incomprensibile, e Galileo Galilei incontestabilmente nacque solo 1.500 anni dopo… Chi si reca ad Atene non dovrebbe trascurare di vedere la “macchina di Anticitera”, conservata al Museo archeologico nazionale. Sulla tenda-planetario di Federico II esistono solo relazioni scritte. Per quanto tenebroso sia stato l’antichissimo passato dell’uomo, ci ha lasciato parecchie cose curiose. 3.800 metri sopra il livello del mare, sulle rocce dell’altopiano desertico di Marcahuasi, si trovarono schizzi di animali che 10.000 anni fa non esistevano nel Sudamerica: cammelli e leoni. Alcuni ingegneri rinvennero nel Turkestan certi oggetti semicircolari di una specie di vetro, o ceramica. Origine e significato sono assolutamente inesplicabili per gli archeologi.Nella Valle della Morte, nel deserto del Nevada, vi sono rovine di un’antica città che deve essere stata distrutta da una grande catastrofe. Ancor oggi si vedono tracce di rocce fuse e sabbia vetrificata. Il calore di un’eruzione vulcanica non sarebbe bastato a fondere le rocce: inoltre il calore avrebbe anzitutto bruciato gli edifici. Solo i raggi laser producono oggi una temperatura sufficientemente elevata. Cosa strana, in questa regione non nasce più un filo d’erba. Hadshar el Guble, la Pietra del Sud, nel Libano, pesa 2 milioni di chili. È una pietra lavorata, ma non è possibile che mani umane l’abbiano smossa. Su talune pareti rupestri inaccessibili in Australia, in Perù e nell’Alta Italia si vedono segni eseguiti indubbiamente dalla mano dell’uomo, che non sono stati ancora interpretati. Certe piastrine d’oro rinvenute a Ur, nella Caldea, recano iscrizioni in cui si parla di “dei” di aspetto umano che venivano dal cielo e diedero in dono le piastrine ai sacerdoti. In alcuni paesi, come l’Australia, la Francia, l’India, il Libano, il Sudafrica, il Cile, si trovano strane “pietre” nere, ricche di alluminio e berillio. Da ricerche recentissime è risultato che queste pietre in tempi molto remoti dovettero essere esposte a un intenso bombardamento radioattivo e ad altissime temperature. Alcune tavolette cuneiformi sumeriche presentano stelle fisse con pianeti. In Russia si trovò la rappresentazione in rilievo di una nave spaziale, costituita da dieci sfere adiacenti luna all’altra, chiuse in una intelaiatura rettangolare, sorretta ai due lati da massicce colonne. Sulle colonne sono poggiate delle sfere. Fra i reperti russi vi sono delle statuette di bronzo che raffigurano un essere umanoide, ritto in un goffo costume collegato ermeticamente con un elmo. Anche scarpe e guanti sono strettamente congiunti al costume. Su una tavoletta babilonese, conservata al British Museum a Londra, sono indicate le eclissi di Luna del passato e del futuro. A Kun-ming, capitale della provincia cinese dello Yùnnan, furono scoperte “macchine” cilindriche a forma di razzo, che dal modo come sono raffigurate sembra stiano salendo verso il cielo. Le incisioni si trovano su piramidi che emersero improvvisamente dal fondo del lago di Kunming durante un terremoto. Come vogliamo spiegare questi e molti altri enigmi? è una ben meschina scappatoia liquidare tutte le antiche tradizioni in massa come false, erronee, confuse. Ed è una bella pretesa, quando si è alle strette, condannare tutte le traduzioni come lacunose e inesatte, e poi servirsene al momento buono, quando le loro notizie si adattano alle tesi consacrate. E ci sembra una viltà chiudere occhi e orecchi davanti a certi fatti, o anche a certe ipotesi, solo perché nuove conclusioni potrebbero strappare gli uomini dai loro comodi schemi mentali, divenuti ormai così familiari. Ogni giorno, ogni ora avvengono in tutto il mondo nuove rivelazioni. I nostri moderni mezzi di scambio e comunicazione annunciano scoperte in ogni angolo del globo. Con un po’ di buona volontà, da parecchi fatti casuali si può sviluppare un sistema. Gli scienziati di tutte le discipline dovrebbero volgere il loro interesse di ricercatori ai messaggi del passato con lo stesso slancio con cui prendono parte creativa alle ricerche del presente. La prima fase di quell’affascinante avventura che è la scoperta del nostro passato è in certo modo terminata: ora comincia la seconda meravigliosa avventura della storia umana, con l’avanzata dell’uomo nel cosmo.

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