
Zecharia Sitchin ci parla in un paio dei suoi libri del motivo per cui gli Anunnaki vennero sulla Terra. Il primo ad arrivarci fu un loro reggente deposto di nome Alalu. Egli, detronizzato dal suo coppiere Anu, fuggì in esilio nello spazio. Secondo Sitchin in quel periodo (parliamo di circa 450.000 anni fa) il pianeta Nibiru soffriva di un assottigliamento eccessivo della sua atmosfera. La preoccupazione dei governanti si esprimeva in vista dei successivi passaggi del pianeta nelle vicinanze del nostro sistema solare, in quanto il calore del sole e il fenomeno di accelerazione del moto del pianeta al perielio a causa dell’orbita molto ellittica avrebbero contribuito a deteriorare ancor di più l’atmosfera del pianeta non proteggendolo più dai raggi solari. Alalu, che conosceva la storia della nascita di Ki (la Terra), sapeva che le nostre acque e le rocce erano ricche di un metallo, l’oro, che poteva essere finemente polverizzato e disperso nell’atmosfera di Nibiru in modo da proteggere il pianeta dalle radiazioni. La sua rotta verso la Terra è descritta da Sitchin con una cronaca di avvicinamento ai vari pianeti, fino ad arrivare alla fascia degli asteroidi dove Alalu rischiò di essere ucciso da asteroidi che si avvicinavano al suo mezzo di trasporto. Alalu riuscì comunque a farsi strada tra gli asteroidi utilizzando delle specie di ‘missili’ di cui era dotato il suo ‘carro celeste’. Arrivato su Ki, Alalu analizzò le nostre acque (l’atterraggio avvenne nel Golfo Persico secondo Sitchin) e vi trovò l’oro. Comunicò la sua scoperta agli abitanti del suo pianeta chiedendo di essere proclamato di nuovo re di Nibiru in cambio dell’oro. A questo punto Anu, reggente di Nibiru, decise che si doveva compiere una ricognizione sul pianeta per verificare se si trattasse o meno di un bluff. Fu incaricato di questa spedizione il loro capo scienziato Ea. In qualità di figlio di Anu, ma sposato con Damkina, figlia di Alalu, Ea era una specie di ‘messaggero di pace’ inquanto imparziale e legato a entrambi i due contendenti al trono di Nibiru. Il viaggio di Ea (il cui nome in sumero significa “Casa Acqua” o, come traduce Sitchin, “Colui la cui casa è l’acqua”) ci viene descritto con dovizia di particolari nel lungo testo di Sitchin ‘Il libro perduto del dio Enki’ (Enki era un epiteto di Ea). Ea dichiarò: ‘non con carri di fuoco viaggerò, ma con carri ad acqua’. Una frase simile ci fa pensare che la forma di propulsione del ‘carro celeste’ di Ea non era basata sulla combustione (fuoco) ma sull’acqua. Ragionando in termini moderni, abbiamo ben presente il sistema con cui dell’acqua viene scaldata per produrre vapore, utilizzato per far girare una turbina, che trasmette energia cinetica a un albero motore, il quale fa girare una pompa, che potrebbe aspirare aria e riemetterla pompata ad alta pressione generando quindi un flusso di aria compressa tale da far muovere un oggetto (in questo caso il carro celeste). O, più semplicemente, immaginiamo un sistema in cui l’acqua venga scaldata e possa essere semplicemente il vapore generato, magari compresso, ad essere espulso in pressione generando così il movimento del carro celeste. In tempi come i nostri in cui si parla di automobili ad acqua queste nozioni sono di dominio pubblico. Le automobili ad acqua esistono e funzionano, anche se psicologicamente siamo portati a rifiutare che nell’antichità questo sistema potesse essere conosciuto. Se però si proiettano queste conoscenze non indietro nel corso temporale della nostra civiltà, ma nella storia di una civiltà extraterrestre, la cosa non diventa più un problema. Come si potrebbe facilmente obiettare, una trazione ad acqua per un’automobile è cosa ben diversa dalla propulsione aeronautica utilizzata nei razzi o in ‘dischi volanti’. E, a questo punto, ci viene in aiuto uno studio recente riguardante la propulsione laser dalle molteplici applicazioni, tra le quali quelle in campo astronautico. Il 15 giugno 2002 la rivista New Scientists riporta uno schema di motore a propulsione basato sull’acqua e su raggi laser in un contenitore di alluminio (lo studio originale è intitolato “Laser-Driven Vehicles – from Inner-Space to Outer-Space”). Il motore ad acqua è stato realizzato in un esperimento del Tokio Institute of Technology nel quale si pilotava un piccolo modellino di aeroplano di carta del peso di 100gr progettato e realizzato dal dr. Takashy Yabe. Lo schema di funzionamento è il seguente:
- Un fascio di laser viene diretto verso un serbatoio di alluminio contenente acqua, riscaldandolo
- L’alluminio trasmette il calore facendo vaporizzare l’acqua
- Il vapore prodotto viene emesso in pressione attraverso un ugello producendo una spinta
- L’acqua viene recuperata da delle bocchette nella parte frontale dell’aeroplano dall’umidità nell’aria ristabilendo così il livello nel serbatoio di alluminio.

Di seguito è mostrata un’immagine rilasciata dal team di ricerca, che riassume questo processo.Un modellino di aeroplano è ben poca cosa rispetto a un razzo, ma le basi scientifiche ci sono, son funzionanti, e da qui a poter utilizzare questo sistema per una vera propulsione in campo astronautico il passo non è così lungo. Ma c’ è di più. Il 18 Aprile 2004, a Grottammare (prov. di Ascoli Piceno) i ricercatori italiani D. Cirillo, A. Dattilo ed E. Iorio presentano i risultati di alcuni esperimenti in una relazione intitolata: “Trasmutazioni di metalli a bassa energia tramite plasma confinato in acqua“. Da tale relazione risulta che in un’opportuna cella elettrolitica è possibile ottenere una grande quantità di energia dalla semplice presenza di una soluzione acquosa di un sale come il carbonato di potassio. Durante l’ esperimento i ricercatori osservarono la creazione di plasma attorno al catodo di tungsteno della cella, probabilmente originato da vere e proprie reazioni di trasmutazione nucleari (vista la presenza di tracce di nuovi elementi chimici in soluzione, dapprima assenti).

Acqua su Marte

Il lungo viaggio di Ea nel nostro sistema solare arriva a un punto in cui lo scienziato si trova ad entrare nella zona della fascia degli asteroidi. Dovendo così affrontare il pericolo che Alalu aveva evitato tramite razzi, Ea decide invece di usare ‘fiumi di acqua espulsi dal carro celeste’ per respingere gli asteroidi. L’uso dell’acqua conservata nel suo mezzo volante ovviamente causò una scarsità di propellente che Ea si trovò a dover rimediare. Nel suo lavoro ‘Il libro perduto del dio Enki’ Sitchin sostiene che Ea decise di atterrare nel pianeta più vicino (Marte inquanto è il pianeta che si trova subito dopo la fascia) per rifornirsi di acqua. Dopo una attenta analisi dell’acqua sulla superficie, Ea immette l’acqua trovata sul pianeta nel serbatoio del suo mezzo di trasporto e riparte alla volta della Terra. Se a una prima lettura ciò sembra fantascientifico visto il modo in cui siamo abituati a considerare Marte e il suo stato di pianeta arido e roccioso, negli ultimi anni son state effettuate delle scoperte sul pianeta rosso che avvalorano la tesi di Sitchin. È ormai ufficialmente accettato che in un passato nemmeno troppo lontano la superficie di Marte era ricoperta in molti punti da acqua. Non si spiegherebbero altrimenti le montagne di depositi che vediamo sulla sua superficie, i suoi canyons così regolari che, sin dalle prime foto, apparivano così perfettamente arrotondati e uniformi da rendere evidente che le loro pareti erano state allisciate da un moto acquoso. L’erosione orizzontale e uniforme dei canyons e delle ‘montagne’ di Marte è tipica dell’acqua. La debole atmosfera di Marte contiene ancora oggi tracce di umidità,e i poli di Marte conservano una fitta coltre di ghiacci che, a causa del riscaldamento del sistema solare, si sta via via assottigliando come abbiamo scritto in un altro capitolo.
Oltre questo, negli ultimi anni si sono susseguiti una serie di annunci ufficiali fatti dalla Nasa e pubblicati sia sul loro sito che sulle riviste scientifiche. Il primo degno di nota è l’articolo “NASA Images Suggest Water Still Flows in Brief Spurts on Mars” pubblicato sul sito ufficiale Nasa il 12.06.2006. L’articolo evidenzia come dalla analisi delle immagini di una stessa zona di Marte fatte a distanza di 6 anni vengano evidenziati nuovi sedimenti. L’articolo afferma che:
“These observations give the strongest evidence to date that water still flows occasionally on the surface of Mars,”
TRADUZIONE
Queste osservazioni forniscono la prova più forte fino ad oggi che l’acqua scorre ancora di tanto in tanto sulla superficie di Marte,”

e ci propone le immagini comparative:
Il 31 Luglio 2008 il sito BBC riporta l’articolo: “Nasa’s lander samples Mars water” nel quale si afferma che:
Nasa’s Phoenix lander spacecraft has for the first time identified water in a sample of soil collected from the planet’s surface. Scientists will now be able to begin studying the sample to see whether the planet was ever, or is, habitable.
[…]
Mission chief Peter Smith said ice scooped up by Phoenix’s robotic digging arm was now being analysed to see if conditions on Mars could have supported life.
[…]
“We’re looking to understand the history of the ice, by trying to figure out if this ice has ever melted, and through melting has created a liquid environment that modifies soil,”TRADUZIONE
Il veicolo spaziale Nasa Phoenix Lander ha per la prima volta identificato l’acqua in un campione di suolo raccolto dalla superficie del pianeta. Gli scienziati saranno ora in grado di iniziare a studiare il campione per vedere se il pianeta è mai stato, o è, abitabile.
[…]
Il capo missione Peter Smith ha detto che il ghiaccio raccolto da un braccio robotico per lo scavo di Phoenix sarà analizzato per vedere se le condizioni su Marte potrebbe
avere supportato la vita.
[…]
“Stiamo cercando di capire la storia del ghiaccio, cercando di capire se questo ghiaccio si è mai fuso, e attraverso la fusione ha creato un ambiente liquido che modifica suolo”
Il 26 Settembre 2009 il Times Online pubblica l’articolo: “Scientists find new reserves of water on Mars” che riporta le scoperte fatte tramite il High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) montato sull’Orbiter MRO:
Observations of five new Martian craters carved by meteorites have revealed large quantities of water ice, exposed when soil and rock were blown away by the impacts
[…]
The ice in the craters also appears to be very pure, containing 99 per cent water
[…]
Shane Byrne, of the University of Arizona, a member of the HiRISE team, said of the Mars findings: “This ice is a relic of a more humid climate from perhaps just several thousand years ago”TRADUZIONE
Le osservazioni di cinque nuovi crateri marziani scolpiti da meteoriti hanno rivelato grandi quantità di ghiaccio d’acqua, esposte quando il suolo e roccia sono stati spazzati via dagli impatti
[…]
Il ghiaccio nei crateri sembra anche essere molto puro, contenente il 99 per cento di acqua
[…]
Shane Byrne, della University of Arizona, un membro della squadra HighRise, ha detto dei ritrovamenti su Marte: “Questo ghiaccio è una reliquia di un clima più umido
di forse solo diverse migliaia di anni fa”
Questa ultima affermazione è importante perché ipotizza che un clima più mite e la presenza d’ acqua possano essersi mantenuti su Marte fino ad ‘alcuni millenni fa’. Questa ipotesi, già abbondantemente trattata da Graham Hancock nel suo ‘Enigma di Marte’, è stata riproposta da Sitchin in vari suoi libri. Nel 2011, precisamente in Agosto, è ancora la Nasa stessa a proporre un articolo sull’acqua marziana. Ricalcando il titolo dell’articolo del 2006, il nuovo articolo (NASA Spacecraft Data Suggest Water Flowing on Mars) si ricollega alle analisi del MRO di 2 anni prima e suggerisce che:
“Fresh-looking gullies suggest slope movements in geologically recent times, perhaps aided by water. Purported droplets of brine also appeared on struts of the Phoenix Mars Lander. If further study of the recurring dark flows supports evidence of brines, these could be the first known Martian locations with liquid water”
TRADUZIONE
“Gole dall’aspetto fresco suggeriscono movimenti di pendenza in tempi geologicamente recenti, forse aiutati dall’acqua. Goccioline presunte di salamoia sono apparse anche sui puntoni del Phoenix Mars Lander. Se ulteriori studi sui flussi scuri ricorrenti supportano prove di salamoie, questi potrebbero essere i primi siti marziani noti con acqua liquida”.
Articolo di Alessandro Demontis